Noi e voi, spazio di dialogo lettori e missionari

Italia
Gigi Anataloni

Dov’è Dio quando gli uomini sono in guerra?

La guerra è quanto di più tragico, disumano e folle possa accadere nel mondo. Lo possiamo constatare in questi giorni in cui
l’Ucraina è oggetto di occupazione e bombardamenti con innumerevoli morti tra i civili, fughe all’estero, ecc. Viene spontaneo chiedersi dove sia e che cosa faccia Dio di fronte alle ingiustizie e alle violenze a danno degli innocenti. Gli autori dell’Antico Testamento, per trascrivere l’esperienza del popolo d’Israele, hanno fatto ricorso al lessico e ai modelli culturali dell’ambiente mediorientale, compreso il fenomeno umano e storico della guerra; si trovano di frequente quindi episodi di eccidi, stermini e vendette senza limiti. Nella ricerca del volto di Dio è presente anche il titolo «Signore degli eserciti» (Is 10,24) e tra tutte le forme di conflitto vi è la «guerra santa» (Gl 4,9); si fa breccia, in ogni caso, la convinzione che Dio non corrisponda ai criteri elaborati dall’uomo, come avviene, ad esempio, nel libro di Giobbe, in cui si mette in dubbio l’idea che l’insuccesso sia dovuto all’abbandono divino, e nella letteratura profetica in cui si elabora l’idea che la giustizia di Dio non sia quella dei canoni umani. Il Nuovo Testamento rivela infatti un volto di Dio del tutto inatteso e, soprattutto, annuncia che Gesù, il Figlio, non rispondendo con la violenza alle accuse rivoltegli e accettando la morte, ha vinto definitivamente il male, in particolare il peccato. Dio non è all’origine del male e ha a cuore la vita (Gn 9,16), dinanzi alle gravissime derive causate dalle possibilità dell’uomo conseguenti alla sua libertà, interviene con l’incarnazione, la vita, la morte e resurrezione del Figlio Gesù, e propone un ideale (Mt 5,44), l’amore verso il nemico, che tanti martiri e santi hanno testimoniato nel corso dei secoli, non sminuendo in ogni caso il valore della lotta per la giustizia. Dio, che è vivo, sicuramente agisce con il suo Spirito ma in modo imperscrutabile; non interviene in modo magico e sostiene l’uomo che potenzia le sue «armi» quali l’impegno quotidiano nel superare i piccoli contrasti inevitabili, la pratica costante di azioni diplomatiche e politiche volte a mediare, la preghiera perseverante ed insistente. Dio soffre atrocemente per le vite interrotte con la violenza, i danni arrecati all’ambiente naturale e alle opere costruite dall’uomo, per l’uso delle armi sempre più sofisticate e l’incapacità di trovare intese durature, necessarie in quanto gli equilibri geopolitici non sono mai definitivamente risolti, è presente laddove si soffre, e «agisce» attraverso tutte le iniziative che l’uomo assume per porre rimedio ai conflitti, costruendo degli accordi, e attraverso coloro che, nella fede e nella grazia sacramentale, sono uniti intimamente a Cristo (Mc 11,24) nell’implorare la pace.

Milva Capoia
14/03/2022


Troppa popolazione?

In questi giorni sembra che sulla Terra abbiamo superato gli otto miliardi di abitanti. Eravamo 2.480 milioni a fine 1950, quindi in 71 anni siamo più che triplicati. È vero che in questi 71 anni non ci sono state guerre mondiali e neanche epidemie generalizzate: ma di una pandemia ci stiamo occupando adesso e sembra che Putin abbia voglia di trascinarci in una guerra mondiale per difendere il suo posto di padrone della Russia e magari diventarlo di tutto il mondo. In ogni modo, anche senza il suo aiuto non credo che la vecchia palla su cui viviamo sia in grado di reggere a lungo una popolazione che si triplica ogni 70 anni. Io ho avuto la possibilità di girarla tutta (e a forza di prendere sole mi son preso anche un tumore, ma tanto ho superato benissimo gli 80) e vi assicuro che è bellissima e che ha una popolazione meravigliosa che però si fa governare da troppi cialtroni e non pochi veri assassini.

Claudio Bellavita
24/03/2022

Grazie per le considerazioni e per l’amore alla nostra Terra. La questione della popolazione è ovviamente molto complessa e controversa. Di sicuro la soluzione non sta né nella pandemia né nella guerra, ma probabilmente neanche nelle «scelte di morte» che avvengono di fatto nel nostro mondo (figlio unico, aborto, messa in crisi della famiglia, esaltazione del gender, ecc.). Di fatto, e l’Italia ne è capofila, stiamo assistendo a un declino demografico preoccupante, come se non credessimo nel futuro. Invece la crisi che stiamo vivendo richiede un serio ripensamento degli stili di vita, dei consumi, dell’uso delle risorse del nostro pianeta e delle relazioni tra i popoli.


Tra guerriglia e sogni di pace

Carissimi amici,
riesco finalmente a raccontarvi un pezzo di vita della mia parrocchia in questi mesi del nuovo anno. Dopo la paura iniziale per il Covid-19, in questo ultimo periodo, qui a Solano la vita è ritornata quasi alla normalità.

In Colombia la distribuzione dei vaccini è iniziata dalle zone periferiche e ai confini con altri paesi come Perù ed Ecuador; quindi, possiamo dire che siamo stati privilegiati essendo stati tra i primi a essere vaccinati.

La situazione sociopolitica in Colombia è sempre più complicata nonostante l’accordo di pace avvenuto nel novembre 2016 tra il governo del presidente Santos e la Farc (guerriglia). Molti hanno lasciato le armi e, attraverso i programmi integrativi dello stato, si sono inseriti nella vita civile, ma molti altri hanno deciso di continuare la lotta armata ed è sorta la disidencia (dissidenza), mentre altri, dopo essersi consegnati, delusi per il mancato compimento delle promesse statali, sono ritornati alle armi.

Funerale di tre fratelli uccisi dalla guerriglia

Il 28 gennaio e 8 febbraio ho accompagnato tre giovani di Solano al seminario diocesano per un discernimento vocazionale: uno a San Vicente del Caguán, altri due a Florencia, il capoluogo della regione. Appena arrivato in canonica al mio rientro da Florencia, ricevo una chiamata: «Padre è tutto pronto». Mi reco al «Club Juvenil», punto d’incontro per le varie attività dei giovani costruito da padre Giuseppe Svanera, senza sapere perché richiedono la mia presenza. Entro e trovo davanti a me tre bare con i corpi di tre giovani fratelli che sono stati assassinati.

Viviamo in un territorio dove per sopravvivere si coltiva la pianta di coca da cui poi viene estratta la pasta basica per produrre la cocaina e, quindi, la violenza è fortissima.

Le bare. ancora aperte, sono poste sopra tavole di legno sostenute da casse vuote di birra. Attorno si brucia caffè per cercare di coprire l’intenso odore dovuto alla decomposizione dei corpi. Un giovane che è stato testimone dell’eccidio racconta la brutalità che i tre fratelli hanno subito: legati e uccisi con vari colpi alla testa e al torace da un gruppo di trafficanti di droga che si fa chiamare Sinaloa. Tutto risale al 5 febbraio.

I primi a parlare con me sono i padrini di battesimo di due dei giovani assassinati: sono molto addolorati e mi dicono che il papà sta sbrigando le pratiche con la giustizia. Hanno preso seriamente il loro impegno di padrini e sono una chiara testimonianza di fede per la gente del paese. Per questo li ringrazio. Mi presentano i genitori. La mamma già la conoscevo perché l’avevo aiutata economicamente comprando direttamente da lei alcuni dei suoi prodotti. Vive separata dal marito, e fa parte della «Iglesia evangelica pentecostal». Il papà, Pedro, desidera la messa cantata per il funerale dei figli.

Celebriamo il funerale in un ambiente militarizzato, con molta paura e tristezza. Durante l’omelia denuncio gli autori di questo assassinio, dicendo che non esiste nessun motivo per togliere la vita a qualsiasi persona: Dio dona la vita, non la toglie. Invito gli assassini a pentirsi del loro gesto e a non continuare con queste stragi che stanno colpendo molto duramente il nostro territorio, soprattutto contro i giovani.

Le tre salme sono caricate su tre mezzi e portate al cimitero in processione. Accompagno il corteo con la recita del rosario, benedico la tomba e durante la sepoltura alcuni giovani mettono musica colombiana, il «Vallenato», che esprime la disperazione che stanno vivendo.

Nel pomeriggio viene il papà dei tre giovani. È un antioqueño che ha lasciato la sua terra 36 anni fa in cerca di fortuna. È stato nel Caguán, a Remolino, dove ha conosciuto il padre Giacinto Franzoi, e ora si trova nel Yurilla, dove è proprietario di un piccolo negozio di alimentari e vende benzina. I figli vivevano in un villaggio più all’interno, nella foresta. Quando gli hanno comunicato della loro morte, superando il dolore con molta forza, ha coordinato tutto per portarli a Solano. Ha chiesto appoggio alle forze dell’ordine che gli hanno dato protezione e gli hanno consigliato di non ritornare da dove era venuto perché è a rischio la sua vita.

Gli chiedo: «Perché li hanno uccisi?», e lui ripete all’infinito: «Erano bravi ragazzi, non hanno fatto del male a nessuno. Io non posso lavorare perché sono anziano. Spesso andavo da loro e si chiacchierava e rideva, o loro venivano da me. Abbiamo passato momenti molto belli di amicizia, di fraternità e di gioia grande. Non mi spiego il perché».

Funerale di tre fratelli uccisi dalla guerriglia

Prosegue: «Sono stato interrogato dall’esercito per più di due ore, e ho ripetuto che non abbiamo mai collaborato con nessun gruppo. Ho detto che quando venivano i guerriglieri mi chiedevano di trasportarli con la canoa. Non potevo dire di no e così davo loro le chiavi e la benzina. Mai ho guidato io l’imbarcazione. Loro andavano e me la riportavano. Chiedevano cibo e compravano la benzina, mai a loro abbiamo creato problemi. Ho anche dato all’esercito le coordinate dove poterli trovare, anche se i militari sono qui da più di un anno e non fanno assolutamente nulla, stanno a guardare. Padre, ho anche denunciato che l’anno scorso, quando è stato ucciso un dissidente della Farc, vi è stata una grande mobilitazione militare con barche ed elicotteri fino ad arrivare nel mio villaggio. Erano presenti circa 80 uomini del gruppo Sinaloa, ma l’esercito ha sparato verso le canoe dove c’erano i contadini, non a quelle dei guerriglieri. Sono arrivato alla conclusione che vi è una alleanza tra l’esercito e i Sinaloa, e che forse questo gruppo è stato creato dallo stesso esercito con ex combattenti della Farc per combattere la dissidenza».

Qualche giorno dopo il signor Pedro viene a chiedermi il certificato di sepoltura dei suoi tre figli perché vuole denunciare lo stato. È intenzionato ad andare a Bogotá per parlare con i mezzi di comunicazione a livello nazionale e internazionale. È arrabbiato e triste. Mi dice: «Non voglio che muoiano altri giovani, molti ne sono stati già uccisi. Dobbiamo fermare questa strage. Oggi la barca di linea portava più di cento persone che scappavano dal territorio dopo aver visto trucidare i miei tre figli senza alcun motivo».

Lo avviso che oggi passerà a Solano la Croce Rossa internazionale e che sarebbe importante mettersi in contatto con loro perché appoggiano questi casi di violazione dei diritti umani.

Vedo che si fa sempre più urgente un lavoro con gli adolescenti e i giovani. Già in parrocchia lo stiamo attuando, non solo con attività religiose di catechismo e con gruppi giovanili, ma con una presenza a tappeto nelle varie scuole e collegi del territorio dove operiamo, attraverso un accompagnamento di formazione sul progetto di vita e sui valori in cui credere per costruire il proprio futuro.

Approfitto per ringraziare le varie associazioni e persone che hanno collaborato in questi anni nell’appoggio economico delle varie attività realizzate nella parrocchia e a livello del Vicariato apostolico di Puerto Leguizamo-Solano (come il progetto di Amico, luglio 2019). Qualche frutto lo abbiamo visto in giovani che si sono inseriti nella società come lideres. A livello ecclesiastico abbiamo quattro giovani nel seminario.

Da quando sono arrivato il 3 dicembre del 2017 abbiamo diviso questo immenso territorio in tre parrocchie e come zona ci troviamo una volta al mese qui nella parrocchia madre. Siamo un bel gruppo: tre sacerdoti, sette suore, due seminaristi e una laica Missionaria della Consolata. Un gruppo di missionari/e molto giovani che, guidati dalla forza dello Spirito del Signore, vogliamo accompagnare i vari popoli che vivono in questo territorio amazzonico minacciato dalla violenza e dalla distruzione per interessi di potere e di soldi.

Grazie per la vostra vicinanza, sempre vi ricordo nell’Eucaristia che sta al centro della mia giornata e della mia vita.

Il beato Giuseppe Allamano (oggi è la sua festa) e la nostra madre Consolata siano di appoggio nel nostro cammino missionario per le strade del mondo.

Padre Angelo Casadei
da Solano, Colombia, 16/02/2022


Nuovo ausiliare a Caracas

È con gioia, e ringraziando Dio e la Vergine, che i Missionari della Consolata (Imc) in generale, e quelli del Venezuela in particolare, hanno ricevuto, il 23 dicembre 2021, la bella notizia della nomina di padre Rivas Durán Lisandro Alirio, fino ad allora rettore del Pontificio collegio missionario internazionale «San Paolo apostolo» di Roma, come vescovo ausiliare di Caracas.

L’ordinazione episcopale di mons. Lisandro e mons. Carlos Márquez è stata conferita dal cardinal Baltazar Porras, amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Caracas, nella chiesa di san Giovanni Bosco nella capitale, con la partecipazione di molti vescovi del Venezuela, più alcuni vescovi di Rito greco e due vescovi Imc dalla Colombia.

Nella sua omelia, il cardinale, riferendosi al testo biblico del «Buon Pastore», ha ricordato ai vescovi eletti che sono «scelti, preferiti e sostenuti dal Signore» e che «il Signore li ha chiamati per nome perché sono di Dio» e li ha esortati a essere dei buoni pastori sull’esempio di Gesù.

Domenica 13 marzo 2022, monsignor Lisandro ha celebrato la sua prima messa come vescovo ausiliare nella parrocchia di San Joaquín e Santa Ana di Carapita, nell’area pastorale che è stato incaricato di accompagnare nella periferia della città.

Ha presentato il Vangelo come suo programma pastorale e ha sottolineato che sul suo emblema episcopale c’è la Bibbia aperta su cui sono incise A e Ω con il motto «Perché in Lui abbia vita». Ha espresso la volontà di dare il meglio di sé al servizio del popolo di Dio affidato alle sue cure.

adattato da «Vida nuestra», aprile 2022

Riportiamo in breve questa notizia, riservandoci di pubblicare quanto prima un’informazione più completa sull’avvenimento e sulla situazione pastorale di Caracas.

Foto di gruppo dopo la consacrazione episcopale di Rivas Durán Mons. Lisandro Alirio
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