Luz ci guarda dritto negli occhi. Lo sguardo della piccola messicana in copertina, che mi piace chiamare «Luz» (luce), va dritto al cuore. Il suo sorriso, pulito e pieno di speranza, è un canto alla vita, un inno alla gioia. Questo sguardo bello e fiducioso mi rapisce e mi sento guardato dentro. Non sono più solo gli occhi di Luz che mi fissano. Forse è la suggestione del Natale che ormai si avvicina, ma sento come fosse lo sguardo dello stesso Bambino Gesù che mi cerca. Quello sguardo che certamente ha rubato il cuore dei pastori, dei Magi e di quanti sono andati a visitarlo nella stalla di Betlemme. Occhi che hanno visto dentro ciascuno di loro, li hanno conosciuti e amati e hanno parlato loro, mettendoli di fronte alla verità di se stessi. Guardati da quel bambino, ognuno ha capito che non era arrivato lì per caso, ma che Lui li attendeva da sempre.
Gli occhi di Luz sono gli occhi di milioni di altri bambini nel mondo. Non tutti sono felici: troppe volte sono occhi terrorizzati dalla violenza della guerra, annebbiati dalla fame, spenti dalla malattia, tristi per l’assenza d’amore, pieni di paura per gli abusi, angosciati per lo sfruttamento. Sempre però sono occhi che interpellano la tua umanità. Occhi che, con semplicità e candore, credono ancora che ogni persona sia capace di amare.
Un desiderio, un grido e una speranza che, oggi più che mai, sono delusi da troppi adulti. E non solo in Afghanistan e Yemen, Siria e Haiti, Nigeria e Venezuela, tanto per ricordare alcuni dei punti più caldi del dolore dell’umanità. L’elenco delle situazioni di morte potrebbe riempire pagine, una lista senza fine nella quale comparirebbe anche la nostra bella Italia, diventata un paese dove non è più appetibile nascere, e dove si nasce sempre meno.
Per questo Natale, auguro a tutti noi di lasciarci guardare dagli occhi di tutti e tutte le «Luz» del mondo. Che i nostri occhi non si lascino riempire e incantare dalle luci abbaglianti di strade e centri commerciali, luci che del vero Natale non hanno più niente, segno come sono di un invito al consumismo più sconsiderato che porta spreco, inquinamento e sfruttamento. Che non siano ammaliati dalle forme, colori e immagini accattivanti della moda, del nuovissimo gadget tecnologico, del modello di macchina ultimo grido. Che non siano accecati dagli ammiccamenti dei cartelloni pubblicitari o degli schermi che titillano la nostra vanità, incoraggiano e giustificano il nostro egoismo, gratificano le nostre pigrizie.
Auguro invece che i nostri occhi si lascino interrogare mettendo in questione il nostro stile di vita, le nostre abitudini, i pregiudizi che ci rendono così sicuri. Che ci lasciamo guardare dentro per imparare a vedere noi stessi e il mondo attorno a noi in modo nuovo, per scoprire che possiamo essere soggetti di speranza e cambiamento e non semplicemente ripetitori e continuatori di uno stile di vita senza amore e senza futuro.
In questo tempo di Natale mettiamo pure con amore la statuina di Gesù Bambino nel nostro presepio, ma non accontentiamoci di quella. Cerchiamo invece gli occhi veri del Bambinello in quelli delle persone che incontriamo, a cominciare dal nostro vicino di casa che spesso neppure conosciamo; dalle persone che partecipano con noi alla messa, con le quali magari non condividiamo neppure un «ciao»; da quelle persone che incrociamo ogni giorno.
Lasciamoci disturbare dagli occhi della piccola Madina Hussein, travolta da un treno in Serbia (copertina di MC 1-2/2018), da quelli radiosi della bimba di cui non conosciamo il nome che esce dalla tenda a Lesbo (MC 3/2021) o da quelli tristi del bimbo lavoratore del Myamnar (Mc 08-9/2021).
Non occorre andare indietro nel tempo per cercare gli occhi di Gesù, non è neppure necessario andare lontano. Basta farsi prossimo.
Guardare e lasciarsi guardare con gli occhi di Gesù Bambino. Scopriremo di essere «fratelli, sorelle, padri e madri, figli e figlie» in una grande famiglia, dove ami e sei amato, dove piangi con chi piange affinché il pianto si tramuti in danza alla musica dell’amore.