testo di Luca Lorusso |
Dai dodici anni vissuti in Amazzonia è nato il suo «amore per la giustizia» e per la «sobrietà felice». Adriano Sella coordina dal 2007 la «Rete interdiocesana nuovi stili di vita». L’abbiamo sentito sull’anno speciale Laudato si’ e sull’ambizioso programma di ecologia integrale che l’accompagna.
L’anno speciale per la Laudato si’ è iniziato il 24 maggio scorso, quinto anniversario dell’enciclica di papa Francesco «sulla cura della casa comune». Avviato un po’ in sordina, promette di far parlare di sé. Nelle intenzioni di chi l’ha pensato, l’anno speciale sarà un tempo nel quale dare forma a un programma ambizioso di cambiamento basato sulle istanze dell’ecologia integrale.
Dalla sua pubblicazione, la Laudato si’ ha già prodotto molto fermento, a livello teologico, ecclesiale, pastorale, ma anche culturale, sociale, politico, e nella vita quotidiana di molti.
«Il fatto che il quinto anniversario dell’enciclica coincida con […] una pandemia mondiale», scrive il Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale, «rappresenta uno spartiacque e fa sì che il messaggio della Laudato si’ sia oggi tanto profetico quanto lo era nel 2015. […] Il Covid-19 ha messo in luce […] la profonda interconnessione […] tra tutti noi. Per iniziare a immaginare un mondo post-pandemia, abbiamo bisogno anzitutto di adottare un approccio integrale […]. L’urgenza della situazione è tale da richiedere risposte immediate, olistiche e unificate a tutti i livelli, sia locali che regionali, nazionali e internazionali. In particolare, è necessario creare “un movimento popolare” dal basso, e un’alleanza tra tutti gli uomini di buona volontà».
Dare ascolto «al grido della Terra e al grido dei poveri» è possibile. Mettere in atto cambiamenti profondi che promuovano una vita bella nella casa comune è una strada percorribile.
Ce lo dicono da anni le molte voci che, provenienti spesso dal mondo missionario, propongono il cambiamento all’insegna di «nuovi stili di vita».
Ne abbiamo parlato con Adriano Sella, «laico missionario nella custodia del creato», promotore e coordinatore dal 2007 della Rete interdiocesana nuovi stili di vita.
Adriano, come nasce il tuo impegno per i nuovi stili di vita?
«Dal 1990 al 2002 sono stato in Amazzonia. Lì mi sono innamorato della giustizia, ho capito che bisogna smettere con l’assistenzialismo e costruire rapporti giusti.
Nel 1995 ho portato in Italia un documento elaborato in Amazzonia dalle comunità cristiane e i movimenti popolari. Diceva: “Noi del Sud chiediamo a voi del Nord giustizia, e non elemosina”. Da lì è nato a Vicenza, dove vivo oggi, il movimento “Gocce di giustizia”, persone con la voglia di mettere assieme i gruppi che già lavoravano in quella direzione, e abbiamo iniziato a educarci a cambiare stili di vita».
Cos’è la Rete interdiocesana?
«Quando sono tornato in Italia nel 2002, la diocesi di Padova mi ha coinvolto in un lavoro pastorale sui nuovi stili di vita. Allora sono andato in altre diocesi, dove sapevo di alcuni percorsi già in atto: Verona, Trento, Bolzano-Bressanone, Venezia, Brescia. Da quei contatti è nato il desiderio di metterci insieme, scambiarci esperienze, e, nel 2007, è nata la Rete che oggi conta circa novanta diocesi.
Fare rete è importante, perché ci si rafforza a vicenda. È uno dei nostri 10 obiettivi: “La narrazione dell’alternativa”. Il male fa notizia. La gente è impregnata di pessimismo, e parla sempre di quello che non va. Per questo è necessario narrare la speranza, far vedere che ci sono alternative possibili.
L’obiettivo della società dei consumi è quello che io chiamo “la nuova rassegnazione”, come dice la Laudato si’: “Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare” (LS 204). Noi dobbiamo tirare fuori il bene, raccontarlo, farlo vedere».
L’anno speciale sulla Laudato si’ propone una conversione ecologica che chiama in causa i nuovi stili di vita. Tra le iniziative previste, c’è quella della «giornata per la custodia del creato» del 1 settembre. Nel messaggio che l’accompagna, in riferimento alla pandemia, si legge: «Abbiamo toccato con mano tutta la nostra fragilità, ma anche la nostra capacità di reagire solidalmente ad essa. Abbiamo capito che solo operando assieme – anche cambiando in profondità gli stili di vita – possiamo venirne a capo».
«Gli umani cambiano molto per necessità e poco per virtù, ma i cambiamenti procurati dalla paura, ad esempio del Covid-19, durano poco. Quando il pericolo passa, si torna a vivere come prima. Quando, invece, il cambiamento è motivato, è maturato per amore, quando capisci che è più bello vivere sobriamente, con meno oggetti e più relazioni, la vita cambia ed è più libera.
Quando è uscita l’enciclica nel 2015, abbiamo fatto un balzo di gioia. Ci siamo sentiti confermati nel lavoro che stavamo facendo già da tempo. La Laudato si’ è diventata subito un faro per noi. È un pozzo inesauribile. Non è solo teoria, ma una spinta a mettere in atto comportamenti belli.
La Cei ha indetto la prima giornata del creato nel 2006, mossa dal movimento ecumenico: è, infatti, nata nell’89 dalla Chiesa ortodossa di Costantinopoli per la quale il primo settembre è l’inizio dell’anno liturgico. È bella l’idea d’iniziare l’anno all’insegna della custodia del creato».
Altra iniziativa compresa nell’anno speciale, è quella denominata «il tempo del creato»: un mese, dal 1 settembre al 4 ottobre, dedicato alla spiritualità ecologica. Possiamo dire che la spiritualità è il punto di partenza di una conversione ecologica che sia profonda e duratura?
«Anche il mondo laico lavora nella promozione dei nuovi stili di vita. Qual è l’approccio cristiano rispetto a quello laico? Per i cristiani c’è un primato della fede sull’etica, c’è un cambiamento che parte dall’interno, da una conversione del cuore.
L’enciclica lo sottolinea. Riprende la spiritualità dei profeti, quella del cuore nuovo, fino alla Pentecoste quando avviene il passaggio dal cenacolo all’uscita. Il cambiamento parte da dentro, dalle cose che ti toccano profondamente. Pensiamo alla figura evangelica di Zaccheo.
Se il cambiamento parte dall’interno, il cambiamento esterno è più radicato. Le proposte che facciamo, se non partono dal profondo, rischiano di ridursi a elenchi di comportamenti e rischiano di portare al moralismo».
A proposito di cambiamenti profondi, la Laudato si’ ne ha già prodotti secondo te?
«Sì. A livello teologico e pastorale ad esempio. L’enciclica ci ha aiutati a capire che all’origine di tutto c’è il bene, non il male.
Nella nostra visione tradizionale, tutto parte dal peccato originale, seguito dal processo di redenzione. Scoprire, invece, che all’origine di tutto c’è un bene, significa scoprire che c’è un grande bene in ogni creatura. Nella prassi educativa, allora, si lavora per tirare fuori il bene che c’è.
Nella parabola del figliol prodigo, c’è un padre che non punta il dito, ma apre le braccia.
Se noi lavoriamo con un metodo educativo repressivo, pensando che la paura (del castigo, dell’inferno) aiuti a cambiare, produciamo un cambiamento superficiale, che dura poco. Se invece facciamo emergere la bellezza, facendo capire quanto è bella la vita quando è piena di relazioni, quando ti gusti le cose belle, allora aiutiamo il cambiamento.
La vita cristiana è bellezza. La sobrietà non è sacrificio, ma liberazione. Non è austerità, privazione, ma liberazione da tutto quello che è inutile. Se mostriamo una vita cristiana felice, allora la proposta viene accolta.
Il Giubileo sulla misericordia e tutto quello che il papa sta facendo, ci parlano di questo: Dio è amore. Su questo dobbiamo lavorare, e l’enciclica ci aiuta molto, ad esempio rivelandoci che il creato è la prima manifestazione dell’amore del Padre.
Ci eravamo dimenticati anche di questo! Nella Bibbia ci sono i libri sapienziali che lo dicono. I padri della chiesa hanno passaggi bellissimi. La Laudato si’ lo ha riproposto in modo forte.
Se noi trasformiamo il creato in una pattumiera, come fanno i bambini a percepire l’amore del Padre? Dicono subito: “Che schifo questo mondo!”. Se invece si trovano davanti la grande bellezza, possono sentire la carezza di Dio.
La cura del creato quindi non è solo una questione ambientale, socio-economica, politica, è anche una questione teologica: abbiamo a che fare con il dono di Dio. Se usiamo la creazione in una pattumiera, impediamo a Dio di manifestare il suo amore».
L’anno speciale prevede iniziative come «il patto globale sull’educazione» e «l’economia di Francesco», entrambe previste inizialmente nella prima metà del 2020 e poi rinviate a causa della pandemia. Poi la tavola rotonda vaticana al forum economico mondiale di Davos, un raduno di leader religiosi e altro.
Quello che ci ha colpiti però è la piattaforma pluriennale di iniziative «per rendere le comunità di tutto il mondo totalmente sostenibili, nello spirito dell’ecologia integrale della Laudato si’», cioè il progetto di far partire ogni anno per dieci anni un «gruppo» di famiglie, parrocchie, diocesi, scuole, università, ospedali, imprese, ordini religiosi, che s’impegnino pubblicamente per 7 anni in un percorso di conversione ecologica.
Cosa pensi di questo programma ambizioso che copre un arco di tempo di addirittura di 17 anni?
«È una metodologia importante dal punto di vista educativo. L’idea dei sette anni, che porta in sé la dimensione biblica del numero sette, è bella. È un periodo sufficiente per lavorare bene e per mettere in atto dei percorsi concreti di cambiamento. In un settennio c’è il tempo per coinvolgere, si possono fare verifiche, riorganizzare le cose, ecc. La prospettiva di questo tempo lungo ci aiuterà a far diventare l’enciclica una prassi della vita».
È una scommessa anche per il prossimo papa.
«Sì, questo processo diventa irreversibile. Se avviato bene, con la spiritualità al centro, è come costruire la casa sulla roccia.
È un segno bello di speranza. Io credo che la Laudato si’ sia l’unica enciclica che ha cambiato anche lo stile ecclesiale. Tutte le encicliche producono una bella attenzione quando escono, ma questa ha cambiato anche il modo di essere chiesa, di programmare a livello di parrocchie, di gruppi, e a livello culturale».
Anche nella società laica l’enciclica è un riferimento.
«Qualche tempo fa, Paolo Cacciari, fratello del filosofo, giornalista e leader di movimenti ambientalisti, mi ha detto che l’enciclica è stata molto importante per il mondo laico, soprattutto per aver connesso le due facce della stessa medaglia: il grido della Terra e il grido dei poveri. Non esiste una priorità ambientale, o una priorità sociale, ma un’unica grande questione».
Una connessione che tu hai vissuto in Amazzonia.
«Sì, il grido della Terra e dei poveri in America Latina è da anni una questione unica. Proporre al mondo intero di vedere la Terra come madre e sorella è una rivoluzione. La Terra non può essere vista solo come un contenitore di risorse. Deve essere vista come madre. Per i laici è Gaia, un super organismo vivente. Per i cristiani è parte del creato, è dono di Dio. La Terra non è merce, non è da spremere. Se cambia la nostra visione culturale sulla Terra, cambia il nostro modo di relazionarci con lei».
Luca Lorusso