I Perdenti 54. Giorgio Perlasca, diplomatico per amore

testo di don Mario Bandera |


Giorgio Perlasca nasce a Como il 31 gennaio 1910. Dopo qualche mese, per motivi di lavoro del padre Carlo, la sua famiglia si trasferisce a Maserà, in provincia di Padova. Negli anni Venti aderisce con entusiasmo giovanile alla nascente ideologia fascista, in particolar modo alla sua versione dannunziana. Tanto che, per sostenere le idee di Gabriele D’Annunzio, litiga con un suo professore che aveva condannato l’impresa del Vate a Fiume, e per questo motivo è espulso per un anno da tutte le scuole del Regno.

Coerentemente con le sue scelte ideologiche, nel 1936 parte come volontario per la guerra di Etiopia e nel 1937 per la Spagna, dove combatte in un reggimento di artiglieria al fianco del generale Franco. Tornato in Italia al termine della guerra civile spagnola, nel 1939, il suo rapporto con il fascismo entra in crisi essenzialmente per due motivi: l’alleanza che il governo di Mussolini stringe con la Germania, contro cui l’Italia aveva combattuto una guerra solo vent’anni prima, e per le leggi razziali entrate in vigore nel 1938 che sancivano la discriminazione degli ebrei italiani. Rinuncia quindi alle sue idee giovanili, senza però diventare un oppositore al regime. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, si trova con permesso diplomatico nei paesi dell’Est Europa come agente di una ditta di Trieste che importa carne per l’Esercito italiano. L’armistizio tra l’Italia e gli Alleati dell’8 settembre 1943, lo coglie mentre si trova a Budapest in Ungheria.

Sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà al Re d’Italia, e nonostante le nostalgie fasciste di gioventù, rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, ed è quindi internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici dove gli viene prospettato il trasferimento in Germania. Nel mese di ottobre del 1944, quando i tedeschi che occupano l’Ungheria affidano il potere alle Croci Frecciate, ovvero ai filonazisti magiari, iniziano le persecuzioni sistematiche e le deportazioni nei campi di sterminio dei cittadini di religione ebraica.

Davanti alla grande sinagoga di Busapest

In un contesto così difficile e violento come ti muovesti in quei frangenti a Budapest?

Approfittando di un permesso che mi diedero per andare a Budapest per una visita medica, riuscii a nascondermi e fuggire. Mi nascosi prima presso vari conoscenti, quindi, grazie a un documento che attestava la mia partecipazione alla guerra civile spagnola e al foglio che mi assicurava assistenza diplomatica per il mio lavoro di importatore di carne per l’esercito, trovai rifugio presso l’ambasciata spagnola.

Quel documento della guerra di Spagna, firmato nientemeno che dal Generalissimo Franco, fu fondamentale per te.

Grazie a quello, in pochi minuti diventai cittadino spagnolo con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca, e iniziai a collaborare con Ángel Sanz Briz, l’ambasciatore spagnolo che, assieme ad altri ambasciatori di paesi neutrali presenti in Ungheria (Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano), stava già rilasciando salvacondotti per proteggere gli ebrei ungheresi.

Già, ma a fine novembre 1944 Sanz Briz lasciò l’Ungheria per il suo rifiuto di riconoscere il governo filonazista appena nato.

Il giorno dopo, il ministero dell’Interno ungherese, venuto a conoscenza della partenza di Sanz Briz, ordinò di sgomberare le case di proprietà della Spagna, dove avevano trovato rifugio molti cittadini ebrei.

E fu a quel punto che tu, Giorgio Perlasca, commerciante italiano di bestiame, con una conoscenza perfetta della lingua spagnola, prendesti la decisione più importante della tua vita.

l documento redatto a mano con le credenziali che accreditano Giorgio Perlasca come diplomatico dell’Ambasciata spagnola in Ungheria, presentato al Ministero degli Esteri d’Ungheria nel novembre 1944.

Infatti, mi precipitai presso il ministero dell’Interno urlando: «Sospendete tutto! State sbagliando tutto! L’ambasciatore spagnolo Sanz Briz si è recato a Berna in Svizzera, per comunicare più facilmente con il suo governo a Madrid. La sua è una missione diplomatica importantissima. Informatevi presso il ministero degli Esteri. Esiste una precisa nota di Sanz Briz che mi nomina suo sostituto per il periodo della sua assenza».

È proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci, difatti fosti creduto e le operazioni di sgombero furono sospese.

Il giorno dopo su carta intestata e con timbri autentici, compilai di mio pugno la nomina ad ambasciatore spagnolo e la presentai al ministero degli esteri dove le credenziali diplomatiche vennero accolte senza riserve.

Nelle vesti di diplomatico tenevi in piedi pressoché da solo l’ambasciata spagnola, organizzando l’incredibile impostura che ti portò a salvare e sfamare giorno dopo giorno migliaia di ungheresi di religione ebraica ammassati nelle case protette lungo il Danubio.

Cercavo di tutelarli in ogni modo dalle incursioni delle Croci Frecciate, mi recai più volte con Raoul Wallenberg, l’incaricato personale del re di Svezia, e con il nunzio della Santa Sede monsignor Angelo Riotta, alla stazione per cercare di recuperare più gente possibile.

Protetto dalla mia posizione di diplomatico spagnolo riuscii persino a ingannare il ministro dell’Interno ungherese, minacciando una supposta ritorsione spagnola sui cittadini ungheresi viventi in Spagna e addirittura in America Latina, se avesse autorizzato l’incendio del ghetto di Budapest.

È vero che trattavi ogni giorno con il governo ungherese e le autorità tedesche di occupazione, rilasciando salvacondotti che dicevano: «Parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non saranno ristabilite ed il viaggio possibile, Lei resterà sotto la protezione del governo spagnolo».

Questi salvacondotti li rilasciavo utilizzando una legge voluta nel 1924 dal ministro spagnolo Miguel Primo de Rivera che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita (ovvero di antica origine spagnola) scacciati alcuni secoli prima (31 marzo 1492) dalla regina Isabella la Cattolica dal suolo iberico. Lungo i secoli essi si erano dispersi in tutta Europa.

La legge Rivera in un certo qual modo fornì la base legale dell’intera operazione organizzata coraggiosamente da te, che permise di mettere in salvo più di cinquemila ebrei ungheresi.

Direi proprio di sì.

Perlasca e Cossiga il 30 giugno 1990

Il busto dedicato a Giorgio Perlasca davanti all’Istituto di Cultura Italiana di Budapest

Dopo l’entrata a Budapest dell’Armata Rossa sovietica, Giorgio Perlasca viene fatto prigioniero, liberato dopo qualche giorno, e dopo un lungo e avventuroso viaggio per i Balcani e la Turchia rientra finalmente in Italia. Da eroe solitario diventa un «uomo qualunque»: conduce una vita normalissima e chiuso nella sua riservatezza non racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, la sua storia di coraggio, altruismo e solidarietà. Grazie però ad alcune donne ebree ungheresi, ragazzine all’epoca delle persecuzioni, che attraverso il giornale della comunità ebraica di Budapest ricercano notizie del diplomatico spagnolo che durante la Seconda guerra mondiale le aveva salvate, la vicenda di Giorgio Perlasca viene alla luce.

Le testimonianze dei sopravvissuti salvati sono numerose e ben documentate, la notizia diventa di dominio pubblico, arrivano i giornali, le televisioni, si pubblicano libri su quella drammatica vicenda.

Lo stesso Perlasca – vincendo la sua naturale riservatezza – accetta di recarsi nelle scuole per raccontare quel che aveva compiuto. Non certo per protagonismo, ma perché ritiene necessario rivolgersi alle giovani generazioni affinché follie come quella del nazismo non abbiano mai più a ripetersi.

Giorgio Perlasca muore il 15 agosto del 1992. È sepolto nel cimitero di Maserà, a pochi chilometri da Padova, sulla sua lapide a fianco delle date di nascita e di morte, è incisa un’unica frase in ebraico: «Giusto tra le Nazioni».

Don Mario Bandera

Libro dedicaro a Giorgio Perlasca