L’uomo e il virus: non è finita
testi di Rosanna Novara Topino |
In Italia e in Europa la pandemia ha allentato la morsa. Sul terreno sono rimasti migliaia di morti e grandi macerie. Il futuro rimane ancora incerto e i pericoli incombenti.
Quali sono state le misure adottate per contenere la pandemia? Le misure di contenimento sono variate da paese a paese. Si è passati da quelle molto leggere della Svezia al completo lockdown di altri paesi, come l’Italia. Nel nostro paese, nella cosiddetta «fase 1», durata dal 23 febbraio al 17 maggio (introduzione delle misure di contenimento e della gestione dell’emergenza epidemiologica della Covid-19 con decreto legge del 23 febbraio 2020), si sono interrotte le normali attività lavorative, fatta eccezione per quelle che permettevano il rifornimento dei generi di prima necessità alla popolazione, e le possibilità di movimento dei cittadini sono state limitate al rifornimento di generi alimentari, di farmaci e alle visite mediche con il limite di una sola persona per famiglia fuori casa, per favorire il distanziamento sociale ed evitare assembramenti. I controlli sui movimenti di persone all’aperto si sono intensificati, fino ad arrivare all’utilizzo di droni e di elicotteri.
Dopo la «fase 2» (18 maggio – 14 giugno), con la riapertura delle attività produttive e il progressivo ritorno a una maggiore libertà di movimento, dal 15 giugno al 14 luglio, l’Italia è entrata nella «fase 3», che ha consentito spostamenti tra regioni diverse (già dal 3 giugno), la partecipazione ai funerali senza il limite di 15 persone, gli esami di maturità in presenza, mentre sono rimaste sospese fiere, congressi, processioni, manifestazioni sportive con pubblico e tutte le altre forme di assembramento.
In questo momento (luglio 2020), in Italia è notevolmente diminuito il numero dei pazienti Covid in terapia intensiva e molti reparti dedicati sono stati chiusi. Inoltre, i nuovi casi positivi non presentano più i gravissimi quadri clinici riscontrati tra febbraio e aprile. Questo tuttavia non è il momento di abbassare la guardia, perché potrebbe esserci una recrudescenza dei contagi, come è già avvenuto a Singapore per la Covid e come avvenne a San Francisco (Stati Uniti) nel 1918 per la spagnola. Eppure una ripartenza è necessaria, perché mesi di sosta forzata hanno portato a un tracollo economico in diversi settori. Molte persone sono finite in cassa integrazione e qualcuno ha perso il posto di lavoro. Purtroppo, c’è chi si è già suicidato e molti sono coloro che sono diventati vulnerabili sotto il profilo psicologico. Inoltre, è necessario tornare quanto prima alle lezioni scolastiche e universitarie in presenza, perché le lezioni a distanza hanno portato ad acuire la disparità tra studenti con più risorse e quelli con meno (non solo con riferimento al digital divide, cioè alla maggiore o minore disponibilità di mezzi informatici).
La strage degli anziani
Quello che è stato chiaro fin dall’inizio della pandemia è che la Covid-19, nelle persone altamente suscettibili, è così aggressiva da portare nel giro di una settimana o poco più il paziente in una situazione allarmante, se non critica, con necessità di ricovero in terapia intensiva e di ventilazione meccanica. L’elevata contagiosità del coronavirus ha portato nel giro di un mese o poco più al collasso delle strutture sanitarie in diverse città del Nord Italia, tra cui Bergamo e Brescia, e il numero dei deceduti è stato così elevato da rendersi necessario il trasporto delle bare in altre città per la cremazione con mezzi dell’esercito.
In molte famiglie è scomparsa almeno una persona, se non di più. E solo dopo due mesi dall’inizio della pandemia, a seguito di indagini della magistratura, in tutta Italia è emerso chiaramente che, nelle case di riposo per anziani e nelle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), il numero degli ospiti e degli operatori sanitari positivi al coronavirus è stato elevatissimo. Secondo le stime dell’Iss (Istituto superiore di sanità), le morti per Covid nelle Rsa sono state tra 9mila e 10mila, ma il dato è approssimato per difetto, non essendo stato fatto il tampone a tutti. Peraltro lo stesso scenario si è presentato in tutta Europa: una strage di anziani. Inoltre, nella sola Italia sono morti sul campo 163 medici, 40 infermieri, 24 operatori socio sanitari e 14 farmacisti. E a loro si aggiungono 121 sacerdoti.
Farmaci e vaccini
A livello di prevenzione della Covid-19, sono allo studio diversi tipi di vaccini (preparati con virus attenuati o con parti di virus), ma nella migliore delle ipotesi ci vorranno non meno di 18 mesi prima di arrivare ad un vaccino, sempre che sia possibile realizzarne uno veramente efficace. Il fatto che, dopo 17 anni, non ci sia ancora un vaccino per la Sars del 2003, non è un buon segnale.
Per quanto riguarda le cure, anche in questo caso non ne esiste una specifica per la Covid-19. In alcuni ospedali stanno utilizzando con discreti risultati dei cocktail di farmaci antivirali già utilizzati nella cura di altre gravi malattie come l’Ebola. In alcuni casi in fase precoce sembra funzionare l’idrossiclorochina, un farmaco antimalarico, anche se c’è ancora disaccordo tra i vari studiosi sui suoi possibili effetti collaterali e sulla reale efficacia, mentre per la prevenzione delle tromboembolie, che possono portare a embolia polmonare, ischemia cardiaca o cerebrale si fa ricorso, quando il rapporto rischio/beneficio lo consente, all’uso di eparina.
Recentemente all’Università di Oxford hanno ottenuto buoni risultati con l’uso del desametasone, un antinfiammatorio steroideo della famiglia del cortisone in grado di ridurre la mortalità del 35% dei pazienti intubati. Un altro metodo di cura, che si sta rivelando molto efficace è quello del plasma iperimmune donato dai pazienti guariti da Covid e contenente quindi gli anticorpi efficaci nel contrastare la malattia. Questo metodo ha trovato inizialmente parecchi oppositori, poiché il plasma non è brevettabile, non essendo un farmaco, e la sua donazione è totalmente gratuita, quindi non consente alcun giro d’affari.
La lezione
A giugno abbiamo assistito a una ricomparsa della Covid in Cina, con un nuovo focolaio nel mercato dell’umido di Pechino. La situazione è diventata estremamente preoccupante nei paesi dell’America Latina, soprattutto in Brasile e Perù, dove intere comunità di popolazioni indigene stanno rischiando la loro sopravvivenza più di chiunque altro per le enormi difficoltà di raggiungere gli ospedali e per la continua esposizione al virus legata alla presenza dei cercatori illegali d’oro e di pietre preziose nella foresta amazzonica (si veda MC di luglio e questo numero a pp. 51-56). Altrettanta preoccupazione è data dall’aumento repentino dei casi e dei decessi in India. In Africa, gli stati maggiormente interessati dalla Covid attualmente sono l’Egitto, l’Algeria, il Sudafrica, il Marocco e la Nigeria, ma complessivamente questo continente sembra il meno colpito dopo l’Oceania, anche se le cifre sono sottostimate per la difficoltà di effettuare screening corretti in molti paesi. Tuttavia, qui l’epidemia è ancora in aumento e ciò che desta maggiore preoccupazione è la presenza di soli 5mila posti di terapia intensiva in tutto il continente (in Italia sono stati raggiunti 6.100 posti nel mese di marzo). Tutto questo dovrebbe almeno insegnarci che l’uomo non è al di sopra o al di fuori del regno animale, di cui fa parte, e che ogni sua azione contro di esso e più in generale contro l’ambiente può avere gravi ripercussioni e rivelarsi un boomerang dalle conseguenze incontrollabili. Proprio come l’attuale pandemia.
Rosanna Novara Topino
(terza parte – fine)
I test
Alla ricerca di anticorpi
Per quanto riguarda i controlli sanitari, il test più utilizzato è quello del tampone naso-faringeo, che permette una prima analisi della presenza del virus mediante tecnica Pcr (Polimerase chain reaction) per l’identificazione dell’Rna virale. Un test più accurato è quello della raccolta di campioni biologici dalle basse vie respiratorie (espettorato, aspirato endotracheale, lavaggio bronco-alveolare). Per monitorare la presenza del virus nei vari distretti corporei si effettua la raccolta di campioni biologici aggiuntivi quali sangue, urine e feci. L’analisi del siero consente – inoltre – di valutare la quantità di anticorpi per il Sars-CoV-2 e grazie ad essa è possibile osservare l’innalzamento dei valori di immunoglobuline M (IgM, indicanti un’infezione allo stato iniziale) e di immunoglobuline G (IgG, infezione in stato avanzato). Oltre al prelievo rapido di una goccia di sangue mediante il pungidito, metodo che dà un risultato istantaneo, ma non sempre attendibile, attualmente la raccolta del siero viene effettuata con prelievo di sangue in vena e l’analisi viene condotta con metodo Elisa, i cui risultati sono più attendibili, soprattutto perché alcuni kit diagnostici testano gli anticorpi diretti contro la proteina spike (dominio S1), la regione più specifica e meno conservata del coronavirus della Covid-19. Altri kit individuano gli anticorpi contro la proteina N del nucleocapside del virus, una proteina più duratura e comune anche ad altri coronavirus, che infettano comunemente l’uomo (come quello del raffreddore), quindi sono possibili delle cross-reattività che danno dei falsi positivi. Per ottenere un risultato il più possibile attendibile, in alcuni laboratori hanno iniziato a testare non solo le IgM e le IgG, ma anche le IgA, gli anticorpi presenti nelle secrezioni, che hanno un ruolo fondamentale nel creare una prima risposta immunitaria al virus a livello delle mucose, tra cui quella dell’apparato respiratorio.
(RNT)
Italia, 35mila morti: com’è stato possibile?
La catena degli errori
Sicuramente è stato un grave errore, commesso peraltro da moltissimi altri paesi, sottovalutare la pandemia e non preparare per tempo un adeguato numero di posti di terapia intensiva, nonostante la Covid fosse già presente in Cina da diversi giorni. E il ritardo da parte dell’Oms nel dichiarare la Covid-19 una pandemia non ha certo aiutato a prendere per tempo le necessarie contromisure. Si è arrivati alla sospensione dei viaggi da e per la Cina troppo tardi, quando ormai erano giunte nel nostro paese troppe persone contagiate, a cui non è stato fatto alcun controllo sanitario. In ogni caso un buon numero di cinesi (o di italiani di rientro) è comunque riuscito ad eludere la chiusura dei voli diretti in Italia, arrivando in altri aeroporti europei e raggiungendo il nostro paese per via di terra, dopo essere stati a festeggiare il capodanno cinese nelle loro città natali.
Per quanto riguarda i tamponi, poiché era impossibile farli a tutta la popolazione, per mancanza di reagenti e di laboratori, inizialmente sono state seguite le indicazioni dell’Oms, che dicevano di farli solo alle persone asintomatiche, paucisintomatiche o con sintomatologia compatibile con Covid, quindi febbre alta e difficoltà respiratorie, che avessero avuto rapporti con persone provenienti dalla Cina o che fossero esse stesse provenienti da località asiatiche. In tale modo sono stati esclusi molti casi positivi, che, inconsapevoli di esserlo, hanno continuato a circolare liberamente diffondendo il virus.
Per molto tempo, pur essendo chiaro che stava aumentando in modo anomalo, rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti, il numero di anziani deceduti nelle Rsa, nessuno ha mai pensato di fare i tamponi agli ospiti e al personale sanitario di queste strutture. Solo adesso si stanno facendo i tamponi in tutte le Rsa e case di riposo, quando ormai i loro ospiti sono deceduti in gran numero. Tra l’altro, tali decessi spesso non sono stati conteggiati come Covid, non essendo state compiute le analisi su queste persone prima della morte. E questo è uno degli elementi per i quali si ritiene che il numero totale dei decessi per Covid sia sottostimato. Sicuramente è stato un grave errore la decisione di trasferire dei pazienti Covid in terapia sub intensiva in alcune Rsa, per fare spazio negli ospedali, senza tenere conto del pericolo di contagio (circolare del ministero della Salute del 25/03/2020). Oltre a questo, agli operatori sanitari sono stati forniti i dispositivi di protezione individuale (Dpi) con grande ritardo, per non parlare del fatto che alcuni di loro hanno riferito di avere ricevuto pressioni per non indossare le mascherine in pubblico, allo scopo di non creare allarmismo.
La pressione a cui è stato sottoposto il sistema sanitario nel nostro paese per tentare di fare fronte all’epidemia, ha portato a mettere in secondo piano i malati di altre patologie, con interventi chirurgici già programmati rimandati, visite specialistiche spostate di mesi e così via. Tutto questo per alcuni pazienti può rappresentare un pericolo. Secondo uno studio dell’Università di Birmingham pubblicato sul British Journal of Surgery, a causa della Covid potrebbero essere stati cancellati finora oltre 28 milioni di interventi chirurgici programmati al mondo (3 su 4, cioè il 72,3%). In Italia, le nuove diagnosi di cancro, dall’inizio dell’emergenza, si sono ridotte del 52%, gli interventi chirurgici hanno subito ritardi nel 64% dei casi e le visite specialistiche sono diminuite del 57%. I tumori e le patologie cardiovascolari non sono certamente meno gravi della Covid e tutti questi ritardi nella diagnosi e nella cura rischiano di compromettere la possibilità di sopravvivenza di molte persone, che diventerebbero perciò vittime collaterali dell’epidemia.
Uno dei più gravi errori commessi dal nostro governo è stato quello di emanare una disposizione (circolare n. 15.280 del 2 maggio 2020 del ministero della Salute) secondo la quale, nei casi conclamati di Covid, non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie e riscontri diagnostici. Fortunatamente in alcuni ospedali come il Sacco di Milano e il Giovanni XXIII di Bergamo le autopsie sono comunque state eseguite e si è così compreso che il danno maggiore da Covid non è a carico dei polmoni, ma del sistema circolatorio con formazione di trombi, che rallentano la circolazione del sangue, il quale una volta giunto ai polmoni non consente più una ventilazione corretta. La Covid sarebbe così una malattia infiammatoria del sangue. Quindi, i farmaci che prevengono la formazione dei trombi, come l’eparina possono dare un valido aiuto. Il risultato ottenuto dalle autopsie ha pertanto evidenziato che è stato un errore prima di tutto ospedalizzare i pazienti solo quando ormai giunti alla situazione di «fame d’aria» e, quindi, intubarli per la ventilazione meccanica. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal basata sui dati del Ssn britannico, il 58,8% dei pazienti Covid intubati è morto. A New York risulta deceduto l’88% dei 320 pazienti sottoposti a ventilazione meccanica. Secondo uno studio del Policlinico di Milano pubblicato da Giacomo Grasselli sul Journal of American Medical Association quasi un paziente Covid intubato su due muore, questo perché la ventilazione meccanica può peggiorare il preesistente danno polmonare.
(RNT)