Viaggiare e rinascere
Questo mese affrontiamo il tema del viaggio attraverso tre libri molto diversi tra loro. Partendo dall’isola di Manus, a Nord della Papua Nuova Guinea, vero inferno dei migranti, passando dal Kenya, visto dagli occhi innamorati di un missionario, oggi vescovo di Asti, arriviamo alle nostre città che inquinano di luce il cielo della notte.
Nessun amico se non le montagne
L’isola di Manus è la quinta per grandezza della Papua Nuova Guinea. Gli australiani, com’è noto, in tema di accoglienza di profughi e immigrati, usano politiche al limite della barbarie, e hanno stretto un accordo con il governo papuano per fare di Manus un campo di detenzione.
Da quella prigione si esce solo se si accetta di tornare nel paese d’origine, diversamente si rimane lì. A tempo indeterminato, senza diritti, tutele, possibilità di riprendersi in mano la propria vita.
Le condizioni di detenzione sono disumane. Lo hanno certificato decine di indagini indipendenti, e il governo australiano fatica a mettere la polvere sotto il tappeto.
Il poeta curdo iraniano Behrouz Boochani ha passato a Manus cinque anni, finché la pressione internazionale gli ha fatto ottenere un visto temporaneo per la Nuova Zelanda.
Usando un vecchio telefonino e una singhiozzante copertura internet, Boochani, che oggi ha 37 anni, sms dopo sms, messaggio Whatsapp dopo messaggio, che inviava ad amici e colleghi, ha scritto un memoriale. Ha raccontato la sua vita nell’isola, la quotidianità del campo di detenzione, le storie dei compagni di viaggio e di prigionia.
La summa di tutto ciò è un libro che Add Editore ha pubblicato nel 2019 e che si intitola Nessun amico se non le montagne.
Quattrocentotrenta pagine molto dense, toste da leggere. E lo sono per due motivi: in primo luogo, Boochani è innanzitutto un poeta, e il suo sguardo, anche dal profondo degli inferi, rimane visionario, capace di crudezza e levità nello stesso verso. In secondo luogo, i versi di Nessun amico se non le montagne sono un lungo messaggio digitato dal telefonino: non c’è manoscritto, carta, penna, computer, stampante. Solo le sue dita su una piccola tastiera da tenere lontana dagli occhi delle guardie.
Un paradiso terrestre coperto di giungla e contornato da spiagge bellissime, può essere un inferno, e nessuno lo sa.
Dove Dio ha nome di donna
Avviciniamoci un po’, e arriviamo in Africa, nel Kenya di un sacerdote fidei donum torinese oggi vescovo di Asti, una diocesi con radici nel IV secolo d.C.
Monsignor Marco Prastaro è nato a Pisa nel 1968, ma è torinese d’adozione. È stato ordinato sacerdote nel 1988 dal cardinale Ballestrero, e inviato in Kenya, nella parrocchia di Lodokejek, dal card. Saldarini.
Ha lavorato nella diocesi di Maralal, 350 chilometri e 5 ore di fuoristrada a Nord di Nairobi. Un’esperienza africana che si è conclusa dieci anni fa, ma che ancora oggi porta i suoi frutti. Uno di questi è Dove Dio ha nome di donna, edito dall’Editrice missionaria italiana.
«Alcune esperienze […] segnano in modo permanente la vita – scrive mons. Prastaro -. La plasmano, la cambiano, a volte […] la trasformano completamente. Alla fine ci si ritrova un’altra persona. Questa è la resurrezione, che è sempre ingresso in una vita nuova».
A metà strada tra il diario e il recupero della memoria recente, il libro del vescovo di Asti ha un gran merito: è limpido, senza retorica, senza alchimie. È lo specchio di ciò che è la vita missionaria: un incontro tra culture lontane, che hanno bisogno di tempo per comprendersi, entrare in sintonia e dare frutto.
«Nel dicembre del 1997, per la prima volta pensai alla missione. Era appena rientrato per motivi di salute uno dei due preti della nostra missione diocesana di Lodokejek e, pensando a don Adolfo, rimasto lì da solo, mi dissi: “Qualcuno deve pur andare ad aiutarlo […]. Magari potrei andarci io”.
A volte le scelte sono più semplici di quanto uno possa immaginare. E così don Marco si ritrova tra i Samburu a condividere con loro una quotidianità molto complessa: il flagello della siccità che porta al limite la resistenza fisica e mentale, la diffusione dell’Aids, le centinaia di gravidanze indesiderate di donne bambine, il filo troppo sottile che separa la vita e la morte, il senso d’impotenza e rabbia di fronte a un bambino che muore di malaria perché non sei arrivato con quelle due pastiglie che gli avrebbero salvato la vita. E poi quella rassegnazione delle popolazioni locali, che impari a comprendere solo con il tempo.
Nel libro di Prastaro non ci sono risposte, ma il percorso di un uomo bianco che nel cuore dell’Africa cambia e rinasce.
Cieli neri
L’ultimo tratto del viaggio è a casa nostra, o quasi, e ha un altro orizzonte: il cielo.
Irene Borgna, giovane antropologa e guida montana con la passione per la scrittura, ha pubblicato da pochissimo Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte, per Ponte alle grazie.
Savonese, trasferitasi in Valle Gesso, in provincia di Cuneo, con questo libro pone l’accento su un aspetto della nostra vita contemporanea, apparentemente marginale, ma legato al tema serio del cambiamento che la Terra sta subendo: se alziamo gli occhi al cielo non vediamo più le stelle.
A metà strada tra la lettura romantica della notte e l’analisi scientifica di un fenomeno naturale che scompare, Irene Borgna, a bordo di un camper, va a caccia delle aree del Nord Europa nelle quali, di notte, si può ancora essere travolti dal cielo stellato.
«La pianura Padana – scrive Irene – è tra le aree più abbagliate e abbaglianti dell’intero pianeta. […] Nessun italiano può dire di godere di una notte intatta […] otto italiani su dieci non riescono a scorgere la Via Lattea da casa propria».
La luce e il buio dettano i ritmi della vita, alterarli è una pessima idea. Esistono iniziative che cercano di portare il tema all’attenzione del grande pubblico. Irene Borgna invita il suo lettore: «Passa all’azione. Controlla che le luci di casa siano ineccepibili. Se quelle dei tuoi paraggi non ti convincono, consulta la documentazione e la normativa regionale […] sul sito cielobuio.org […], poi chiedi un consiglio su come iniziare a riconquistare la notte».
Il cielo più buio, e quindi luminoso, d’Europa, Irene lo trova. Per scoprire dove, vale la pena leggere il suo libro.
Sante Altizio