Ecosistemi sconvolti, intere comunità sfollate, denaro pubblico usato a beneficio di pochi. I progetti aeroportuali nel mondo crescono in numero e in violenza ambientale e sociale. E i movimenti locali di opposizione si mettono in rete.
«Ampliaciones, no. En lucha por el clima, la salud y la vida», «No ampliamenti. In lotta per il clima, la salute e la vita». Nel centro di Barcellona e nel vicino comune di El Prat de Llobregat, dove si trova l’aeroporto internazionale Barcelona-El Prat, lo scorso 19 settembre hanno manifestato con questo slogan oltre 10mila persone.
Convocati dalla coalizione Zeroport e dalla Rete per la Giustizia Climatica (Xarxa de justícia climàtica) della capitale catalana, i manifestanti si opponevano al progetto di ampliamento della struttura aeroportuale.
L’aeroporto che rischiava di mangiarsi il delta del fiume Llobregat era al centro di un acceso dibattito politico in Catalogna e in Spagna. Sia la Generalitat catalana (il governo della comunità autonoma) che il governo centrale spagnolo, infatti, sotto la pressione di gruppi imprenditoriali catalani, come il Grupo Godó, avevano stanziato 1,7 miliardi di euro per aumentare la capacità aeroportuale. L’obiettivo era quello di passare dai 55 milioni di visitatori e turisti annuali in epoca pre Covid a 70 milioni (alcuni hanno perfino parlato di 100 milioni). Più turismo, trasporto più rapido, più servizi, più attrazioni e più shopping tra un volo e l’altro. Il progetto, già traballante al momento della manifestazione, poco dopo è stato dichiarato «sospeso per cinque anni» dal governo nazionale che l’ha escluso dal «Piano aeroportuale spagnolo 2022-2026».
Niente interesse generale
Visti gli attuali dati climatici e le previsioni di innalzamento del livello dei mari che hanno da tempo dimostrato l’inevitabile inondazione dell’area dell’aeroporto nei prossimi decenni, il progetto di ampliamento pare segnato da una visione alquanto ottimista. Ed è anche una visione fuori contesto, dati gli impegni di riduzione delle emissioni di CO2 che lo stesso governo spagnolo ha preso nei vertici Onu per il clima. L’aviazione globale è, infatti, uno dei settori più contaminanti in termini di emissioni.
Inoltre, la terza pista in progetto passerebbe nel bel mezzo de La Ricarda, una delle zone paludose del delta del fiume Llobregat più popolate di biodiversità di tutta la penisola iberica, tanto da essere inserita in diverse liste di protezione ambientale a livello catalano, statale ed europeo.
Quella del progetto è, infine, una visione con la quale reti organizzate come la coalizione Zeroport dissentono profondamente anche per questioni sociali. Stanchi, infatti, del turismo di massa che ha sconvolto il tessuto sociale e commerciale di Barcellona, molti cittadini e cittadine rivendicano una maniera diversa di viaggiare e visitare il mondo: lenta, responsabile e attenta alle realtà locali.
Nel mezzo dell’emergenza climatica e con l’attività aeroportuale attualmente in crisi per la pandemia, afferma Zeroport, risulta chiaro che l’ampliamento dell’aeroporto di Barcellona non è un progetto d’interesse generale. Ciò che è in ballo, piuttosto, sono gli interessi di grandi imprese costruttrici d’infrastrutture e degli azionisti di Aena, società spagnola quotata in borsa in mano a fondi d’investimento, proprietaria della maggior parte degli aeroporti del paese. Gli stessi interessi che girano attorno al mondo delle crociere turistiche e delle grandi navi da carico nel porto della città.
Una mappa dei conflitti
Alla manifestazione di settembre a Barcellona ha partecipato anche la rete globale Stay Grounded («Restiamo a Terra»), a dimostrazione del fatto che la tendenza all’ampliamento delle infrastrutture aeroportuali è un fenomeno globale.
Con l’intento di visualizzare tale tendenza, sulla base dei dati forniti dal Center of Aviation (Capa), il gruppo di ricerca dell’Ejatlas (l’atlante della giustizia ambientale) ha identificato più di 350 progetti aeroportuali attualmente in costruzione o interessati da piani di ampliamento, dei quali oltre il 60% in Asia. Molti di essi hanno generato gravi conflitti relativi all’acquisizione di terreni, allo spostamento di persone, alla distruzione di ecosistemi, all’inquinamento e alla salute.
Nell’aprile del 2021 l’Ejatlas ha pubblicato una mappa tematica con più di 80 casi di conflitto e resistenza contro progetti aeroportuali, arricchita da ulteriore informazione cartografica.
Passeggeri e merci
Ma perché si stanno ampliando tanti aeroporti, o costruendo vere e proprie «aerotropoli»1? Possono esserci diverse ragioni, ma tutte legate alla fiducia nell’aumento degli investimenti per rilanciare i settori turistico, mercantile ed energetico. Molti sono, infatti, i progetti aeroportuali volti a far crescere il turismo e il numero dei passeggeri, come l’aeroporto di Chinchero già in costruzione, che mira ad aumentare il numero di visitatori a Machu Picchu in Perù.
La mappa dell’Ejatlas include anche aeroporti cargo, come quelli di Ebonyi e di Ogun Cargo in Nigeria. Quattro casi indicati nella mappa riguardano aeroporti cargo costruiti per la consegna di attrezzature per importanti progetti riguardanti combustibili fossili: l’aeroporto di Komo, ad esempio, per servire il progetto di gas naturale liquefatto (Gnl) della Papua Nuova Guinea; quello di Hoima per supportare lo sviluppo petrolifero sulle rive del lago Albert in Uganda; la pista di atterraggio di Afungi per servire il Gnl del Mozambico e l’aeroporto di Suai che serve piattaforme petrolifere al largo della costa di Timor Est.
Aerotropoli
Una delle tendenze più eclatanti, soprattutto nel Sud del mondo, è quella delle «aerotropoli»: infrastrutture abnormi, circondate da centri commerciali e industriali, hotel, complessi logistici o collegati a zone economiche speciali. Non si tratta dunque di scali logistici con servizi di comfort, ma di una nuova concezione dell’esperienza aeroportuale. Lo sviluppo delle aerotropoli è iniziato in Europa e negli Stati Uniti negli anni ‘90, in particolare intorno agli aeroporti di Amsterdam, Monaco e Dallas. Ai più grandi progetti di aerotropoli del mondo vengono normalmente assegnate aree di gran lunga superiori alle necessità. Basti pensare a Kuala Lumpur, dove l’aeroporto sorge su 100 chilometri quadrati di terreno, a Denver con uno sviluppo aeroportuale pianificato su 137 km2 e al nuovo aeroporto di Dubai, a cui ne sono stati assegnati ben 140 (la superficie coperta dall’intera città di Napoli è di 119 km2 per 3 milioni di abitanti, ndr).
Tali estensioni sono ufficialmente giustificate dal fatto che le aerotropoli sono motori di sviluppo che galvanizzano la crescita economica per tutti i cittadini. L’obiettivo principale, tuttavia, è massimizzare il commercio e il traffico di passeggeri e di merci al servizio dei profitti delle multinazionali, tra le quali i produttori di aeroplani, le compagnie aeree, quelle petrolifere, di costruzioni, di cemento e asfalto, di sicurezza, i consorzi di grandi hotel e catene di vendita che trattano marchi globali.
I commerci locali di piccole e medie dimensioni sono esclusi.
Essendo grandi progetti infrastrutturali che richiedono, ad esempio, autostrade, collegamenti ferroviari, complessi turistici, le aerotropoli promuovono un ampio processo di espansione urbana e di speculazione immobiliare che finiscono per generare impatti e conflitti socio ambientali a catena.
Sfollamenti e repressione
L’assegnazione di grandi siti per i progetti aeroportuali, spesso terreni agricoli e zone di pesca, comporta che intere comunità, in alcuni casi migliaia di persone, perdano le loro case e i loro mezzi di sussistenza. In molti dei casi studiati dall’Ejatlas si sono verificati espropriazioni di terre (50% dei casi totali) e sfollamenti coatti (47%).
Molte comunità che hanno resistito hanno subìto diverse forme di repressione da parte dello stato: sgomberi forzati, vessazioni, intimidazioni, arresti, incarcerazioni e violenze che hanno provocato anche morti e feriti. Si sono verificati alti livelli di violenza nel 35,5% dei casi, repressione nel 30% e militarizzazione nel 29%. Alcuni esempi sono quelli dell’aeroporto di Arial Beel (Bangladesh), di Mieu Mon (aeroporto militare in Vietnam) e di Lombok (Indonesia).
In Messico, le organizzazioni locali e la comunità indigena Rarámuri, che si oppongono alla costruzione di un aeroporto a Creel, hanno denunciato come crimine di stato l’omicidio di Antonio Montes Enríquez, un leader indigeno che si opponeva al mega progetto turistico «Barrancas del Cobre», trovato senza vita il 6 giugno 2020. Nei casi degli aeroporti di Bhogapuram e Salem in India si sono documentati casi di suicidi tra le persone che sarebbero state sfollate.
Uno degli episodi storici di violazione dei diritti umani si è verificato ad Atenco nel 2006, zona assegnata a un nuovo aeroporto per la Città del Messico: due giovani sono stati uccisi, 26 donne torturate e stuprate e 207 persone arrestate (12 di loro incarcerate per più di quattro anni durante i quali hanno subito torture). Oggi quel progetto è cancellato, ma l’attuale governo di Andrés Manuel Lopez Obrador non ha abbandonato il sogno della mega infrastruttura: un’altra zona, infatti, è stata identificata per il nuovo aeroporto di Santa Lucia, che causerà conseguenze su altre comunità. Ad Atenco e sul lago di Texcoco, rimangono cicatrici di tralicci, cemento e macchinari abbandonati. L’area permane recintata e l’accesso proibito.
Distruzione di ecosistemi
Nei casi analizzati da Ejatlas si sono registrati paesaggi deturpati (48%), deforestazione (41%) e perdita di biodiversità (32%). Uno dei casi più gravi di deforestazione in Sri Lanka si è verificato nell’area in cui è stato costruito l’aeroporto di Mattala. Nelle Maldive, l’espansione dell’aeroporto di Noonu Maafaru sta portando alla perdita di una vasta area della laguna, mettendo a rischio le tartarughe marine e altre specie. Le mangrovie nella baia di Manila, nelle Filippine, sono già state tagliate per il Bulacan Aerotropolis, mentre in Malaysia le barriere coralline e le praterie di alghe sono a rischio per un secondo aeroporto sull’isola di Tioman. La bonifica del terreno per l’aeroporto di Sanya Hongtangwan, in Cina, è stata interrotta per due anni dopo le denunce per gli impatti sull’habitat dei delfini bianchi cinesi, una specie protetta per il suo alto rischio di estinzione. Il sito per un secondo aeroporto pianificato a Lisbona (Portogallo) si trova nella riserva naturale dell’estuario del Tago, un ecosistema cruciale per l’alimentazione di dozzine di specie di uccelli.
Problemi di salute
Se la costruzione di aeroporti crea impatti sugli ecosistemi, ha ripercussioni negative anche sulla salute umana. Durante la fase di costruzione, si registrano molti casi di incidenti, come all’aeroporto indiano di Navi Mumbai, dove alcuni operai sono rimasti feriti in seguito all’uso di esplosivo per aprire passaggi in pareti di roccia e per livellare il terreno e dove, inoltre, soffrono di alti livelli di inquinamento da polvere. Negli Stati Uniti, i residenti nelle vicinanze dell’aeroporto di Cincinnati/Northern Kentucky hanno intentato un’azione legale collettiva per l’eccessiva polvere, rumore e onde d’urto dovute a esplosioni per la costruzione di un hub di carico.
Una volta che gli aeroporti sono operativi, le comunità limitrofe sono esposte agli inquinanti emessi dagli aerei e ad alti livelli di rumore. Le perdite di carburante per l’aviazione possono contaminare le riserve idriche. Ne sono state documentate in relazione alle strutture che riforniscono due basi aeree statunitensi, Kirtland Afb e Red Hill Bulk Storage Facility alle Hawaii.
Disuguaglianze mondiali
Le ingiustizie ambientali e sociali di cui abbiamo parlato dovrebbero essere inserite in una cartografia mondiale sulle diseguaglianze in termini di possibilità di spostamento e di attraversamento di frontiere, nonché di accessibilità ai beni trasportati negli aeroporti cargo.
Le persone con passaporto europeo possono viaggiare in più di 180 paesi senza visto preventivo, mentre i cittadini di paesi più poveri in molti meno, ad esempio gli afghani solo in 26. Per non parlare poi della capacità di far fronte alle spese per i biglietti aerei. I paesi dove è più alta la percentuale di cittadini che non possono fare viaggi internazionali sono quelli nei quali le persone soffrono maggiormente gli impatti sociali e ambientali dei progetti aeroportuali. A questi aeroporti accedono milioni di persone di altri paesi per turismo e per acquistare beni di difficile (o impossibile) accesso per i residenti locali.
Un altro dato su cui riflettere è quello delle disuguaglianze mondiali di emissioni da trasporto aereo. Le emissioni pro capite di CO2 per il turismo del paese più inquinante (Emirati Arabi Uniti) sono 2.908 volte superiori al paese con meno emissioni (Tagikistan). La maggioranza dei paesi (71%) produce emissioni pro capite relative al settore turistico inferiori alla media globale (242 kg). Ventisette paesi, per lo più in Africa, Medio Oriente e Asia meridionale, registrano emissioni di CO2 pro capite (relative al turismo) inferiori a 50 chilogrammi, il che dimostra che i loro cittadini viaggiano molto poco in aereo. Tuttavia, vi troviamo 419 aeroporti operativi e 113 aeroporti pianificati.
Un esempio è l’India, con pochissime emissioni pro capite relative al settore turistico (17,56 kg) ma con 77 aeroporti principali operativi e 52 in costruzione. Numeri destinati a crescere ancora, tramite il programma del governo per la connettività regionale (Udan) che ha l’obiettivo di «rendere il volo una realtà per l’uomo comune delle piccole città». A tal fine, il governo prevede di costruire altri 100 aeroporti entro il 2024.
Le mobilitazioni sociali
La mappa dell’Ejatlas mostra anche una serie di vittorie contro progetti aeroportuali.
Nel 39 per cento dei casi analizzati, la resistenza è stata vista da parte di chi l’ha operata come (parzialmente) riuscita: per l’aumento della partecipazione della popolazione, o per i risarcimenti ottenuti, o, ancora, per le moratorie o cancellazioni dei piani di costruzione. Un esempio famoso in Europa è la resistenza contro il nuovo aeroporto di Nantes, che ha dato vita al movimento zadista (dall’acronimo Zad, zone à défendre, zona da difendere) e alle sue molteplici iniziative di produzione agroecologica, biocostruzioni e attività culturali nei terreni dell’area altrimenti concessionata all’aeroporto.
Tra i casi percepiti come «positivi» rientrano quelli dove le comunità sfollate hanno ottenuto maggiori indennizzi per l’acquisizione di terreni. È questo il caso degli aeroporti di Sentani (Indonesia) e di Bhogapuram (India). Quest’ultimo è un esempio di attivismo che ha ridotto la superficie assegnata al progetto.
In Nigeria, le famiglie agricoltrici espropriate delle loro terre senza preavviso per un aeroporto cargo a Ekiti hanno ottenuto una sentenza del tribunale che ha riconosciuto come illegali le procedure per l’acquisizione forzata delle terre e ha ordinato il pagamento dei danni.
Nella stragrande maggioranza delle storie di successo (80%) la resistenza è iniziata prima dell’inizio dei lavori, e ciò dimostra l’importanza di una strategia preventiva nell’organizzazione sociale. Tuttavia, in molti casi l’opposizione allo sviluppo di un aeroporto provoca lo stallo del progetto piuttosto che l’arresto, come nei casi delle terze piste degli aeroporti di Heathrow (Regno Unito) e di Vienna (Austria).
La possibilità sempre latente che i progetti aeroportuali siano riattivati provoca incertezze e difficoltà presso le comunità interessate, oltre che incontrollabili speculazioni sui terreni limitrofi.
Le domande dei movimenti
Che cosa chiedono, dunque, i movimenti sociali? In poche parole, ripensare il settore dell’aviazione e la maniera in cui viaggiamo. La coalizione Stay Grounded chiede una moratoria sulla costruzione o ampliamento di nuovi aeroporti, sulle aerotropoli e sulle relative zone economiche speciali che beneficiano di riduzioni fiscali e di regolamentazioni sindacali e ambientali deboli. Chiedono inoltre la fine dei sussidi e delle agevolazioni fiscali a favore delle compagnie aeree. Per non parlare dei piani di salvataggio e cancellazione dei debiti di molte imprese.
Oltre alla politica fiscale e alla spesa pubblica a favore dell’industria dell’aviazione, Stay Grounded segnala anche la problematicità della strategia di mitigazione climatica. Quest’ultima prevede, infatti, che per compensare le emissioni di CO2 le imprese aeree possono comprare crediti di carbone derivanti da programmi di riforestazione o di energia rinnovabile. Un meccanismo interessante che si traduce in iniziative nefaste, come l’implementazione di monocolture di alberi che non garantiscono la biodiversità e che escludono le popolazioni locali dall’accesso ai relativi territori, o la costruzione di dighe idroelettriche che provocano perdita di foreste primarie, sconvolgimenti idrogeologici e sfollamenti coatti.
Queste iniziative non riducono gli impatti sociali e ambientali, ma li rimuovono dalla vista dei loro clienti e li spostano in territori e comunità marginalizzati.
Stay Grounded infine raccomanda cautela nell’affidarsi all’innovazione e alle «soluzioni» tecnologiche, come le ipotesi di sostituire il cherosene con biocombustibili o di costruire aerei elettrici. Mentre, infatti, i biocombustibili si sono già dimostrati inefficienti a livello energetico e problematici a livello ambientale, la conversione di un settore come l’aviazione attuale a tecnologie elettriche sembra del tutto irrealizzabile per l’elevatissima quantità di materiali, metalli ed energia che richiederebbe.
Viaggiare diversamente
C’è bisogno, dunque, di un profondo ripensamento del nostro modo di viaggiare.
Tra le azioni da intraprendere quanto prima rientra la riattivazione delle reti ferroviarie locali e a lunga distanza. Allo stesso tempo, i voli a corta distanza dovrebbero essere limitati, seguendo l’esempio di iniziative come quella di Barcellona che sta cercando di eliminare i voli peninsulari di meno di mille chilometri sostituibili con i treni.
La manifestazione di settembre contro l’ampliamento dell’aeroporto di Barcelona-El Prat, il suo clima festoso e propositivo, con la partecipazione di un ampio spettro di gruppi sociali diversi, dimostra che la volontà di pensare in modo diverso il turismo e la mobilità non manca.
Ciò che ora non deve mancare è la volontà politica di ascoltare e immaginare soluzioni all’altezza dei nuovi contesti sociali, ambientali ed economici che si stanno velocemente formando davanti ai nostri occhi.
Daniela Del Bene
Note:
1- neologismo che unisce i termini «aeroporto» e «metropoli»: indica un’area metropolitana le cui infrastrutture, uso del suolo ed economia sono centrate su un aeroporto.
Atlante della Giustizia Ambientale
Questo articolo fa parte di una collaborazione fra Missioni Consolata e l’Ejatlas (Environmental justice atlas) nell’ambito della quale portiamo a conoscenza dei nostri lettori storie e analisi riguardanti alcuni dei conflitti ambientali presenti nell’Atlante.
Per tutti i casi menzionati nell’articolo sono disponibili nell’Atlas le relative schede informative.