«Buon vento, ResQ»

Una mobilitazione per salvare i naufraghi


Negli ultimi anni la società civile ha riempito il vuoto lasciato nel Mediterraneo dalle istituzioni. Le navi umanitarie hanno salvato migliaia di vite finendo nel mirino della propaganda anti Ong. Ora, la «ResQ – People saving people» sta per salpare grazie a una grande mobilitazione.

«La storia la fanno le persone semplici, gente comune, con famiglia a casa e un lavoro ordinario. Che si impegnano per un ideale straordinario come la pace, per i diritti umani, per restare umani». Questo scriveva Vittorio Arrigoni nel 2008, tre anni prima della sua morte nella Striscia di Gaza.

Di persone semplici che si impegnano, oggi più che mai, il mondo ha un gran bisogno. Per arginare la deriva dell’umanità e la decrescita dell’empatia verso il diverso, lo sfortunato.

Il compianto attivista non immaginava che il suo motto, «Restiamo umani», sarebbe diventato un baluardo contro l’indifferenza di chi volta la testa dall’altra parte ogni volta che una barca cola a picco nel mare Mediterraneo portando con sé decine, centinaia di vite che cercavano solo un futuro migliore.

È successo il 3 ottobre 2013 con i suoi 366 morti, l’11 ottobre dello stesso anno con altre 268 persone annegate, il 18 aprile 2015, quando sono state non meno di 800. E continua ad accadere. Tanto che dal 2013 a oggi si calcolano almeno 20mila vittime.

Anche negli ultimi mesi i drammi non hanno dato tregua: a fine marzo sono state oltre 60 le vittime accertate dall’Helpline alarm phone, 41 il 16 aprile, e il 22 aprile, proprio mentre scriviamo, altre 120, per ricordare solo i naufragi più rilevanti.

Persone salvano persone

Come si può restare umani in quel mare che è diventato un enorme cimitero?

«È possibile e doveroso». Parola di Gherardo Colombo, ex magistrato che non si tira mai indietro e che, con un gruppo di amici, nell’estate 2020 ha lanciato una sfida enorme: mettere in mare una nave di salvataggio della società civile italiana: «Un’imbarcazione battente bandiera italiana, finanziata grazie alle donazioni dei cittadini. Pronta ad andare a soccorrere, perché salvare vite umane è la priorità», spiega Colombo presentando ResQ – People saving people, progetto che, sebbene sia nato in piena pandemia, sta raccogliendo continue adesioni e donazioni che probabilmente metteranno in acqua la nuova nave in estate.

In meno di 10 mesi, ResQ (gioco di parole del termine inglese rescue, soccorso) ha raccolto 900 soci, 425mila euro e, a oggi, una cinquantina di associazioni sodali, in quella che è chiamata la Rete degli amici di ResQ, a cui qualunque ente interessato può aderire (www.resq.it).

«Si tratta di un’iniziativa non solo moralmente giusta, ma assolutamente indispensabile», ha sottolineato Filippo Grandi, capo dell’Unhcr, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel prendere la parola durante il lancio ufficiale del sodalizio di ResQ. L’iniziativa è stata promossa all’inizio da Colombo con amici avvocati, giornalisti ed esperti di migrazioni, e aperta subito dopo alla libera adesione di chi ne condivide i valori.

Il vuoto istituzionale

«Siamo persone, proprio come te, stanche di restare a guardare. Crediamo nell’importanza di colmare il vuoto che si è creato nel Mediterraneo», si legge nel sito di ResQ.

«Dovrebbero essere le istituzioni a salvare le persone e poi garantire loro dignità», riprende Gherardo Colombo. «La Costituzione è chiara e le leggi ci sono. Vanno attuate. Noi ora svolgiamo una supplenza che in futuro non dovrebbe più esserci».

Così come non c’era tra la fine del 2013 e il 2014, quando l’Italia, proprio sulla scorta della commozione e del dolore del naufragio del 3 ottobre, aveva promosso l’Operazione di soccorso Mare Nostrum, salvando decine di migliaia di persone in poco più di un anno di attività.

Successivamente si era sostituita all’Italia l’Unione europea con l’Operazione Triton, che però non si era rivelata per nulla la stessa cosa: promossa tramite l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere Frontex, aveva visto una diminuzione progressiva dei dispositivi di salvataggio in un’Europa sempre meno salda e unità dal punto di vista politico sul tema dell’immigrazione.

Le Ong criminalizzate

È stato allora che la società civile europea ha messo in mare le proprie navi dopo avere raccolto i fondi necessari, fino ad arrivare a una dozzina d’imbarcazioni di Ong presenti nel Mediterraneo tra il 2015 e il 2017: tra esse ricordiamo Moas, Sos Mediterranée – sulla cui nave Aquarius è salita anche «Missioni Consolata» per un reportage pubblicato a inizio 2018 -, Proactiva open arms, Sea eye, Save the children, Medici senza frontiere, Emergency, Jugend rettet, Sea watch, a cui è seguita la nascita della prima compagine italiana, Mediterranea.

Cosa è successo dopo quel momento di massima presenza?

È iniziata la campagna di «criminalizzazione della solidarietà»: nel momento del graduale ritirarsi delle navi militari, le imbarcazioni delle Ong hanno iniziato a finire nel mirino di alcuni procuratori e della propaganda politica di alcuni partiti, e lo sono ancora oggi, sebbene non si sia mai arrivati a sentenze sfavorevoli al salvataggio umanitario in mare.

Tale criminalizzazione nel tempo ha colpito navi delle Ong, attivisti per i diritti umani e altre persone che, in nome dei valori umani, cercano di togliere dal pericolo i migranti forzati. Osteggiati da una parte del mondo politico, dei mass media e, di conseguenza, dell’opinione pubblica, l’accusa nei loro confronti è quella di «favoreggiamento dell’immigrazione irregolare».

Dal Codice di condotta del ministro dell’Interno Marco Minniti ai «porti chiusi» del successivo titolare del ministero, Matteo Salvini, i salvataggi in mare hanno avuto una brusca riduzione senza soluzione di continuità.

Una nave in più

«C’è un atteggiamento ostruzionistico che continua da anni, con inchieste sul nulla, blocchi delle navi con fermi amministrativi di mesi che di fatto lasciano il mare sguarnito di soccorritori: per questo una nave in più serve eccome», indica Luciano Scalettari, giornalista di lungo corso e primo ideatore di ResQ assieme al cooperante internazionale Giacomo Franceschini. «Un giorno, di fronte all’ennesimo naufragio, ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso che dovevamo fare qualcosa in più: abbiamo radunato tutti gli amici chiedendo loro di coinvolgere i propri contatti, e così ha preso il via l’esperienza di ResQ», ricorda Scalettari.

I due hanno colpito nel segno: dopo pochi giorni, una ventina di persone, tra cui alcuni avvocati di Asgi, (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), ovvero Luca Masera, Livio Neri e Alberto Guariso, si sono aggregate.

In breve tempo è nata l’associazione ResQ – del cui consiglio direttivo, oltre ai già citati, fanno parte anche Lia Manzella, Sarah Nocita, Cecilia Guidetti, Emiliano Giovine, Corrado Mandreoli e Francesco Cavalli – e si è pensata una tempistica per allargare la base e mettere in atto in primi passi per acquistare un’imbarcazione.

Entro l’estate 2021

L’obiettivo iniziale era di avere la nave a disposizione per la primavera 2021. La pandemia ha rallentato il processo, ma «contiamo di averla per l’inizio dell’estate», sottolinea Scalettari, nominato presidente dell’associazione (Gherardo Colombo ne è il presidente onorario).

Nonostante le limitazioni causate dal coronavirus, la raccolta fondi sta raggiungendo ottimi traguardi, e, in particolare un evento alle porte del Natale 2020, «Tra il dire e il mare», ha portato in sole 8 ore di maratona mediatica in diretta facebook ben 189mila euro raccolti grazie a oltre 1.500 donatori e al contributo di 100mila euro annunciato in diretta dall’Unione buddhista italiana.

Nella diretta, che ha raggiunto 150mila persone con 10mila interazioni tra commenti e apprezzamenti sul social network, si sono alternati oltre 80 ospiti, molti dei quali volti noti che hanno pubblicamente aderito a ResQ.

«Vorrei che i principi di ResQ mi rappresentassero per tutta la vita», ha detto Paolo Maldini, ex calciatore e ora direttore tecnico del Milan. «L’accoglienza è la prima cosa. Diamo possibilità di muoversi anche agli animali, perché non agli esseri umani che vivono diseguaglianze che ha creato l’Occidente?», ha domandato Giovanni Storti, attore del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. «Avevamo pensato di mettere in mare personalmente una nave, quando ci hanno invitati a salire a bordo di ResQ lo abbiamo fatto subito. Dobbiamo cancellare l’indifferenza», sono state le parole delle sorelle Paola e Giulia Michelini, attrici della televisione italiana. Ancora, il velista Giovanni Soldini: «L’idea che a pochi chilometri dalle nostre coste succedano simili tragedie è un’idea pazzesca. Buon vento a ResQ».

Non fanno più notizia

È proprio il pensiero rivolto alle persone morte nei naufragi che rende Luciano Scalettari così determinato nel voler portare la nave di ResQ in acqua il prima possibile. «Oggi la necessità è ancora di più che in passato, le navi che operano sono pochissime. Il problema è che sia l’Italia che l’Europa non fanno più nulla per evitare le vittime in mare, addirittura consentono alla Libia di riportarsi indietro i malcapitati che vengono “salvati” dalla Guardia costiera libica. Una volta tornati in Libia, per i migranti ricomincia la discesa all’inferno», conclude Scalettari.

Per il presidente di ResQ, uno dei problemi maggiori di questo periodo è legato anche all’indifferenza che si è insinuata nella società: «Le morti in mare non fanno più notizia», e questo, per Scalettari «non è dettato solo dall’assuefazione, c’è anche una componente di razzismo, ed è un problema molto più serio di qualche anno fa». Un razzismo che le persone in fuga dalla Libia conoscono già molto bene, dato che in quel paese rapimenti e schiavismo sono da anni all’ordine del giorno.

Salvare più vite possibili

In Libia anche le locali istituzioni hanno le loro colpe. Ad esempio, di negligenza, come illustrano le carte di alcune intercettazioni giudiziarie eseguite su giornalisti esperti di tematiche migratorie. Queste intercettazioni, come riportato dal giornalista Lorenzo Tondo sul quotidiano inglese The Guardian, hanno portato alla luce, ad esempio, un episodio nel quale la Guardia costiera libica, dopo aver negato il suo intervento, richiesto dall’omologa italiana, per soccorrere un gommone che aveva lanciato un Sos, rispondendo di non essere in servizio quel giorno, in seguito, si è dimostrata ostile all’azione di salvataggio da parte di una nave umanitaria.

Di fronte a questo scenario, la ResQ è pronta a mollare gli ormeggi e chiede a ogni cittadino di salire a bordo effettuando donazioni. «Persone, gruppi informali, fondazioni, aziende e ogni altro componente della società civile: ci rivolgiamo a tutti e in particolare suggeriamo una donazione continuativa, con una quota mensile che permetta a ResQ di avere le risorse per continuare», spiega Scalettari.

L’obiettivo della raccolta fondi, infatti, non è solo quello di mettere in mare la nave, ma quello di rendere sostenibile il progetto nel tempo tenuto conto che i costi per l’equipaggio, il cibo, il carburante, sono alti.

«Puntiamo a operare in mare almeno per un anno, nella speranza che gli stati abbiano un sussulto di coscienza e ritornino protagonisti dei salvataggi». Una speranza oggi più che flebile, ma che va mantenuta ostinatamente viva. «L’esempio da seguire è dato dalle migliaia di persone che, in tempi difficili di preoccupazioni, dolore e paura causati dalla pandemia, non si dimenticano che c’è chi muore in mare e danno il proprio contributo per salvare più vite possibili».

Daniele Biella

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