Nel cuore e alle frontiere d’Europa
Il vecchio continente è il «qui e ora» della missione. Per i Missionari della Consolata è il luogo delle radici, della sorgente del loro carisma. Sempre più è vera frontiera di testimonianza, annuncio e consolazione.
Non come lupi solitari, ma come tessitori di reti.
«Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio ripetitivo e vuoto, se non si presentano nuovamente a partire da un confronto con il contesto attuale, in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità» (Laudato si’, n. 17).
Questa breve citazione di papa Francesco, tratta dall’enciclica Laudato si’, sarebbe potuta essere il cappello sotto cui collocare tutta la riflessione della prima Conferenza della neonata Regione Europa dei Missionari della Consolata.
Questo incontro, iniziato in streaming lo scorso mese di maggio e conclusosi in presenza a Fátima (Portogallo) dal 20 al 24 settembre 2021, ha di fatto sancito l’unione in un’unica circoscrizione (iniziata giuridicamente due anni fa) delle nostre comunità di Missionari della Consolata in Italia, Polonia, Portogallo e Spagna.
Ne è nato un documento interessante, il Progetto missionario regionale, una sorta di vademecum che, definendo in modo chiaro alcuni obiettivi, cerca di individuare criteri e linee di azione per giungere a una nuova comprensione, e quindi a un nuovo orientamento di ruolo e azione, del missionario della Consolata oggi in Europa.
Il contesto
Come emerge chiaramente dalla citazione di papa Francesco, il confronto con l’hic et nunc, il «qui e ora» della missione, deve essere l’imprescindibile punto di partenza come anche l’auspicato traguardo dell’impegno missionario nel continente.
La Conferenza ha ribadito l’importanza di dedicare tempo e attenzione all’analisi del contesto, in modo che essa possa diventare atteggiamento e metodo, ispirazione e prassi.
È inutile ricordare come la missione in Europa sia stata caratterizzata fino a non molti anni fa da una dimensione totalmente opposta: era una missione ibi et post, «lì e dopo», che si svolgeva altrove, e per la quale in Europa ci si preparava, tanto da un punto di vista accademico professionale, quanto economico e strutturale.
La Conferenza regionale ha scelto di focalizzare il proprio lavoro sull’analisi della realtà, nella consapevolezza che è il contesto che sceglie noi, ci interpella come cristiani e missionari, ci obbliga a prendere decisioni, orientare la preghiera, ispirare l’azione.
Mentre scrivo, svariati paesi dell’Europa sono nuovamente sfidati da una crescita esponenziale del Covid, le cui conseguenze economiche e sociali generano un malcontento popolare difficile da controllare e per giunta cavalcato in modo opportunista e strumentale da frange estremiste e xenofobe.
Al confine orientale dell’Unione europea va in scena una tragedia umana di dimensioni epocali con migliaia di migranti esposti ai rigori dell’inverno, che rischiano di morire di freddo, stenti o botte al confine tra Polonia e Bielorussia.
Reticolati e muri diventano la cifra delle nostre relazioni, mentre la Cop26 ha lasciato senza risposta gli interrogativi circa la volontà dei governi di assumere impegni concreti e soprattutto urgenti e credibili nei confronti della salvaguardia del pianeta (cfr il Dossier di questo numero).
In soli dieci giorni tutti questi fatti sono stati oggetto di cronaca, hanno rappresentato il «qui e ora», uno scenario in cui anche il missionario può dire la sua. Anzi, è chiamato a farlo.
Dal Marocco alla Bielorussia
Ecco allora che, qualcuno dice profeticamente, la prima Conferenza della Regione Europa Imc ha dato il visto buono all’apertura della comunità di Oujda, in Marocco, vicino al confine con l’Algeria. Il Marocco non è in Europa, ma Oujda è, oggi, un punto di approdo per chi ha appena terminato di attraversare il deserto e arriva in condizioni di grande bisogno a un punto cruciale del suo viaggio della speranza verso l’Europa. Sono stati i nostri confratelli in Spagna, da anni parte di una rete/osservatorio sui movimenti migratori nel Mediterraneo, a spingere affinché l’Istituto scegliesse un impegno concreto in questa realtà.
La stessa Conferenza ha dato il via libera alla volontà dei missionari della Consolata in Polonia, di aprire una seconda comunità, in una città a trenta chilometri dalla frontiera con la Bielorussia.
Nel 2008, il nostro Istituto aveva scelto di dare vita a una presenza in Polonia per essere germe di universalità e interculturalità in una Chiesa tradizionalmente molto forte, ma che sentiva il bisogno di essere maggiormente stimolata nella propria dimensione missionaria.
Sarebbe dovuto anche essere un primo passo verso un’ulteriore apertura nell’Est Europa. Oggi, è significativo essere presenti come segno di fraternità universale in quella frontiera simbolo della chiusura delle nostre frontiere e dei nostri cuori.
Senza il bisogno di tante parole, le nostre comunità interculturali, formate da confratelli provenienti da tre diversi continenti, annunciano che la logica del Vangelo è quella del ponte, non certo quella del muro o del cavallo di frisia.
Ovviamente, è importante formarsi in maniera adeguata a questa missione. Il Progetto missionario regionale europeo ha ben chiaro che soltanto chi saprà usare in modo armonico Bibbia e giornale, spiritualità e attenzione alla realtà, riuscirà a penetrare le pieghe di una cultura in continua evoluzione e rispondere a sfide importanti come quelle che la Chiesa sta vivendo oggi in Europa: la perdita di significato e di credibilità, la marginalizzazione, l’essere divenuti minoranza.
Educarsi alla missione in Europa, oggi richiede il coraggio di cambiare paradigma formativo, associando alla ricerca di una spiritualità forte, costruita sull’incontro costante e profondo con la Parola, l’inserimento in comunità che siano allo stesso tempo apostoliche e formative, in cui la ricerca di una buona preparazione accademica si sposi con un’approfondita conoscenza della realtà e delle persone che la compongono.
Carisma
Va da sé che la bontà o meno del Progetto regionale, la sua assunzione da parte delle comunità di missionari della Consolata e la messa in pratica nelle varie attività regionali, dipenderanno in gran parte dalla capacità che le comunità avranno di rileggere e interpretare il carisma del nostro istituto alla luce dell’oggi.
Le nostre comunità Imc in Europa, in particolare quelle in Italia, sono depositarie di un patrimonio spirituale e carismatico importante. Esse vivono e operano nei luoghi dove tutto ebbe inizio, ma guai se questi si trasformassero in una sorta di museo spirituale, dove trovare una collezione di cimeli con i quali crogiolarsi nel ricordo dei «bei tempi andati».
Oggi il nostro Istituto, come del resto altre congregazioni fondate più o meno nello stesso periodo (a cavallo fra 19° e 20° secolo), sta vivendo un’esperienza particolare: da una parte l’estinzione di una generazione di missionari che ha conosciuto o è stata molto vicina alle fonti dirette del carisma, le ha studiate e tramandate, alcune volte pubblicando testi che sono ancora imprescindibili per chi vuole conoscere la storia e lo spirito delle nostre missioni; dall’altra l’emergere di una nuova generazione di missionari che corre il rischio di perdere il legame vitale con la storia dell’Istituto e quindi di non essere capace di trasmettere con efficacia l’eredità spirituale di chi ci ha preceduto.
La Regione Europa Imc ha il dovere di continuare a essere «culla» del carisma, ma deve altresì essere anche «girello», strumento attraverso cui il pensiero di Giuseppe Allamano e le intuizioni significative dei missionari cresciuti sotto le sue ali, vengono portati per le vie della nostra missione di oggi nel continente. Pensieri e intuizioni depurati di tutto quanto non è più attuale e creativamente nutriti delle nuove e dinamiche manifestazioni dello Spirito.
Le parole della missione
Come comprendere e declinare, allora, alcune parole che fanno parte del nostro bagaglio missionario alla luce di dove e di quanto stiamo vivendo?
La parola annuncio, per esempio, attraverso la quale il missionario riscopre oggi, anche in Europa, il suo ruolo di araldo del Vangelo, di messaggero del primo annuncio, di testimone di Cristo, presentato a chi non lo ha incontrato prima o a chi, forse, ne ha soltanto sentito parlare in tempi ormai lontani.
Oggi, il missionario, per essere tale, per poter continuare a fregiarsi di un titolo che gli viene attribuito in virtù di una vocazione specifica, non può abdicare alla missione di cercare «i lontani», anche quelli che si trovano dietro l’angolo, di entrare in dialogo con quelle frange di umanità che non hanno mai frequentato, o non frequentano più, i nostri abituali recinti.
Come comprendere oggi la parola consolazione? L’assemblea dei missionari riuniti in Conferenza ha cercato di leggere la portata attuale di questo termine che è parte del nostro nome, parola con la quale ci presentiamo. Le nostre comunità non cessino di essere presenza viva, autentica e prossima a chi sta sempre ai margini, affamato di compassione e condivisione.
Che senso possiamo dare oggi alla parola parrocchia, perché indichi una realtà che sia un segno distintivo del nostro modo di vivere la missione ad gentes, soprattutto nelle periferie delle città europee?
Come ricomprendere il termine economia, riferita alla vita materiale delle nostre comunità Imc, in modo che diventi non soltanto uno strumento funzionale all’organizzazione della vita e delle opere dei missionari, ma sia una vera e propria dichiarazione di intenti nella testimonianza di giustizia, impegno per la pace e salvaguardia della casa comune nella quale viviamo?
Riempire le parole di un significato nuovo e attuale, non lasciare che risuonino vuote, fare in modo che parlino veramente alla testa e al cuore delle persone che incontriamo, è una delle prime condizioni per dare corpo alla nostra missione in Europa.
Camminare insieme
Sappiamo che la strada da percorrere non è facile.
I missionari della Consolata riuniti a Fátima non hanno peccato di ingenuità, e sono stati ben contenti di ritrovarsi insieme in un luogo benedetto dalla presenza della Vergine Maria, loro protettrice, per affidare ancora una volta a lei le scelte impegnative che li attendono dietro l’angolo.
Alcune circostanze del contesto europeo non vanno prese sottogamba, e obbligano chi dirige oggi il cammino della Regione a fare i salti mortali per riuscire ad armonizzare l’utopia con il disincanto, la provvidenza con il realismo.
In alcuni casi saremo certo obbligati a puntare al ribasso: la nostra missione è oggi più povera di risorse, tanto umane quanto economiche, rispetto al passato; ciò avviene per tante e diverse ragioni che vanno dalla perdita, nella società, del senso religioso e dell’affezione verso il mondo missionario, al crollo di fiducia (soprattutto delle generazioni più giovani) verso la Chiesa vista come istituzione.
Stiamo diventando (fisicamente e metaforicamente) più anziani e, con l’età, non mancano gli acciacchi. Questo ci obbliga a «dimagrire», a spendere energie in un processo di spoliazione tanto doloroso quanto inevitabile. Questo fenomeno, non serve nascondersi dietro un dito, condizionerà le scelte attuali e future e andrà tenuto sempre presente per poter progettare una missione che sia anche fattibile.
Tuttavia, non siamo esentati dal sollevare la testa guardandoci intorno. Dobbiamo continuare a dire: «Possiamo», se lo vogliamo, e, soprattutto, se crediamo fermamente che lo vuole il Signore. Lui non farà mancare il suo aiuto nei momenti di aridità, di «impantanamento», di difficoltà anche drammatica, come tante volte ha dimostrato nel passato. A noi sta il compito di provarci sempre e comunque.
Nel corso dei prossimi mesi, MC vi porterà a spasso per alcune delle nostre comunità in Europa, perché vogliamo condividere con voi alcuni tentativi già in atto di vivere l’ad gentes alla luce dei tempi e dei luoghi in cui siamo inviati ad annunciare il Vangelo.
Saranno questi percorsi, accompagnati dalla viva voce dei missionari che li hanno intrapresi, a spiegare con chiarezza, sicuramente meglio delle parole di questo articolo, che cosa intendiamo per missione in Europa oggi.
Nel fare questo, inoltre, non nascondiamo il nostro desiderio di coinvolgere in questa avventura anche voi che, in questo momento, state leggendo MC.
L’invito a seguirci che vi rivolgiamo, vuole, infatti, sancire un altro dei criteri che il Progetto regionale reputa fondamentali per vivere la nostra missione nella gioia ed efficacemente: fare rete, non pensare di voler costruire il Regno di Dio da soli, camminare con altri.
La Chiesa oggi chiama questo stile «sinodalità», e dà a esso così tanta importanza da aver deciso di istituire un Sinodo su questo tema, e di voler dedicare il tempo che intercorrerà tra adesso e la sua celebrazione (ottobre 2023) a un cammino di ripensamento della Chiesa sulla base del coinvolgimento comunitario. La missione oggi in Europa non può essere fatta da «lupi solitari»; non è più il tempo per camminare da soli.
A questo riguardo, nel ribadire che il vero agente della missione è la Chiesa locale, la Conferenza dice che, pur preservando le nostre specificità e il nostro carisma, è soltanto all’interno di essa e in comunione con essa che la nostra missione sarà gioiosamente efficace, gratificante e, chissà, magari anche profetica.
Il nostro stile di presenza in un mondo caratterizzato sempre più dalla multiculturalità ci apre a bellissime esperienze di collaborazione in tutto il Continente, tanto nel catecumenato, quanto, più in generale, nella catechesi degli adulti, nella formazione dei catechisti e nella pastorale migranti.
In contesti, anche ecclesiali, tentati dalla chiusura e dall’autoreferenzialità, il nostro apporto negli uffici missionari delle varie diocesi può essere (e di fatto lo è) valorizzato come una boccata d’aria fresca. Sempre e soltanto nel momento in cui, però, la chiesa locale diventi veramente famiglia, compagna di viaggio.
Infine, sempre nello spirito della sinodalità, la nostra missione in Europa deve continuare a guardare fuori dal proprio orto. Grazie alla generosità e al sacrificio di tanti, le nostre comunità hanno potuto costantemente dare una mano a quelle degli altri continenti. Secondo il principio che si può aiutare le nuove chiese sia partendo che donando, molti nostri benefattori ci hanno permesso di non essere estranei a tante situazioni di dolore e necessità nel mondo.
Chiediamo però che questa disposizione, sempre attiva nel sostenere progetti di sviluppo, programmi di formazione e sostegno a distanza, crei rapporti di interscambio con altre realtà del mondo che, grazie al dono della loro cultura e delle loro tradizioni, possano aiutarci a far comprendere e accogliere alle nostre chiese il dono dell’altro.
Ugo Pozzoli
* Regione Europa Imc