Se l’acqua dipende dai «futures»

testo di Francesco Gesualdi |


I «futures» sono scommesse di borsa per speculare sulle variazioni di prezzo di una merce. Un’idea (perversa) di quell’economia finanziaria che ora ha preso di mira anche l’acqua, cioè un bene e un diritto essenziale.

Si sono aperte le scommesse anche sul prezzo dell’acqua. Si tratta di una minaccia non solo economica, ma pure politica. Al momento succede solo negli Stati Uniti per iniziativa della Chicago mercantile exchange (Cme), la più potente società mondiale specializzata nell’intermediazione di prodotti finanziari connessi alle commodities: minerali, prodotti agricoli, prodotti energetici e ora anche l’acqua. Oltre a innumerevoli piattaforme informatiche, il gruppo Cme gestisce quattro borse valori di dimensione internazionale: due a Chicago e due a New York. Il compito di Cme è fare incontrare ogni giorno milioni di attori interessati a stipulare contratti di acquisto o di vendita con consegna a data futura secondo prezzi concordati nel tempo presente. Operazioni spesso svolte senza l’interesse reale a vendere o comprare ciò che è stato pattuito, ma con la speranza di trarre vantaggio dalle variazioni di prezzo che, secondo le proprie previsioni, dovrebbero intervenire fra il momento della firma e la consegna. Genericamente tali contratti vanno sotto il nome di futures, alla lettera «futuri».

Contrattazioni

I futures nacquero a metà Ottocento assieme alla borsa di Chicago, lo spazio mercantile creato per favorire lo scambio di derrate agricole. Un luogo di contrattazione di livello nazionale dove i grandi produttori agricoli potevano incontrare i grandi mercanti di derrate alimentari per concludere accordi di compravendita.

Inizialmente si trattava di un mercato spot, un luogo cioè in cui si trattavano quantità fisiche giacenti nei magazzini. Potevano essere sacchi di grano, di mais, di riso, di zucchero, che gli acquirenti si sarebbero portati via una volta concluso l’accordo. Ma, andando avanti, subentrò anche l’abitudine di avviare contrattazioni su quantità ancora da raccogliere. Forse per interesse di entrambe le parti: di chi comprava per garantirsi la continuità delle forniture e di chi vendeva per avere la certezza che i suoi raccolti sarebbero stati venduti. Ma anche per avere garanzie rispetto ai prezzi. In fondo l’agricoltura è sempre piena di incognite: basta una pioggia in più o in meno, lo sviluppo di insetti di un tipo o di un altro e si può avere un raccolto scarso o abbondante con inevitabili ripercussioni sul prezzo: in crescita se i raccolti sono scarsi, in diminuzione se sono abbondanti. Comprare in anticipo a prezzo prefissato mette entrambe le parti al sicuro, anche se qualora dovessero intervenire variazioni importanti, una delle parti contraenti si mangerà le mani per la perdita potenziale subita, l’altra se le fregherà per lo scampato pericolo.

Sia come sia, i futures si affermarono così tanto che vennero addirittura accettati dalle banche come forme di garanzia per i prestiti che concedevano. In fondo se si trattava di futures di vendita la banca aveva la garanzia che, alla data prestabilita, sarebbe arrivato del denaro. Se si trattava di un future di acquisto la banca aveva la garanzia che sarebbe arrivato un carico di raccolto. Ma il vero elemento di novità che venne avanti con l’affermarsi dei futures fu l’entrata in campo degli speculatori, soggetti che non sono interessati a comprare e vendere nessun tipo di merce, ma solo a scommettere sull’andamento del suo prezzo in modo da guadagnare nel caso si sia visto giusto. Tradizionalmente le scommesse si fanno rispetto a delle gare, siano esse sportive, politiche, o di altro tipo, ed hanno come parti lo scommettitore e il botteghino che tiene il banco. Lo scommettitore punta una certa somma sulla vittoria di un giocatore e, in caso di successo, il banco si impegna a restituire la somma versata maggiorata di un premio. In caso di sconfitta, lo scommettitore perde tutto a vantaggio del botteghino.

L’acqua non è una merce da contrattare alla Borsa valori. Foto Gerd Altmann-Pixabay.

Scommesse dannose

Le scommesse attuate nell’ambito della speculazione finanziaria funzionano diversamente. Per cominciare, il rapporto si tiene fra due soggetti e si concretizza tramite un contratto di compravendita a consegna futura. L’abilità delle due parti sta nella capacità di indovinare come si muoverà il prezzo e, a seconda delle proprie previsioni, collocarsi nella posizione di compratore o di venditore. Chi avrà visto giusto guadagnerà, chi avrà visto sbagliato perderà. Per una migliore comprensione del meccanismo si vedano i semplici esempi contenuti nel box qui a sinistra.

La scommessa è una forma di gioco d’azzardo altamente discutibile da un punto di vista morale e sicuramente dannosa da un punto di vista umano e sociale. Ma quando si viene alla speculazione finanziaria, molti pensano che possiamo disinteressarcene perché riguarda solo i ricchi. Della serie: che si derubino pure fra loro, tanto noi non ne siamo toccati. Ma non è così. Le conseguenze delle scommesse realizzate tramite futures difficilmente rimangono confinate alle due parti contraenti, molto più spesso ricadono su tutti perché alcuni soggetti finanziari hanno una tale potenza di fuoco da poter spingere, con le proprie scelte, i prezzi nella direzione voluta. Così i mercati finanziari determinano le sorti dell’economia reale. Varie volte in passato i prezzi del petrolio hanno subìto bruschi rialzi o ribassi a causa delle scelte effettuate dagli speculatori. Lo stesso dicasi per il caffè, un settore che ogni anno vede la stipula di contratti a scopo puramente finanziario per volumi di merci anche venti volte più alti di quelli stipulati a scopo commerciale. Con somma gioia di chi gestisce le borse perché l’attività di intermediazione rende bene: complessivamente nel 2019 Cme ha registrato una media quotidiana di 19 milioni di contratti che le hanno procurato commissioni per quasi cinque miliardi di dollari. Detratte le spese e le tasse, i suoi azionisti, principalmente fondi di investimento come Capital Research & Management, Vanguard, BlackRock, si sono spartiti profitti per oltre due miliardi di dollari.

Penuria e tariffe

L’idea di promuovere i futures sull’acqua, a Cme è venuta in mente osservando la penuria di acqua che, da qualche tempo, colpisce la California. Uno dei periodi di maggior siccità è stato quello fra il 2012 e il 2016, durante il quale molte parti della Central Valley sono sprofondate anche di 60 centimetri come risultato della scarsità di piogge e della sete insaziabile di acqua da parte degli agricoltori. Per decenni le aziende agricole hanno pompato acqua in maniera indiscriminata fino a provocare un tale abbassamento delle falde acquifere da fare sprofondare strade, ponti, edifici. Ora lo stato della California ha deciso di proteggere i suoi acquiferi tramite una tripla strategia: migliore irreggimentazione delle acque piovane, limiti ai prelievi da parte dei pozzi privati, aumento dei prezzi applicati sull’acqua prelevata dai corsi d’acqua superficiali. Il tutto tenendo presente che anche negli Stati Uniti, come in molti altri paesi, le acque di fiumi e laghi sono gestiti da autorità pubbliche che però consentono, a chi ne fa richiesta, di prelevare acqua in cambio di una concessione a pagamento. Solitamente le richieste sono avanzate da imprese (siano esse pubbliche o private) che gestiscono i servizi idrici urbani, da industrie e centrali elettriche o anche da aziende private che poi rivendono l’acqua agli agricoltori a scopo irriguo. In California, la tariffa di concessione per il prelievo di acqua è passata approssimativamente da 224 dollari ogni mille metri cubi, nel 2009, a 446 nel 2015. E, dopo alcuni mesi di retrocessione, nel luglio 2020 la tariffa è tornata a impennarsi raggiungendo 703 dollari ogni mille metri cubi.

L’acqua è un diritto

Un andamento che ha attirato l’attenzione degli esperti finanziari di Cme i quali si sono convinti che l’acqua è ormai entrata in una fase di scarsità che la destina a un aumento costante del prezzo, seppur con lievi contrazioni transitorie interpretabili come le classiche eccezioni che confermano la regola. E sono giunti alla conclusione che i tempi erano maturi per avviare un mercato dei futures dedicato all’acqua, perché quando i prezzi si fanno instabili, emergono due gruppi di attori che si rivolgono al mercato dei futures: le aziende commerciali in cerca di meccanismi di stabilità e gli speculatori che sperano di guadagnare dai prezzi in movimento.

Così nel dicembre 2020 Cme ha inaugurato il mercato dei futures per l’acqua. Ma l’iniziativa non è piaciuta a tutti. Fra i critici Pedro Arrojo-Agudo, rappresentante speciale della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite con delega particolare all’attuazione del diritto all’acqua potabile. In una nota dell’11 dicembre afferma con forza che «l’acqua non si può quotare a Wall Street alla stregua dell’oro o del rame. L’acqua è di tutti, è un bene comune. È direttamente connessa alle nostre vite e al nostro benessere». E ha continuato: «Sul mercato dei futures operano anche banche e fondi speculativi che usano i futures come strumento di scommessa. Se il loro interesse dovesse essere quello di spingere il prezzo dell’acqua sempre più su, si assisterebbe a una bolla speculativa come si ebbe nel mercato dei cereali nel 2008. Se dovesse succedere, milioni di famiglie e di piccoli agricoltori perderebbero l’accesso ad un diritto fondamentale come l’acqua».

Non è una merce

L’iniziativa di Cme minaccia l’acqua come diritto non solo per le ripercussioni economiche, ma anche per quelle culturali e politiche. Visto da questo punto di vista, il mercato dei futures è un altro tassello aggiunto al castello delle privatizzazioni, affinché pezzo dopo pezzo ci abituiamo a considerare l’acqua una merce qualsiasi da fare gestire al mercato. Tanto più che il mercato si presenta come il migliore gestore delle risorse scarse. E qui scopriamo che oltre all’inganno c’è anche la beffa perché lo stato di crisi profonda in cui si trova l’acqua non è dovuto solo ai cambiamenti climatici, ma anche al sovra sfruttamento e all’inquinamento che ha reso l’acqua inservibile. L’acqua, insomma, è una delle tante vittime di una concezione economica che dando valore solo a ciò che ha prezzo, maltratta tutto ciò che è comune semplicemente perché è gratuito. Ma, ciliegina sulla torta, dopo aver trasformato le risorse abbondanti in risorse scarse, il mercato pretende di essere lui a gestirle, sostenendo di essere l’unico a disporre dei mezzi per farlo. Il mezzo è quello del prezzo, altamente classista, perché dà non a chi ha bisogno, ma a chi ha denaro da spendere. L’unica alternativa possibile è quella di papa Francesco che, al punto 158 della Laudato si’, scrive: «Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante ingiustizie e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri».

 Francesco Gesualdi




Perché l’Oms non funziona come dovrebbe

testo di Chiara Giovetti | foto AfMC |


Gli stati membri collaborano solo se a loro conviene e la struttura burocratica dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è troppo lenta e inefficiente. La vicenda di Covax è solo il più recente esempio di mancanza di incisività per un’organizzazione nata con l’ambizione di coordinare la sanità a livello mondiale e oggi in evidente crisi.

Lo scarto fra paesi ricchi e paesi poveri nel numero di vaccini somministrati «cresce ogni giorno, e ogni giorno diventa più grottesco. Paesi che ora stanno vaccinando persone più giovani e sane a basso rischio lo fanno a spese delle vite del personale sanitario, degli anziani e dei gruppi a rischio in altri stati. I paesi più poveri del mondo si chiedono che cosa davvero intendano i paesi ricchi quando parlano di solidarietà»@.

Così Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha descritto durante una conferenza stampa dello scorso 22 marzo la situazione di disparità nell’accesso ai vaccini contro la Covid. A gennaio Tedros aveva detto che il mondo era sull’orlo di un catastrofico fallimento morale e che era necessario agire con urgenza per assicurare un’equa distribuzione dei vaccini. «Abbiamo i mezzi per scongiurare questo fallimento – ha poi ribadito il direttore dell’Oms a marzo – ma è scioccante quanto poco sia stato fatto per ridurre lo scarto».

Vaccini per tutti

Per tentare di garantire una più equa distribuzione dei test, degli strumenti terapeutici e dei vaccini per contrastare la pandemia, già dall’aprile dell’anno scorso, l’Oms ha avviato – insieme alla Banca mondiale, all’Alleanza globale per i vaccini (Gavi), e a diversi altri partner – l’iniziativa Act-A, che si propone di ampliare il più possibile l’accesso agli strumenti di lotta alla Covid (Access to Covid-19 tools accelerator).

La colonna portante dell’iniziativa Act-A per l’acquisto e la distribuzione dei vaccini si chiama Covax: secondo quanto si leggeva lo scorso marzo nel rapporto sul primo ciclo di assegnazioni@, l’obiettivo è quello di consegnare fra gennaio e maggio 2021 ai 142 partecipanti al programma 237 milioni di dosi di vaccino, per arrivare poi a due miliardi di dosi (1,8 miliardi secondo le proiezioni più recenti@) entro la fine dell’anno. Si tratta prevalentemente del vaccino AstraZeneca/Oxford – prodotto dal Serum Institute of India, che ha concluso con AstraZeneca un accordo per la licenza – e, in misura molto minore, del vaccino Pfizer Biontech.

Come spiegava l’amministratore delegato di Gavi, Seth Berkley@, Covax era nata per coinvolgere tutti i paesi del mondo, a prescindere dal loro reddito, in un unico sforzo per la negoziazione e l’acquisto dei vaccini, in modo da garantire la copertura vaccinale per il 3% della popolazione, corrispondente grosso modo al personale sanitario, su tutto il pianeta. La seconda fase sarebbe stata poi quella di arrivare a coprire il 20% della popolazione, con i paesi ad alto reddito che avrebbero comprato i vaccini autofinanziandosi e 92 paesi a basso reddito che avrebbero visto i costi coperti tramite le donazioni dei paesi più ricchi sotto forma di aiuto pubblico allo sviluppo.

Raggiunta la copertura vaccinale per il 20% della popolazione, Gavi prevedeva un meccanismo per cui, anche finanziandosi attraverso banche multilaterali, i paesi più poveri avrebbero ricevuto ulteriori vaccini sopportando una parte dei costi.

Bambino della Casa Hogar Estancia de Maria a Guadalajara, Messico

Promesse e realtà

Ad oggi, quasi nessuno dei paesi ad alto reddito utilizza la piattaforma Covax per negoziare e acquistare i vaccini. Pur con le eccezioni di Canada, Nuova Zelanda e Singapore, che comunque acquistano solo una porzione molto limitata di dosi tramite Covax, lo sfilarsi dei paesi ricchi dal meccanismo multilaterale ha contribuito a generare l’attuale situazione di stallo, in cui le principali economie mondiali usano i canali bilaterali e comprano direttamente dalle case farmaceutiche ritardando le spedizioni dei vaccini verso i paesi in via di sviluppo@.

Anche sul versante dell’appoggio da parte dei donatori, Covax fatica a decollare: secondo i dati dello scorso 21 marzo consultabili sul sito dell’Oms@, gli impegni a donare avevano raggiunto gli 11 miliardi di dollari: la Germania e gli Stati Uniti guidavano con 2,6 miliardi e altri 2,5 miliardi il gruppo dei primi dieci donatori, seguiti da Regno Unito, Canada, Commissione europea, Consorzio diagnostico per la Covid-19 (coordinato dall’Oms), Norvegia, Bill & Melinda Gates foundation, Arabia Saudita e Giappone.

L’Italia, che si era impegnata per 116 milioni di euro, si trovava al quindicesimo posto, mentre fra i donatori privati, oltre alla già citata Bill & Melinda Gates foundation, vi erano Reed Hastings e Patty Quilling, cioè il cofondatore e attuale amministratore delegato di Netflix e la moglie, che hanno promesso 30 milioni di dollari, seguiti dalla multinazionale di servizi finanziari Mastercard e dalla Chan Zuckerberg initiative del proprietario di Facebook e della moglie, solo per citarne alcuni.

Anche limitandosi solo alle promesse, il deficit di finanziamento a marzo restava di circa 22 miliardi di dollari, di cui 3,2 miliardi mancanti proprio a Covax. Quanto al lato degli esborsi effettivi, secondo una ricostruzione dell’Economist@ al 25 marzo per sostenere le attività di Act i donatori avevano effettivamente versato solo mezzo miliardo di dollari, di cui 300 milioni per i vaccini. La somministrazione è comunque iniziata il 1° marzo scorso, con il Ghana e la Costa d’Avorio come primi paesi beneficiari per l’Africa e la Colombia per l’America Latina, ma per i paesi a reddito basso e medio basso la strada sembra ancora molto in salita.

Alla data di chiusura di questo articolo, su 475 milioni di dosi somministrate nel mondo 126 milioni erano andate agli Stati Uniti, 60 milioni all’Unione europea e 30 milioni al Regno Unito: una frazione della popolazione mondiale pari a un decimo ha ricevuto poco meno della metà dei vaccini. In Africa, dove abita circa un sesto degli abitanti del pianeta, le dosi inoculate erano 8,5 milioni, il 2% del totale.

Quanto alle dosi acquistate, secondo il monitoraggio effettuato ogni due settimane dal centro studi statunitense Duke global health innovation center@, a metà marzo su 8,6 miliardi totali 4,6 erano dei paesi ad alto reddito (il 53,7%), 1,5 miliardi (17%) dei paesi a reddito medio alto, 703 milioni (8%) dei paesi a reddito medio basso e 670 milioni (7,8%) dei paesi a reddito basso, mentre l’iniziativa globale Covax aveva comprato il 13% delle dosi, pari a 1,1 miliardi di dosi.

Le numerose richieste, promosse da Ong come Medici senza frontiere e appoggiate dall’Oms, di sospendere i brevetti dei vaccini non hanno sortito ad oggi alcun effetto a causa principalmente delle resistenze di Usa, Ue, Svizzera e Regno Unito@.

Gesto simbolico di intercessione in tempi di Covid in Sud Corea

L’Oms e i ritardi della Cina

Le iniziative promosse dall’Oms per combattere il coronavirus non hanno ottenuto l’adesione e i risultati sperati anche a causa della scarsa collaborazione da parte delle principali economie mondiali e del prevalere della logica del bilateralismo.

La mancata collaborazione da parte della Cina è stata anche il motivo principale dei ritardi con cui nel gennaio del 2020 l’Oms ha allertato il mondo sul coronavirus e sulla gravità della situazione. Se pubblicamente l’Oms lodava la Cina per la gestione dell’epidemia, riportava nel giugno scorso Associated press (Ap)@, il dietro le quinte era però ben diverso: vi era notevole frustrazione tra i funzionari dell’Oms per i ritardi significativi con cui il governo cinese condivideva informazioni cruciali, ad esempio quelle sul genoma del virus, nonostante la rapidità con cui gli scienziati cinesi le avevano fornite a Pechino.

Le lodi pubbliche, continua Ap riportando il contenuto di alcune registrazioni degli incontri interni all’Oms in quelle settimane, erano parte di una strategia per invogliare il governo cinese a collaborare in una fase in cui – nelle parole del più alto funzionario dell’Organizzazione in Cina, Gauden Galea -, «ci danno le informazioni un quarto d’ora prima che vengano trasmesse su Cctv», la televisione pubblica cinese.

Burocrazia elefantiaca e immobilista

La scarsa collaborazione ricevuta non toglie, tuttavia, che l’organizzazione funzioni da anni in modo tutt’altro che impeccabile.

I ritardi dell’Oms nel dare l’allarme su un’epidemia non sono una novità: nel 2015 l’organizzazione fu duramente attaccata per aver aspettato due mesi prima di dichiarare emergenza globale l’epidemia di ebola in Africa occidentale l’anno prima. A trattenere l’Oms, nonostante i suoi funzionari sul campo inviassero a Ginevra numerose e accorate segnalazioni e richieste d’aiuto, fu il timore di danneggiare l’economia regionale e di compiere quello che i governi della zona avrebbero potuto leggere come un atto ostile@.

L’Oms condivide molte delle pecche del più ampio sistema di cui fa parte, le Nazioni Unite: in un articolo apparso nel 2016 sul New York Times dal titolo «Amo le Nazioni Unite, ma stanno fallendo»@, un funzionario Onu di lungo corso come Anthony Banbury individua i principali problemi della struttura nel suo sistema sclerotizzato di gestione del personale e nella tendenza a prendere decisioni basate sulla convenienza politica – ad esempio non scontentare gli stati membri – invece che sui valori fondanti dell’organizzazione o sulla realtà dei fatti sul campo.

Per quanto riguarda il primo ostacolo, spiega Banbury che, durante l’epidemia del 2014, era capo della missione Onu per la risposta di emergenza all’ebola, «troppo spesso, l’unico modo per accelerare le cose è infrangere le regole. È quello che ho fatto ad Accra [in Ghana] quando ho assunto un’antropologa come consulente indipendente. Si è rivelata qualcuno che valeva il proprio peso in oro. Le pratiche di sepoltura non sicure erano responsabili di circa la metà dei nuovi casi di ebola in alcune aree. Dovevamo capire queste tradizioni prima di poter persuadere le persone a cambiarle. Per quanto ne so, nessuna missione delle Nazioni Unite aveva mai avuto un antropologo nello staff prima di allora; quando io ho lasciato la missione, lei non è stata confermata».

Distribuzione di cibo ai più poveri in eSwatini.

«Un covo di squali»

I rapporti disfunzionali all’interno dell’agenzia sono anche l’oggetto delle critiche di Laurie Garrett, esperta di salute globale presso il centro di ricerca statunitense Council for foreign relations e giornalista scientifica. In una colorita intervista a Global health now, sito di informazione sulla sanità della Johns Hopkins Bloomberg school of public health, ha detto: «L’unico consiglio che ho dato a ogni direttore generale – e tutti lo ignorano, anche se poi, anni dopo, tutti mi dicono: “Come avevi ragione!” – è: cerca di ridurre al minimo i tuoi viaggi. Perché questo posto [il quartier generale dell’Oms] è un covo di squali». A detta di Garrett, sui programmi da realizzare ci sono grandi battaglie fra i dipartimenti, che si sabotano a vicenda per difendere il proprio territorio. Può succedere di veder «sparire improvvisamente interi programmi nei paesi poveri di tutto il mondo […] perché il direttore generale non era lì per dire “no”. E l’altro problema, con i direttori che viaggiano così tanto, è che si trovano in uno stato permanente di jet lag e iniziano a perdere la propria capacità di giudizio […] perché letteralmente non sanno in quale fuso orario si trovano»@.

Quella di Tedros è stata la prima elezione a scrutinio segreto estesa a tutti gli stati membri dell’Oms; prima, la decisione era presa a porte chiuse da una trentina di rappresentanti dei paesi ad alto reddito e da un gruppo di altri membri a rotazione. I casi di corruzione da parte dei paesi di provenienza dei candidati per assicurarsi i voti erano non solo numerosi, ma anche sfacciati.

L’Oms ha, storicamente, ottenuto diversi successi, come l’eradicazione del vaiolo e la realizzazione di grandi campagne vaccinali su tutto il pianeta. Molti esperti, specialmente alla luce dell’attuale crisi, invocano una profonda riforma dell’organizzazione per renderla più efficiente ma anche più indipendente dai condizionamenti politici@ per poter agire davvero come ente di coordinamento globale in un mondo in cui, ammonisce Gavi, nessuno vince finché non vincono tutti@.

Chiara Giovetti

 




I Perdenti 61. Salvo D’Acquisto, donare la vita

 

testo di don Mario Bandera |


Dopo le convulse settimane che fecero seguito all’8 settembre 1943, periodo nel quale la macchina bellica italiana si sfasciò, prima ancora che il paese potesse riprendersi dal collasso, uomini e donne dal carattere nobile seppero trovare nelle loro coscienze e nelle loro qualità di fondo le forze che permisero al nostro paese di risollevarsi e di guardare con fiducia al futuro. In questo contesto, il giovane vicebrigadiere Salvo D’Acquisto fu capace di assumere il ruolo gigantesco e pur umile di un martire cristiano. Per capire meglio la vicenda di questo giovane bisogna ricostruire l’episodio accaduto il 23 settembre di quell’anno a Palidoro, una località sulla costa tirrenica a pochi chilometri da Roma. Truppe naziste avevano occupato la zona e un reparto di paracadutisti tedeschi della 2ª Fallschirmjäger-Division (2ª divisione cacciatori) era accasermato presso alcune vecchie postazioni già in uso alla Guardia di Finanza nelle vicinanze della località Torre Perla di Palidoro.

Qui, nel tardo pomeriggio del 22 settembre 1943, alcuni di loro, mentre ispezionavano l’antica torre saracena in riva al mare, usata dalla Finanza come deposito di materiale illegale sequestrato ai pescatori, furono investiti da un’esplosione, probabilmente causata da un ordigno rudimentale usato da pescatori di frodo, a suo tempo sequestrato dai finanzieri. Due paracadutisti morirono e altri due rimasero feriti.

Quel che realmente accadde non si conosce ancora con precisione, ma certo la reazione dei soldati fu immediata e dura, pensando a un attacco di partigiani.

Salvo, com’era la situazione generale in quel momento?

Nella zona, abitata prevalentemente da gente impoverita dalla guerra, non operavano gruppi partigiani. A Torrimpietra si tirava avanti con fatica, tanto che io stesso avevo spesso condiviso le razioni della caserma con i più poveri.

Che ci faceva un napoletano come te in quella zona?

Nato nel ‘20, ero cresciuto nel quartiere del Vomero. Avevo cercato di studiare, partecipavo alla vita della parrocchia e mi piaceva cantare, ma presto avevo dovuto cominciare a lavorare con un mio zio. Quando a 18 anni ho ricevuto la cartolina di leva, ho scelto di entrare nei carabinieri, come già diversi miei parenti avevano fatto. Entrato nel ’39, nel 1940 mi hanno mandato con il mio reparto in Libia, dove sono anche stato ferito a una gamba. Rientrato nel 1942, a settembre ho frequentato il corso accelerato per allievi ufficiali a Firenze e ne sono uscito come vicebrigadiere. Ho chiesto io stesso di essere mandato in una stazione di periferia per essere più vicino ai poveri. Mi hanno mandato a Torrimpietra, non lontano da Fiumicino. In breve avevo conosciuto quasi tutti. Poi è successo quel terribile incidente.

Dopo la morte dei soldati, che accadde?

Quel 22 settembre 1943, la sera tardi, dopo lo scoppio della bomba, poiché i soldati non parlavano italiano, hanno cercato del personale della polizia italiana per fare le indagini e trovare i colpevoli. A Palidoro non c’era la stazione dei Carabinieri, il comando più vicino era a Torrimpietra. Là mi hanno prelevato, perché al momento ero il militare più alto di grado in quanto il maresciallo comandante era assente.

Cosa hai fatto, allora?

Pressato dal comandante tedesco, che mi aveva dato tempo solo fino al mattino, ho provato a fare delle ricerche per capire cosa fosse successo, ed è apparso subito chiaro che si era trattato di un incidente e non di un attentato. Ma il comandante dei parà tedeschi non ne volle sapere. Era un tipo che aveva già usato violenza sulla gente in altri luoghi e voleva un colpevole a tutti i costi. Ha quindi scatenato i suoi che hanno prelevato 22 ostaggi tra la popolazione della borgata, assolutamente presi a caso. Tra loro, nella retata, c’erano perfino un venditore ambulante e un commerciante di Santa Marinella che passavano casualmente in quel momento sull’Aurelia.

Quindi, ti venne ordinato di individuare tra i prigionieri l’autore dell’attentato.

Dopo aver interrogato gli ostaggi, cercai in tutti i modi di far capire al comandante tedesco che nessuno di loro poteva essere un attentatore, perché era chiaro che era stato un incidente. La loro risposta fu rabbiosa. Mi presero a pugni e a calci, lasciandomi svenuto sul pavimento. Mi ripresi qualche momento dopo, in tempo per ascoltare questa affermazione urlata da un ufficiale nazista: «Se il colpevole non salta fuori, morirete tutti».

Quindi, portarono via gli ostaggi?

Anch’io fui costretto a salire sul camion con loro. Ci portarono ai piedi della Torre di Palidoro. Sulla sabbia erano già piantate, rigorosamente in fila, cinque vanghe di modello militare; dietro di esse un drappello di soldati con i mitra imbracciati. Dovevamo scavarci la fossa.

Condannati senza nemmeno un processo?

No, ci fu una farsa di processo: l’ufficiale passò davanti a tutti noi ostaggi ben allineati, e a ciascuno domandò se fosse l’autore dell’attentato. Ottenne evidentemente una serie di «no» terrorizzati. Dopo questa parodia, l’ufficiale nazista tracciò una lunga riga sulla sabbia col frustino e disse: «Va bene, scavatevi la fossa».

© Report Difesa

Il lavoro di scavo durò quel tanto da far maturare nella coscienza di Salvo D’Acquisto la sua decisione. D’Acquisto aveva quasi 23 anni, ma era già una personalità decisa, anche se «prima» appariva perfino timido e incolore.
Fece chiamare l’ufficiale e si proclamò autore dell’attentato e unico responsabile di tutto. Quindi, Salvo ebbe appena il tempo di gridare «Viva l’Italia», e una raffica di mitragliatore lo colpì. Il suo corpo cadde senza vita nella fossa già scavata. Un ufficiale si chinò sulla vittima e sparò il colpo di grazia alla testa del giovane; alcuni soldati tedeschi poi coprirono con terra e sabbia il cadavere.

Il suo corpo rimase sepolto lì per una decina di giorni, poi due donne della zona lo dissotterrarono e gli diedero degna sepoltura presso il cimitero di Palidoro.

L’autoaccusa di Salvo D’Acquisto è stata considerata un grande atto di eroismo che gli è valsa una medaglia d’oro al valor militare e il processo di canonizzazione iniziato nel 1983. Le sue spoglie, riportate a Napoli nel 1947 e tumulate presso il sacrario militare di Posillipo, si trovano oggi nella basilica di santa Chiara a Napoli.

Don Mario Bandera

 


Diventerà davvero beato?

 

Una risposta possibile da questi passaggi tratti da articoli di due giornali cattolici (il testo completo è reperibile online).

 

Sin qui dunque l’eroe. Per giunta l’eroe morto disarmato invece che con le armi in pugno. E il santo? La questione della santità? Il 23 settembre 1983, quarantesimo anniversario della morte, l’allora ordinario militare Gaetano Bonicelli disse: «Salvo D’Acquisto ha fatto il suo dovere in grado eroico, ben oltre quello che il regolamento gli chiedeva. Ma perché l’ha fatto? Forse, in quel momento tragico, gli sono risuonate nel cuore le parole di Cristo: “Non c’è amore più grande che dare la vita per chi si ama”. Ma anche se la memoria del testo evangelico non l’ha aiutato, la forte educazione cristiana ricevuta in famiglia e nella scuola gli ha fatto cogliere l’essenziale del Vangelo». Parole con le quali il presule avviava la causa di canonizzazione di quel giovane autore di un gesto da martire che, come afferma oggi anche il fratello Alessandro, ebbe certo presente l’onore dell’Arma, la fedeltà alla patria, ma pure si abbandonò a Dio che quel «giorno di amore supremo» attinse in un campo dove aveva seminato. Una semina iniziata in famiglia, nelle scuole e negli ambienti religiosi delle Figlie di Maria Ausiliatrice, poi dei Gesuiti e dei Salesiani, frequentati sin dall’infanzia e dall’adolescenza. Dove affiora la prima educazione, non sfuggita nella documentazione per la causa di beatificazione svoltasi presso l’Ordinariato militare d’Italia, con un supplemento d’inchiesta nella diocesi di Napoli, dal 1983 al 1991, mentre nel 1999 si è resa necessaria una nuova inchiesta per indagare la possibilità del martirio (come per Massimiliano Kolbe). […]

Di lui, le cui spoglie riposano nella basilica di santa Chiara a Napoli dal 1986, resta in ogni caso la sintesi fatta da Giovanni Paolo II: «Ha saputo testimoniare la fedeltà a Cristo e ai fratelli. Ecco perché può definirsi un santo che ha contribuito per costruire la civiltà dell’amore e della verità».

Marco Roncalli
da Avvenire 14/10/2020

 

Dopo un rallentamento, sembra che la causa di beatificazione per «offerta della vita» abbia ripreso slancio. Mons. Gabriele Teti, postulatore della causa ed ex carabiniere, racconta che Salvo «a Roma incontrò un amico con il quale aveva fatto il corso da carabiniere. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, ci fu un grosso gruppo di Carabinieri che passò alla clandestinità, per combattere i tedeschi a Roma. un commilitone lo invitò a lasciare la divisa per unirsi ai partigiani. Rispose che il suo dovere era tutelare l’ordine, la sicurezza e l’incolumità delle persone che gli erano state affidate e che il suo compito non era di andare via». Salvo era nato e cresciuto in una famiglia molto religiosa. Confida il postulatore: «Già nell’infanzia piccoli episodi fanno capire la sua indole. Tornando da scuola, donò le sue scarpe a un bambino che incontrava e che era scalzo. Un’altra volta si avventò a salvare un bambino che stava per finire sotto un treno». La causa di beatificazione si è arenata sul problema del martirio. Ora il sacrificio di Salvo rientra più facilmente nella categoria «offerta della vita», criterio introdotto da Papa Francesco l’11 luglio 2017 con il motuproprio Maiorem hac dilectionem: «Sono degni di speciale considerazione e onore quei cristiani che, seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri e hanno perseverato fino alla morte in questo proposito. L’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo ed è meritevole di quella ammirazione che la comunità dei fedeli è solita riservare a coloro che volontariamente hanno accettato il martirio di sangue o hanno esercitato in grado eroico le virtù cristiane». Il «dono della vita» è simile ma non uguale al martirio.

Pier Giuseppe Accornero
da La Voce e Il Tempo, 19/10/2020




Il tempo del vento

testo di Luca Losusso |


Questo è il tempo di un nuovo patto d’amore. È il tempo delle primizie del raccolto, del rinnovo dell’alleanza tra te e il tuo Dio, riscritto con il vento sul tuo cuore, e non più con il dito sulla pietra.
Oggi è il tempo nel quale lo Spirito si mette in ascolto della tua vita. Più intimo a te di te stesso, Lui abita in te, opera insieme a te, prega con te, attesta che sei figlio di Dio, e che, se sei figlio, sei anche erede, coerede di Cristo, suo fratello (cfr Rom 8). Non erede di oggetti lasciati da un morto, ma di vita trasmessa dal Vivente.

Lo Spirito ti dice la verità su di te e sul mondo. Anche il maligno, a volte. Questi per condannarti e condannare, lo Spirito per liberarti e liberare e promuovere la vita. Lo Spirito ti conduce alla verità tutta intera, non solo a una parte, non solo al male e al peccato, e alla tua incapacità di risolverli, ma alla tua condizione di creatura compresa nel progetto d’amore del Padre, alla tua dispersione ricapitolata con l’intera creazione in Cristo.

Lo Spirito santo ti santifica. Non sei tu, infatti, che ti rendi santo. È Lui. Non hai ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura. Lo Spirito rende figli adottivi, e per mezzo di Lui tu gridi Abbà, Padre. Chi potrà separarti dal suo amore? Chi muoverà accuse contro di te? Chi condannerà?

Oggi è il tempo nel quale le nazioni sapranno che Dio Padre è il Signore, perché mostrerà la sua santità in te (cfr Ez 36,23). L’ardente aspettativa dell’intera creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.

Questo è il tempo dello Spirito che soffia. Con Lui e secondo le sue vie cammini.

Anche il tempo di pandemia è tempo di vele spiegate al vento dello Spirito.

Buona Pentecoste da amico

Luca Lorusso

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On demand

testo di Sante Altizio |


Con le sale chiuse per Covid, il cinema è più che mai domestico, magari su «piattaforme», come quella tutta italiana che offre contenuti originali. Vale la pena, poi, fare i conti anche con lo smartphone, che la pandemia ha reso ancora più centrale nella fruizione di contenuti audiovisivi.

VatiVision

È metà marzo mentre scrivo, e l’Italia è tornata a essere quasi tutta (di nuovo) «zona rossa».

Una delle conseguenze inevitabili è il perdurare della chiusura dei luoghi di ritrovo, cinema compresi. Nessuna nuova uscita nelle sale, nessun nuovo film da guardare sgranocchiando popcorn. In Italia.

In Cina, invece, il paese da cui la pandemia ha preso il volo, i cinema sono tornati a essere affollatissimi. Da metà marzo nelle sale cinesi è tornato un film uscito nel 2009: il pluripremiato e già campione d’incassi Avatar, di James Cameron. In poco più di un fine settimana ha incassato quasi 9 milioni di dollari. Un segno positivo per il futuro prossimo della settima arte.

Con le sale chiuse, l’attenzione del pubblico, che continua a vivere il proprio tempo libero soprattutto in casa, si concentra sulle piattaforme che offrono contenuti in streaming.

Netflix ha annunciato da poco di avere superato i 200 milioni di abbonati nel mondo. Calcolando a braccio, possiamo dire che sul pianeta Terra, non c’è palazzo che non abbia almeno un abbonato al colosso statunitense. Ed è lì, o su Amazon Prime, l’unico vero competitor di Netflix, che le «prime cinematografiche» arrivano puntuali, mese dopo mese.

In mezzo ai giganti nascono realtà piccole e di qualità che vale la pena segnalare. Ce n’è una tutta italiana, nata da meno di un anno, a suo modo interessante: VatiVision, presieduta da Luca Tomassini, classe 1965, insegnante alla Luiss e, ricorda Wikipedia, uno dei padri della telefonia mobile di casa nostra.

Il nome VatiVision, in realtà, è in parte fuorviante, perché, anche se apprezzata dalla Chiesa, non è un’iniziativa del Vaticano. La piattaforma ha un catalogo piuttosto nutrito di film, serie tv, cartoon e documentari con una dichiarata impronta educational e di ispirazione cattolica. È una piattaforma on demand dove è possibile sia acquistare che noleggiare i contenuti.

Molti titoli sono di produzione recentissima e toccano temi come i diritti civili, l’immigrazione, i conflitti dimenticati, le relazioni sociali. Con uno sguardo decisamente europeo, aperto, per nulla italocentrico.

Se dovessi consigliarvi come spendere i 4,99 € di un noleggio, sicuramente suggerirei Est, dittatura last minute, film del 2020 di Antonio Pisu, ambientato nella Romania del 1989. Racconta di un viaggio che parte da Cesena e vede coinvolti tre venticinquenni (uno dei quali interpretato da Lodo Guenzi, giovane frontman di uno dei gruppi musicali più in vista della scena italiana, Lo stato sociale) che decidono di fare dieci giorni di vacanza oltre la cortina di ferro, proprio mentre la cortina va in frantumi.

All’ultima Mostra internazionale del cinema di Venezia ha fatto molto parlare di sé.

Est, dittatura last minute, non è un’esclusiva VatiVision (lo trovate anche sulle maggiori piattaforme specializzate). Tuttavia fate «due passi» sul sito www.vativision.com, resterete sorpresi dalla qualità dei titoli proposti. Il livello è alto. Tra essi si possono ritrovare titoli importanti del passato e piccole esclusive, soprattutto interessanti reportage dal Sud del mondo.

Sante Altizio

Alberto Ravagnani

Vale la pena fare i conti anche con un altro strumento che la pandemia ha reso ancora più centrale nella fruizione di contenuti audiovisivi: lo smartphone.

TikTok è uno dei social network più recenti e diffusi con oltre un miliardo di utenti nel mondo. È l’unico basato esclusivamente su contenuti video non più lunghi di 30 secondi.

Nato in Cina, al centro di numerose polemiche in tema di sicurezza informatica, bloccato negli States, la app è scaricata e utilizzata soprattutto da giovanissimi.

TikTok è il terreno ideale per un giovane sacerdote che, durante il lockdown dello scorso anno, quando l’imperativo categorico era #iorestoacasa, si è chiesto in quale modo continuare a parlare con i ragazzi della sua parrocchia, anch’essa «chiusa per Covid».

Alberto Ravagnani, sacerdote di 27 anni, dall’Oratorio San Filippo Neri di Busto Arsizio, ha così iniziato a cimentarsi con YouTube, poi Instagram e infine è sbarcato su TikTok, diventandone, in pochi mesi, una vera star. Ha oltre 90mila followers (550mila se si considerano tutti i suoi social), e ogni suo TikTok raccoglie decine di migliaia di like.

Il suo canale merita di essere visto e colpisce perché don Alberto, forte delle sue poche primavere, ha un gran dono: fonde con naturalezza linguaggio alto e linguaggio basso. Usa con sapienza la tecnologia, la postproduzione video, cura l’audio, gli effetti, la color correction. E poi ci sono i testi, le brevi sceneggiature che scrive lui prima di girare.

Il suo studio è diventato un piccolo set, semplice ma curato fin nei dettagli. È bravo.

«Sono un prete, vivo in oratorio, insegno a scuola. Ogni tanto faccio cose sui social. La fede mi fa godere di più la mia vita. Per questo ne parlo. W la fede». Questa la sua breve bio su YouTube.

In una sua recentissima intervista su «Avvenire» ha detto: «I social network non sono il male. Sui social può capitare il male perché dietro ci sono anche persone che fanno il male».

Su YouTube, il suo video più gettonato (650mila visualizzazioni in 10 mesi) s’intitola: A cosa serve pregare (non è una perdita di tempo), il suo TikTok più visto, Ora di religione, conta 2,4 milioni di visualizzazioni.

«Se non impariamo a “essere tutto a tutti”, come diceva San Paolo – ha raccontato don Alberto in un’intervista alla tv della svizzera italiana che si trova in rete – come arriviamo alle persone? Se non ci facciamo “social”, come arriviamo ai ragazzi che stanno sui social? Più di qualcuno ce lo perderemo per strada».

Sante Altizio

 




Sab, 1 maggio 2021 – s. Giuseppe lavoratore (mf)

Gen 1,26-2,3; opp. Col 3,14-15.17.23-24; Sal 89; Mt 13,54-58

Rendi salda, Signore, l’opera delle nostre mani


Da Pensieri Luminosi, un pensiero al giorno del beato Giuseppe Allamano

San Giuseppe è il patrono di tutte le classi sociali e di tutte le categorie di persone, specialmente degli operai. E’ patrono anche delle comunità religiose che portano il suo nome e gli rendono omaggio.

 




Ven, 30 aprile 2021

At 13,26-33; Sal 2; Gv 14,1-6

Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato


Da Pensieri Luminosi, un pensiero al giorno del beato Giuseppe Allamano

La Chiesa sta nelle mani dello Spirito santo, come pure le nostre Comunità. Dobbiamo ricorrere a Lui più frequentemente, ascoltarLo e lasciarsi guidare da Lui. Chi vive sotto l’azione dello Spirito Santo, difficilmente non si farà santo.




Gio, 29 aprile 2021

1Gv 1,5-2,2; Sal 102; Mt 11,25-30

Benedici il Signore, anima mia

“Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. Non c’è parola più consolante. È un invito che ci aspetta ogni giorno, un movimento del cuore sempre possibile, proprio perché le fatiche e le oppressioni non mancano mai. Evitarle? Questa è la reazione immediata, destinata però al fallimento. Non le cerchiamo, è vero, ma neanche le fuggiamo: proviamo invece a portarle a colui che lì ci aspetta. Se Cristo avesse scelto il successo, solo pochi l’avrebbero potuto seguire.


Da Pensieri Luminosi, un pensiero al giorno del beato Giuseppe Allamano

Ci sono persone che cercano solo cose grandi e straordinarie. Ciò non significa cercare Dio. Dio si trova sia nelle grandi che nelle piccole cose.




Mer, 28 aprile 2021

At 12,24-13,5; Sal 66; Gv 12,44-50

Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti


Da Pensieri Luminosi, un pensiero al giorno del beato Giuseppe Allamano

Raccoglimento non significa andare in giro con la testa bassa e la faccia da funerale. Significa, dominare la fantasia da pensieri inutili e avere sempre presenti buoni pensieri.




Mar, 27 aprile 2021

At 11,19-26; Sal 86; Gv 10,22-30

Genti tutte, lodate il Signore


Da Pensieri Luminosi, un pensiero al giorno del beato Giuseppe Allamano

Abbiamo bisogno di persone generose, energiche e perseveranti. Sono doni che Dio concede a chi lo ama. Sono caratteristiche missionarie.