Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Se non siamo capaci di restare uniti a Dio quando stiamo bene, cosa faremo quando saremo ammalati?
Mar, 9 novembre 2021 – DEDICAZIONE BASILICA LATERANENSE (f)
Ez 47,1-2.8-9.12; Sal 45; 1Cor 3,9c-11.16-17; Gv 2,13-22
Un fiume rallegra la città di Dio
Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Viviamo sempre come se dovessimo morire oggi, lavorando come se non dovessimo mai morire.
Lun, 8 novembre 2021
Sap 1,1-7; Sal 138; Lc 17,1-6
Guidami, Signore, per una via di eternità
Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Quando nel Padre Nostro dite le parole “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” chiedete a Dio la grazia di fare bene la santa Comunione.
Dom, 7 novembre 2021 – XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
1Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
Loda il Signore, anima mia
Nella vita spirituale spesso procediamo con la mentalità dei tempi supplementari, o delle ruote di scorta: “d’accordo ad offrire a Dio, ma qualcosina devo pure tenerla per me…”. La vedova povera invece è il segno della totalità senza riserve. Solo a questa totalità può corrispondere la pienezza della gioia e della vita. Il resto è pura facciata, e l’esibizionismo – anche in cose sante – contro cui precisamente si scaglia la critica di Gesù e in cui anche come missionari possiamo cadere.
Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Dobbiamo formarci alla semplicità. Chi è sincero e semplice, parla ed agisce secondo verità, senza doppiezze o finzioni.
Sab, 6 novembre 2021
Rm 16,3-9.16.22-27; Sal 144; Lc 16,9-15
Ti voglio benedire ogni giorno, Signore
Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Piuttosto che recitare una preghiera o fare il segno della Croce male è meglio tralasciarli: sarebbero un’offesa e non una lode a Dio.
Ven, 5 novembre 2021
Rm 15,14-21; Sal 97; Lc 16,1-8
Agli occhi delle genti il Signore ha rivelato la sua giustizia
Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Ve l’ho già detto, ma lo ripeto ora: la nostra santità non consiste nel fare miracoli, ma nel fare i nostri doveri con perfezione, facendo bene il bene.
Gio, 4 novembre 2021
Rm 14,7-12; Sal 26; Lc 15,1-10
Contemplerò la bontà del Signore nella terra dei viventi
La nostra conversione inizia quando ci accorgiamo di essere cercati e trovati dal Signore. Non è uno sforzo volontaristico, ma una scoperta d’amore. Allora siamo capaci delle cose più belle, dimenticandoci finalmente di noi stessi: ero io quello che lui cercava, non le mie prestazioni. Missionari che si lasciano raggiungere dallo sguardo del Risorto lo irradiano in quello che fanno e rendono più facile agli altri quell’incontro decisivo, che cambierà la loro vita.
Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Mi rallegro perché Dio, per mezzo dei missionari, sta moltiplicando i tabernacoli nel mondo. Con il passare del tempo, quante Chiese, quanti tabernacoli nuovi saranno costruiti!
Mer, 3 novembre 2021
Rm 13,8-10; Sal 111; Lc 14,25-33
Felice l’uomo pietoso, che dona ai poveri
Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Quando chiediamo una grazia e non la otteniamo subito non scoraggiamoci. Possiamo stare certi che nessuna parola della nostra preghiera è vana.
Mar, 2 novembre 2021 – COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI
Gb 19,1.23-27a; Sal 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40
Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi
Il mistero della morte ci rende tutti più umili. Piangiamo anche noi, come Gesù fece di fronte alla tomba di Lazzaro: la loro amicizia era vera e profonda. Eppure, seminata nei nostri cuori c’è una speranza capace di resistere persino alla morte. Sì, in Cristo (e solo in lui) la morte “ha perso il suo pungiglione” (cfr. 1Cor 15,55). Lui non l’ha evitata, è morto davvero e ha attraversato quel tunnel per aprirci una via nuova. Ormai neanche la morte può separarci dall’amore di Dio in Cristo.
COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI
Da Punti Luminosi, un pensiero al giorno del Beato Giuseppe Allamano
Pregare per i benefattori defunti è un dovere di riconoscenza. Infatti, cosa avremmo potuto fare o faremmo senza di essi?
Compassione
testo di Gigi Anataloni, direttore MC |
È il 4 ottobre, il giorno di san Francesco. Un messaggio su whatsapp mi allerta che ci sono state delle uccisioni a Suguta Marmar e a Porro, due località del Kenya che forse a voi non dicono niente, ma che a me fanno sobbalzare il cuore. Suguta Marmar è stata la «mia» prima missione nel 1989, appena arrivato. Porro (pronunciato Porò) è villaggio samburu a due passi da un punto panoramico che offre una visione di sogno della Rift Valley. Il crinale dell’altopiano di Porro segna la linea di separazione tra due tribù di pastori, i Pokot (nella valle) e i Samburu (sulla montagna). In tempi di siccità, però, non c’è confine che tenga. In più, soprattutto in tempo di elezioni, quando politicanti senza scrupoli distribuiscono armi e munizioni ai giovani guerrieri, scoppiano scontri cruenti. Chi ci rimette di più di solito sono donne, vecchi e bambini.
Il messaggio ricevuto oggi mi richiama alla mente un episodio del 2006 (ma avrebbe potuto essere uno qualsiasi degli altri anni). Al mercato di Porro scoppia un diverbio tra pastori samburu e pokot. Si viene alle armi. Dei giovani pastori pokot sono uccisi, uno è ferito grave. È presente un mio ex chierichetto, attivista di pace e riconciliazione per conto della diocesi di Maralal. Incurante dell’ostilità dei presenti, raccoglie il ferito, se lo lega sulle spalle e, in moto, su strada sterrata, lo porta all’ospedale distante 25 km. Lì, nella capitale dei Samburu, a chi gli domanda perché abbia portato «quell’animale», risponde che lui ha visto «solo un uomo». Il ragazzo si salva.
Anche nel messaggio del 4 ottobre, si racconta di un fatto molto simile. Allo stesso mercato di Porro c’è stato un attacco di Pokot. John, il giovane parroco – anche lui un tempo mio chierichetto -, è corso. Due samburu, padre e figlio, sono a terra senza vita, accanto la figlia più piccola dell’uomo con il polpaccio trapassato da una pallottola. Ha preso la bimba tra le braccia e, camminando sulla «Via della Pace», la strada costruita anni fa da padre Aldo Vettori (+2008) per promuovere la pace tra le comunità, è arrivato alla missione. Saltato in macchina l’ha portata allo stesso ospedale, dove è stata curata. Chiedo al vescovo di Maralal, monsignor Virgilio Pante, come giudica la situazione. La risposta è laconica: «Troppi fucili». Il che, conoscendolo, esprime in estrema sintesi la tristezza per una realtà che non migliora nonostante gli anni di grandissimo impegno a promuovere il disarmo, il dialogo, la pace e la riconciliazione tra i vari gruppi etnici della regione. C’è sempre qualcuno che specula sulla pelle dei poveri, specialmente in tempo di elezioni (e non solo in Kenya), e porta più consensi fornire armi (o fake news d’odio) che costruire giustizia, creare lavoro e assicurare cibo, medicine ed educazione di qualità.
Commento questi due episodi, piccoli e periferici in confronto a tanti altri che accadono nel mondo, citando papa Francesco che il 7 ottobre, in occasione dell’incontro di preghiera per la pace organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, ha detto: «Con parole chiare incoraggiamo a questo: a deporre le armi, a ridurre le spese militari per provvedere ai bisogni umanitari, a convertire gli strumenti di morte in strumenti di vita. Non siano parole vuote, ma richieste insistenti che eleviamo per il bene dei nostri fratelli, contro la guerra e la morte, in nome di Colui che è pace e vita. Meno armi e più cibo, meno ipocrisia e più trasparenza, più vaccini distribuiti equamente e meno fucili venduti sprovvedutamente. I tempi ci chiedono di farci voce di tanti credenti, persone semplici, disarmate, stanche della violenza, perché chi detiene responsabilità per il bene comune si impegni non solo a condannare guerre e terrorismo, ma a creare le condizioni perché essi non divampino».
E ha invitato a vincere l’indifferenza e l’assuefazione «alla violenza e alla guerra, al fratello che uccide il fratello quasi fosse un gioco guardato a distanza, indifferenti e convinti che mai ci toccherà. […] Ma con la vita dei popoli e dei bambini non si può giocare. Non si può restare indifferenti. Occorre, al contrario, entrare in empatia e riconoscere la comune umanità a cui apparteniamo, con le sue fatiche, le sue lotte e le sue fragilità. […] Oggi, nella società globalizzata che spettacolarizza il dolore ma non lo compatisce, abbiamo bisogno di “costruire compassione”. Di sentire l’altro, di fare proprie le sue sofferenze, di riconoscerne il volto. Questo è il vero coraggio, il coraggio della compassione, che fa andare oltre il quieto vivere, oltre il non mi riguarda e il non mi appartiene».
Lasciarci prendere dalla compassione, allora, diventa davvero una rivoluzione nella nostra vita, perché ci fa vedere gli altri con il cuore, e ci fa sentire e agire come parte della grande famiglia umana.
Gigi Anataloni
Disegno makua dedicato alla beata Irene Stefani, Nyathaa, madre compassionevole, la cui festa ricorrre il31 ottobre