Guinea-Bissau: Missione Sfidante

L'avventura della Missionarie della Consolata

testi di  Anélia Gomes de Paiva e Marco Bello |


Indice


La storia di una presenza

Le missionarie della Consolata in Guinea-Bissau

Guinea-Bissau, Bijagos archipelago, Canhabaque island (or Roxa island) / © Nicolas Thibaut

Nel lontano 1990 un gruppo di missionarie si spinge in Guinea-Bissau. Un piccolo paese lusofono, in Africa dell’Ovest, dimenticato dai grandi circuiti. Il contesto si presta a una missione ad gentes di prima evangelizzazione. Ma molto c’è anche da fare nei diversi campi della promozione umana. Le religiose approdano anche sulle isole Bijagos, dove la durezza della vita e la cultura locale sono sfidanti. Oggi le missioni sono tre e le sorelle undici. Una di loro si racconta.

Il popolo bissau-guineano mi ha insegnato a rispettare e accogliere con simpatia il diverso, sia per cultura che per tradizione, ad accettare con più pazienza le difficoltà della vita, a non lamentarmi dei problemi che si incontrano oggi. Mi ha aiutata a fare l’esperienza più profonda dell’amore di Dio, attraverso le loro vite, le loro sofferenze. Ho scoperto tante persone che vivono del miracolo dell’amore di Dio. Inoltre, loro mi hanno aiutata a vivere la mia fede in modo più radicale, perché vivono radicalmente la loro tradizione, e questo mi interroga.

Con loro ho imparato a essere più missionaria e vivere meglio la missione, a partire dal loro contesto e dalla loro realtà concreta, privilegiando la vicinanza, l’ascolto, l’amicizia, il dialogo, la testimonianza. I guineani mi hanno fatto sperimentare il grande dono dell’ad gentes e la gioia di essere missionaria.

Il perché di un sogno

Situato in Africa dell’Ovest, la Guinea-Bissau è uno dei più piccoli stati del continente, con una superficie di 36.134 km quadrati, (pari a Piemonte e Abruzzo insieme), e una popolazione di appena un milione e 500mila individui.

Ma perché le missionarie della Consolata sono arrivate proprio qui? Per capirlo occorre fare un passo indietro nel tempo.

Il Capitolo (riunione generale dell’istituto, ndr) del 1987 ha ritenuto vitale l’apertura di nuovi campi di missione per dare la possibilità alle sorelle di iniziare cammini nuovi secondo la metodologia della missione oggi (missione come dialogo interculturale, dialogo ecumenico, dialogo interreligioso, dialogo di vita; missione come inculturazione; missione come testimonianza; missione come ricerca di giustizia e pace) e secondo le nostre caratteristiche carismatiche (metodologia che privilegia l’unione con Dio, la testimonianza di vita, l’accoglienza e la vicinanza alla gente, l’ascolto del cammino di Dio fatto con il popolo).

La Guinea-Bissau è, senza dubbio, un luogo che risponde a tutti questi obiettivi. Così nel 1990 abbiamo iniziato i primi passi, andando a conoscere la zona di Empada, nel Sud del paese, un’area di prima evangelizzazione che era già stata proposta a diciassette congregazioni.

Visitando la zona, abbiamo scoperto che corrispondeva al nostro carisma e all’insegnamento del nostro fondatore, il beato Giuseppe Allamano, che ci disse: «Dovete andare dove nessuno vuole andare».

Suor Anna Paola Folletto, tra le prime missionarie della Consolata in Guinea-Bissau

Ecco perché le missionarie della Consolata sono in Guinea dal 1992. La prima apertura è stata quindi la missione di Empada. È una presenza fra i Balanta (etnia predominante), Bijagos, Beafadas, Mandingas, Manjacos, Mancanhas, Pepeis e Nalus. Le quattro pioniere di questa missione sono state le sorelle Emma Piera Casali, Ana Paula Folletto, Hotência Nunes e Adriana Medina.

Nel 1994 è stata la volta di una nuova apertura presso il Centro Sos della capitale Bissau, che ospitava bambini abbandonati e orfani. Le sorelle della comunità erano tre: Margarita Benedetti, Alida Ronchi, incaricate della formazione e orientamento delle «mamme» e dei bambini, e Alicia Torres Rios incaricata di lavorare nella pastorale della parrocchia di Cristo Redentore. Abbiamo poi lasciato il Centro Sos nel 1998.

Arrivo sull’arcipelago

Nel 2000 le missionarie della Consolata sono arrivate a Bubaque, nell’arcipelago Bijagós, composto da più di 80 isole, di cui venti abitate. Luogo di prima evangelizzazione, dove i missionari del Pime (Pontificio istituto missioni estere) erano presenti dal 1954, con altre tre congregazioni femminili: le suore del Nome di Dio (1972-1975/6), le suore Figlie di Maria e le religiose delle Scuole Pie (1976-1998). Le missionarie della Consolata che hanno formato la prima comunità erano quattro: suor Maria Inocência Giacomozzi, suor Celia Regina Campaldi, suor Norma Valenzuela e, più tardi, suor Natalina Stringari.

A Bubaque, la maggioranza della popolazione pratica la religione tradizionale. Vi è un piccolo gruppo di musulmani e uno di cristiani. Quindi è ancora luogo di prima evangelizzazione, anche dopo 70 anni di presenza missionaria. Bubaque è considerata la terra di missione più difficile della Guinea-Bissau. Un luogo dove pochi o nessuno vuole andare, perché è veramente sfidante, a livello culturale, di trasporti, infrastrutture, ecc.

Nel 2006 è stata costituita la comunità di Bissau, la capitale, come sede della nostra delegazione. L’obiettivo di questa apertura era quello di essere punto di riferimento e accoglienza delle sorelle delle altre comunità e di fare il lavoro pastorale e sociale nella parrocchia di San Giuseppe nel villaggio di Bor (un sobborgo della capitale Bissau). A Bor l’etnia predominante è la Pepel, però ve ne sono altre presenti nel territorio. La comunità è stata costituta da suor Maria di Lourdes Pereira, suor Isabel Alves de Oliveira, suor Floralba Esteban Palencia e suor Alicia Torres Rios.

Revisione degli obiettivi

Oggi forse dobbiamo rivedere alcuni dei nostri obiettivi e lavori pastorali, consapevoli che non dobbiamo mai perdere di vista il nostro specifico ad gentes, ovvero essere presenti tra i non cristiani. Accompagnare quelli che hanno già ricevuto l’annuncio è un compito che spetta alla comunità locale, e non direttamente a noi sorelle, ma, comunque, lo facciamo con molto zelo. Così come conosciamo l’importanza di formare leader, e di lasciare che la chiesa locale sia protagonista.

Anélia Gomes de Paiva

Conoscenza, ascolto, dialogo

Le attività e l’approccio delle missionarie

Oltre all’annuncio, è fondamentale la formazione umana e sociale. Salute, educazione, promozione della donna, sono i campi nei quali si cimentano le missionarie.  Applicando sempre una «missione che passa attraverso le relazioni».

Nella nostra attività pastorale fra i diversi popoli a Empada, Bubaque e Bissau, consideriamo sempre come parte integrante dell’annuncio di Cristo, la formazione umana e sociale. Come voleva il nostro padre fondatore, il beato Giuseppe Allamano. Pertanto, oltre le attività pastorali, lavoriamo nel campo dell’educazione, della salute e della promozione della donna.

Essendo il nostro obiettivo principale la prima evangelizzazione, ossia andare tra i non cristiani, al nostro arrivo a Empada nel 1992, tra i Beafadas, Bijagós, Balantas, Mandingas, Mancanhas, Fulas, Pepeis e Nalus, tutto era nuovo, tutto era da cominciare.

Visitare le famiglie

La nostra prima domanda era dove e come iniziare ad annunciare la «Buona Novella». Abbiamo compreso presto che non si poteva annunciare Gesù senza conoscere il popolo che Dio ci aveva affidato. Quindi la prima attività è stata quella di visitare le famiglie, ascoltarle, dialogare con loro per poter conosce il terreno dove «gettare» la grande novità del Vangelo. È da sottolineare che la prima preoccupazione delle missionarie è sempre stata quella di conoscere la realtà del popolo. Perciò, «la visita alle famiglie», è stata per noi una priorità fondamentale nell’attività evangelizzatrice.

Dopo alcuni incontri con il capo villaggio e la popolazione, le missionarie hanno iniziato le visite e subito hanno cominciato a prendersi cura dei bambini gemelli, perché solitamente uno dei due finiva per morire a causa della loro particolare vulnerabilità. Nel 1993, con la collaborazione generosa dei dieci cristiani già presenti a Empada, le missionarie hanno dato inizio al cammino cristiano con 24 coppie e con i loro 96 figli. Dopo cinque anni, si sono raccolti i primi frutti: 17 battezzati e 10 matrimoni. Era il 5 aprile 1997.

Il 45% della popolazione di Empada è musulmano, e più del 50% pratica la religione tradizionale, ma tutti, di ogni fede, erano vicini a noi missionarie. Nello stesso anno si sono anche iniziate due scuole di alfabetizzazione per adulti. Le altre attività cominciate alcuni anni dopo sono state l’accompagnamento dei bambini denutriti (1998), la promozione della donna (1999), la scuola superiore (2002) e l’asilo (2008).

Vivere in modo nuovo

Le missionarie hanno proposto alla gente la possibilità di vivere in un modo nuovo.

Tutto ciò ci permette di dire che abbiamo iniziato le attività evangelizzatrici in modo consono alla nostra «metodologia consolatina», cioè, per mezzo della vicinanza, dell’ascolto, del dialogo, della conoscenza della cultura, della collaborazione vicendevole. Sottolineiamo il dialogo di vita, di relazioni con i fedeli dell’islam, con quelli della religione tradizionale e con i cristiani di altre confessioni. La celebrazione ecumenica e interreligiosa realizzata alla fine di ogni anno testimonia l’amicizia, la comunione, la collaborazione e la partecipazione.

Pertanto, il filo conduttore che ha guidato i nostri passi nelle attività pastorali è stato il seguente: osservare, ascoltare, non avere fretta, conoscere la realtà, programmare e valutare insieme. Questi sono metodi e criteri che anche oggi continuano a guidare lo stile di missione delle missionarie della Consolata in Guinea-Bissau, fra i diversi popoli.

Anche se non sempre siamo così attente. Per esempio, a volte abbiamo troppa fretta di ottenere dei risultati. Vogliamo avere tutto nelle nostre mani, come se la missione fosse opera nostra. Dimentichiamo invece che è opera di Dio, e noi siamo soltanto al suo servizio. È Lui che tocca i cuori al momento giusto. Questo costituisce un paradigma significativo: da una missione basata sul protagonismo personale ad una missione vissuta come opera di Dio.

Semplicità e rispetto

Il nostro stile di missione è sempre stato caratterizzato da molta semplicità. Abbiamo cercato di adattarci alla gente: sederci su una pietra con loro per bere la loro bevanda e mangiare il loro stesso cibo. Uno stile basato sul rispetto della tradizione del popolo, partecipando anche ad alcune dello loro principali cerimonie e privilegiando la cura delle relazioni: vicinanza, amicizia, dialogo, collaborazione. Questi gesti, oltre ad aiutare noi a conoscere la tradizione culturale delle persone, hanno creato amicizia e apertura da parte loro. Partecipare alla loro vita ci ha portato ad essere «accolte come parte di loro».

Dopo 27 anni svolgiamo praticamente le stesse attività pastorali e sociali. Per realizzale oggi però abbiamo altri mezzi e strumenti che arricchiscono la nostra metodologia, e una maggiore consapevolezza riguardo la missione.

Come pensavano i primi missionari, oggi tanti nella Chiesa della Guinea-Bissau pensano che per essere cristiani si debba lasciare completamente la propria tradizione, e questo è inaccettabile per i seguaci della tradizione, soprattutto per gli anziani. Noi crediamo che la via di uscita per tale problematica sia l’inculturazione.

Per questo motivo durante l’assemblea del 2012 della nostra delegazione, abbiamo preso in considerazione, in modo particolare, questo aspetto. Consapevoli che attraverso l’inculturazione la Chiesa avrà cristiani con solida identità e preparati per portare avanti la missione evangelizzatrice. Nelle tre zone di missione in cui lavoriamo, ogni anno vengono amministrati circa 180 battesimi di giovani e adulti. Ma qual è la qualità di questi battesimi, se i candidati hanno ricevuto una formazione catechistica che non ha tenuto conto la loro identità culturale?

Salute e promozione della donna

Nel campo della salute è da rilevare che l’accompagnamento quotidiano dei bambini denutriti e delle mamme, aiuta a salvare tante vite. Attualmente nei due centri di nutrizione che abbiamo, ci prendiamo cura di circa 30-40 bambini al giorno. L’assistenza sanitaria è data a tutti, senza alcuna distinzione religiosa. I nostri centri fanno anche un lavoro significativo di accompagnamento alle mamme e bambini con il virus Hiv. Anche in questo campo la testimonianza e la carità cristiana fanno parte dell’annuncio, o meglio, sono annuncio.

La comune metodologia è uscire per incontrare le famiglie (visitare i bambini, conoscere la loro realtà), dialogare con i genitori, provvedere all’accompagnamento dei bambini e delle mamme.

Nel campo della promozione della donna, operiamo nei due centri di formazione con varie attività: alfabetizzazione, taglio e cucito, ricamo, cucina, tintura di stoffa, trasformazione della frutta, e altro.

Fra i Bijagós, nell’isola di Bubaque, sin dall’inizio una grande sfida per il lavoro missionario è stato  ed è la formazione delle giovani circa il valore della vita, la dignità della donna, le conseguenze drammatiche dell’aborto, e la contaminazione da virus Hiv. Il lavoro di promozione femminile è rivolto a tutte le donne, indipendentemente dalla loro religione.

L’obiettivo è sempre quello di risvegliare una maggiore consapevolezza del valore della vita e della dignità della donna, del suo ruolo nella famiglia e nella società. Questo è annuncio della Buona Notizia, perché è opera di costruzione del regno di Dio.

Nel campo dell’educazione, la formazione pedagogica dei professori è stata sin dall’inizio una nostra priorità. Oggi nelle due scuole superiori che seguiamo, ci sono circa 1.650 studenti, e un centinaio di bambini in una scuola materna. Queste scuole sono rivolte a tutta la popolazione, ossia, cristiani e non cristiani. È importante sottolineare che un professore musulmano del nostro liceo, ha scelto di diventare cristiano. Il motivo è stato la testimonianza dei suoi colleghi insegnanti. Qui vogliamo sempre offrire una formazione integrale ai giovani, favorire coloro che vivono lontano dalla città e che non hanno altre possibilità di andare a scuola.

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Essere presenti nel quotidiano

In sintesi, possiamo dire che noi, missionarie della Consolata in Guinea-Bissau, sin dall’inizio abbiamo scelto il dialogo come metodo per vivere la missione attraverso la vicinanza, l’amicizia, la testimonianza, la presenza. Io ho imparato che uno dei modi migliori per conoscere la cultura, gli usi e costumi delle persone è essere presente nella vita del popolo: gradualmente smetti di essere uno straniero e sei accolto come amico.

La missione come presenza rispetta tutte le tradizioni religiose e le culture. In questo senso, vogliamo sottolineare che la religione tradizionale, come qualsiasi altra religione, ha diritto al dialogo e ad essere rispettata. A questo riguardo abbiamo ancora tanto da imparare, perché solitamente guardiamo i seguaci della religione tradizionale come coloro che, quasi obbligatoriamente, devono convertirsi al cristianesimo per essere salvati.

La metodologia che abbiamo usato all’inizio per raggiungere i nostri obiettivi è ancora valida, perché abbiamo cercato di percorrere la strada offerta dal Concilio Vaticano II. Considerando, però, che la società cambia rapidamente, dobbiamo pensare a nuovi metodi e a nuove strategie. Ad esempio: come deve essere fatto l’annuncio ai non cristiani? Come considerare le altre tradizioni religiose? Come rendere l’annuncio attraente per chi lo ascolta in un mondo così complesso? Pertanto, il nostro modo di «fare» la missione deve adattarsi ai tempi, soprattutto il nostro modo di vivere e relazionarci con la gente deve suscitare dei perché, e suscitare inquietudini. Come diceva san Giovanni Paolo II, «Prima dell’azione, la missione è testimonianza e irradiazione».

L’incontro con i popoli

In alcune zone, i primi contatti con il popolo ci hanno fatte sentire animate e incoraggiate per l’accoglienza calorosa, l’entusiasmo, il rispetto e l’aiuto ricevuto, e anche per l’apertura e la semplicità, l’amore e la serietà con le quali le persone hanno accolto il Vangelo. In altre zone, invece, anche se l’accoglienza non ci è mancata, la preoccupazione della gente, l’interesse era soprattutto per il sociale, anche se poi hanno chiesto la catechesi. Spesso questo capita anche oggi, e in forma abbastanza accentuata fra il popolo Bijagós, che si presenta molto bisognoso (educazione, salute e altri progetti). Forse perché è un popolo isolato, e in certo senso dimenticato dallo stato.

Risultati incoraggianti

Abbiamo tuttavia notato cambiamenti significativi. Nel campo pastorale la formazione cristiana ha prodotto nelle persone un cambio di mentalità. Per esempio, le famiglie cristiane hanno un modo diverso di educare i figli, di organizzarsi come famiglia, di pensare la vita. Alcuni hanno anche un modo diverso, cioè più saggio ed equilibrato di vedere la loro tradizione. Essi sono sicuramente più integrati con la loro cultura. Ma non è così per la maggioranza dei cristiani.

Oggi le mamme hanno un modo diverso di prendersi cura dei figli e dell’ambiente. Oggi portano con più libertà i loro figli al Centro di salute o all’ospedale per farli curare. Prima era difficile convincerle. Lo stesso con le donne incinte: facevano resistenza per andare all’ospedale, e a volta il bambino moriva durante il parto. Oggi non vogliono più mettere a rischio la loro vita e la vita dei loro figli.

La maggior parte delle donne che si sono formate nei nostri centri erano analfabete. La formazione ha suscitato in loro il desiderio di sapere di più: studiare per essere più consapevoli del loro ruolo, del loro valore come donne al servizio della famiglia, della società e della chiesa. La maggior parte delle donne più giovani ora studiano di sera e frequentano l’università. Molte di loro con la formazione ricevuta, aiutano a portare avanti la famiglia.

Nel campo educativo abbiamo osservato che il cambio di mentalità degli studenti circa il loro futuro è significativo: la maggior parte di essi pensa di continuare gli studi dopo il liceo, sognano una vita più dignitosa, un paese più stabile politicamente e economicamente, più giustizia sociale. Sogni che se fatti tutti insieme, possono domani diventare realtà.

Anélia Gomes de Paiva

Un popolo «visitato» da Dio

Evangelizzazione e inculturazione

Il popolo guineano è variegato, ma ha come principio la vita comunitaria. I giovani sono affascinati dalla globalizzazione che apre loro nuove possibilità, ma li allontana dalle tradizioni. Le missionarie sono molto attive nel dialogo interreligioso e credono che il cristiano debba essere integrato nella propria cultura.

I guineani hanno come principio di base la vita comunitaria, ossia la crescita non individuale ma della comunità. Sono un popolo con un’identità etnica e tradizionale ben definita, con una forte spiritualità religiosa, che li porta a praticare intensamente le credenze della tradizione. Sono persone allegre e festose, ospitali, e con grande capacità di accettare le difficoltà e le sofferenze quotidiane. La maggior parte della popolazione vive con meno di un euro al giorno, e consuma un solo pasto quotidiano, mentre altri non possono nemmeno farlo. Nonostante le difficoltà, sono splendenti di gioia e fiduciosi nel Dio della vita. Sono un popolo che vive del miracolo dell’amore di Dio.

I guineani e la globalizzazione

suor Anélia Gomes de Paiva

In Guinea-Bissau sono circa 30 gruppi etnici, la lingua ufficiale è il portoghese, però la lingua più diffusa, parlata dal 44% degli abitanti, è il creolo (a base portoghese). Il 45% della popolazione segue la religione tradizionale, mentre i musulmani sono circa il 40%. Vi è poi una discreta minoranza cristiana (15%).

A proposito della globalizzazione, da una parte possiamo dire che essa ha prodotto dei cambiamenti di mentalità, e in un primo momento possiamo pensare che questo sia positivo. Ad esempio: i guineani oggi guardano il mondo in forma più ampia, vedono più lontano, hanno più ambizioni per migliorare la vita. I giovani si affrettano a studiare e a esercitare una professione. Vi è più accesso ai mezzi di comunicazione, più possibilità nell’ambito della salute e dell’educazione.

Dall’altra parte vi sono delle conseguenze negative nell’ambito dei valori personali, famigliari e sociali. Ad esempio: la mancanza di rispetto per la vita, l’individualismo, la violenza nelle famiglie e nella società. Tanti giovani si allontanano dalla loro tradizione perché vogliono essere «liberi» e avere una vita più moderna. La disuguaglianza sociale sta diventando sempre più evidente. Gli anziani si sentono più esclusi, soffrono di abbandono, indifferenza e solitudine. In questo senso è un sistema che sembra non aiutare a riflettere sul vero senso della vita. Aumenta la conoscenza nozionistica ma non di pari passo una adeguata formazione delle coscienze.

L’esperienza dell’invisibile

In Guinea-Bissau siamo sempre andate dove ci hanno chiamate. Con ogni popolo e etnia abbiamo iniziato l’annuncio in modo differente, conforme alle esigenze di ciascuno. Da coloro che hanno come valore la vita di gruppo, ci è stato chiesto un aiuto per vivere in modo nuovo la vita di gruppo. Altri ci hanno chiesto di parlare di Dio, ma anche la scuola per i loro bambini, ecc. È stato interessante scoprire che Dio li aveva «visitati» prima di noi, perché la missione è opera sua. Prima del nostro arrivo, Dio stava già lavorando con il suo popolo. Aveva già fatto storia con loro. Era poi giunto il momento di scoprire il seme che Dio aveva seminato per aiutarli a farlo crescere, ma anche i frutti maturi da cogliere, appunto, dalla loro esperienza dell’invisibile (Dio) secondo la loro spiritualità tradizionale.

Oggi siamo sempre più consapevoli di questa verità: il primo compito della missionaria è riconoscere il cammino che Dio ha fatto con il suo popolo e la sua presenza attuale. Vale la pena sottolineare che nei villaggi in cui siamo andate senza essere state chiamate, le attività di evangelizzazione non sono continuate, per mancanza di interesse da parte della popolazione.

L’evangelizzazione è accompagnata dalla promozione di tutta la persona, quindi la promozione umana è una dimensione importante della nostra pastorale. Perché il «centro» della missione sono l’uomo e la donna che vivono un momento decisivo nel loro processo storico. E il Cristo che proclamiamo vive già in mezzo al suo popolo, per condurlo alla piena liberazione.

Personalmente, posso dire che sono stata evangelizzata da loro, perché oggi, dopo dodici anni di missione con loro e in mezzo a loro, mi sento più cristiana, più missionaria.

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L’inculturazione

A partire dalla creazione della diocesi di Bissau (1977), la Chiesa in Guinea-Bissau ha preso coscienza della necessità dell’incontro del Vangelo con le culture, cioè dell’inculturazione della fede. L’inculturazione, il dialogo interreligioso e interetnico sono tra gli obiettivi principali della Chiesa locale. La Chiesa, ogni giorno, sta diventando consapevole che se non si incarna nella cultura del suo popolo, l’evangelizzazione continuerà ad essere superficiale e la Chiesa avrà dei cristiani senza un’identità propria, cristiani mancanti di una integrazione con la propria tradizione.

Come dice Paulo Suess, «la meta dell’inculturazione è la liberazione, e il cammino della liberazione è l’inculturazione» (cfr. P. Suess, Caminhar descalço sobre pedras: uma releitura da Conferencia de Santo Domingos, in Instituto Humanitas, Cadernos de Teologia Publicas, 19-20). E «solo con il messaggio rivelato dal di dentro, ogni popolo nella rispettiva cultura può veramente lodare il Signore nella propria lingua e con i propri termini», come dice Appiah-Kubi (cfr. F. A. Oborji, La teologia africana e l’evangelizzazione, Press, Roma 2016, 69-70). Perciò per una Chiesa dal volto guineano, ci vuole una evangelizzazione puntata sul dialogo con le culture e con la religione tradizionale.

Cura del Creato

Riguardo al creato, i guineani, in generale nella loro tradizione hanno profonda venerazione per la natura. Dalla natura prendono le erbe per le medicine; attribuiscono una particolare sacralità ad alcuni alberi; non sfruttano la natura per fine personale o abusivo, ma soltanto per la loro sopravvivenza. Quando hanno bisogno di tagliare un albero, ad esempio, per fare una canoa, fanno delle cerimonie per chiedere il permesso agli spiriti. Riconoscono che tutto è stato creato da Dio e appartiene a Dio. Quindi l’essere umano non ha il diritto di danneggiarlo.

A livello statale e governativo praticamente nulla viene fatto in questo ambito. Una città come Bissau non ha nemmeno i servizi igienici di base e molta spazzatura finisce per essere gettata in mare. Ci sono le Ong che intervengono nei settori di conservazione della biodiversità agricola, nella gestione delle risorse naturali e nella valorizzazione dei prodotti e della conoscenza della biodiversità. Esse informano e sensibilizzano la cittadinanza.

Il nostro carisma

A proposito del nostro carisma, possiamo dire di aver incontrato un popolo di «prima evangelizzazione», dunque questo è il nostro posto.

Pertanto, in Guinea-Bissau il nostro carisma diventa sempre più vitale, perché è alimentato da una realtà veramente ad gentes e da un ambiente con una piccola percentuale di cristiani. «Noi siamo per i non cristiani» e il contatto coi non cristiani ci rivela a noi stesse e sprigiona in noi il fuoco del carisma. Proprio per questo, la nostra identità carismatica è rafforzata.

Inoltre, l’esperienza con questo popolo arricchisce il nostro istituto e la Chiesa: ho scoperto nel popolo della Guinea-Bissau, con principi tradizionali ben radicati, una profonda spiritualità, non un senso generale dell’invisibile, ma un’esperienza concreta della presenza e dell’azione di Dio. I guineani sanno e credono che esiste un Dio sovrano e assolutamente potente, signore del cielo e della terra; confidano e sperano in lui. È il grande vivente che agisce nel mondo. Come non trarre vantaggio da questi solidi principi per l’evangelizzazione inculturata? I valori umani e spirituali del popolo guineano sono grandi, e il nostro istituto e la Chiesa devono saperli leggere tutti. Il rispetto e la conoscenza della cultura, nell’azione evangelizzatrice è stata considerata dal nostro fondatore, Giuseppe Allamano, quindi deve essere anche per noi. Questo ci porta a vivere il nostro carisma con apertura a tutte le culture e con atteggiamento dialogico. Siamo pertanto, invitate a ritornare a ciò che è stato tralasciato, trascurato, non valorizzato, ossia la ricchezza culturale e religiosa di ogni popolo. Oggi capiamo meglio che l’evangelizzazione deve guardare la persona in tutti i suoi aspetti, e deve essere fatta dal di dentro di ogni cultura.

Anélia Gomes de Paiva

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Democrazia?  «Siamo in Africa!»

Le intricate vicende politiche di un piccolo narco stato

La Guinea-Bissau è stata per anni il punto di passaggio del traffico di cocaina dal Sudamerica all’Europa. Nel 2014 sembrava esserci stato un cambiamento nella dirigenza del paese. Ma l’elezione, contestata, del nuovo presidente, pare riportare alla ribalta la classe dei militari-narcos.

L’ex generale, ed ex primo ministro, Umaro Sissoco Embaló è il nuovo presidente della Guinea-Bissau. La sua investitura, il 27 febbraio scorso in un hotel di Bissau, sebbene sia avvenuta con l’avallo del presidente uscente José Mario Vaz, è stata indubbiamente un atto di forza. Giunge a chiusura della crisi elettorale iniziata con le presidenziali di dicembre o, più probabilmente, con le legislative di marzo 2019. L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha avuto l’effetto di far passare le vicende bissau-guineane in secondo piano ed è tornata utile al nuovo uomo forte per «coprire» i suoi giochi interni.

Umaro Sissoco Embalo, nuovo presidente della Guinea-Bissau / Photo by SEYLLOU / AFP

Una speranza delusa

Ma veniamo ai fatti. L’ultimo anno è solo l’ultimo atto di una crisi politico istituzionale che il piccolo paese dell’Africa dell’Ovest vive dal 2015.

Nel 2014 l’elezione del presidente José Mario Vaz aveva lasciato sperare che la Guinea-Bissau voltasse pagina con le dittature e i colpi di stato che hanno contraddistinto la sua storia. Ma così non è stato.

Dopo aver nominato, nel luglio dello stesso anno, come primo ministro, il progressista Domingos Simões Pereira, i due sono entrati in contrasto. Entrambi Vaz e Pereira sono del Paigc (Partito africano per l’indipendenza della Guinea e di Capo Verde), il partito storico dell’indipendenza dal Portogallo nel 1974. Appena un anno dopo Pereira viene mandato via e inizia la crisi istituzionale. Diversi sono i politici che si susseguono sulla poltrona da premier.

Una novità delle legislative di marzo 2019 è stato il Madem-G15, un nuovo partito creato per l’occasione e ben finanziato, che è riuscito ad arrivare al secondo posto, dopo il Paigc che ancora prevale nell’Assemblea nazionale con 52 deputati su 102.

Braccio di ferro istituzionale

A dicembre 2019, i due sfidanti alla presidenza sono proprio Embaló, ex quadro del Paigc e ora candidato del Madem-G15, e Pereira per il Paigc, di cui è presidente. Dopo il ballottaggio del 29 dicembre, la Commissione nazionale elettorale (Cne) aggiudica il 53,55% dei voti al primo e 46.45% al secondo (i risultati definitivi sono resi noti il 17 gennaio). Pereira però contesta il risultato, denunciando brogli elettorali. In particolare segnala irregolarità nei verbali di almeno la metà delle circoscrizioni, e chiede il riconteggio dei voti. La Corte suprema dunque non può che prenderne atto è dispone che venga fatta la verifica. Fin qui nulla di strano a queste latitudini.

Quello che succede dopo è un braccio di ferro tra la Cne e la Corte suprema, perché la prima, l’organo preposto all’organizzazione delle elezioni, rifiuta il conteggio. Negli stessi giorni, soldati vengono dispiegati in tutti i posti chiave delle istituzioni, dall’ufficio del primo ministro ai ministeri, fino a presidiare lo stesso palazzo della Corte suprema. Il fatto strano è che nessuno li ha chiamati e non si capisce da che parte stiano.

Si scoprirà con chi stanno i militari, quando, il giorno dopo la sua investitura, il 28 febbraio Embaló nomina primo ministro Nuno Gomes Nabiam, suo uomo di fiducia, mandando a casa il premier Aristides Gomes. Quest’ultimo è riconosciuto dalla comunità internazionale, e denuncia la sua deposizione come colpo di stato. Quel giorno a fianco di Embaló e del nuovo premier, si trovano il capo di stato maggiore, il suo vice e il comandante dell’aviazione. C’è anche una vecchia conoscenza, l’ex capo di stato maggiore, ex generale Antonio Indjai.

Indjai era stato dietro al famoso «colpo di stato della cocaina» dell’aprile 2012, quando fu rovesciato il presidente ad interim Raimundo Pereira.

Indjai, inoltre, è stato obiettivo principale della Dea (agenzia antidroga Usa) durante una caccia all’uomo del 2013, ed è ricercato negli Stati Uniti per aver venduto armi alle Farc colombiane in cambio di partite di cocaina. Si tratta dunque di uno dei massimi esponenti del gruppo narco militare che ha gestito il paese per anni e che ora sembrerebbe essere tornato all’ombra del potere.

Domingos Simoes Pereira, lo sfidante di Umaro Sissoco Embalo nelle ultime elezioni. / Photo by SEYLLOU / AFP

Due presidenti per 48 ore

Sempre il 28 febbraio, 54 deputati del Paigc e alleati, designano il presidente dell’Assemblea nazionale (che conta 102 deputati), Cipriano Cassama, come «presidente a interim», in risposta all’investitura «di forza», senza aspettare l’ok della Corte suprema, di Embaló. Ma Cassama, meno di 48 ore dopo la designazione, rinuncia a causa, dice, delle molteplici «minacce di morte» ricevute.

Embaló resta dunque l’«unico» presidente, anche se il contenzioso elettorale è ancora aperto.

In risposta a diversi deputati del Parlamento europeo che denunciano quanto sta avvenendo nel paese africano come «un pericolo per la democrazia», Embaló risponde: «Non facciamo parte dell’Unione europea. Noi siamo in Africa!»1.

A livello internazionale la Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale), che ha guidato la mediazione per risolvere la crisi dal 2016, è inizialmente divisa sul da farsi.

Ma Embaló ha molti amici tra i capi di stato, così Senegal, Nigeria e Niger si affrettano a riconoscere il nuovo presidente, mentre altri restano indecisi. Embaló conta tra i suoi alleati più illustri i presidenti di Senegal, Macky Sall (presidente di turno della Cedeao), e Nigeria, Muhammadou Buhari, oltre che numerosi altri presidenti sul continente.

La svolta si ha il 23 marzo, quando la Cedeao stessa riconosce legittimo Embaló, nonostante i militari stiano ancora presidiando i posti chiave delle istituzioni, e ci sia quindi una «mano militare» che veglia sulla stabilità. Unione europea e Nazioni Unite ne seguono l’esempio. Nonostante la Corte suprema della Guinea-Bissau non abbia mai validato le elezioni. Il gioco di Embalò, e di chi lo ha voluto al potere, è dunque fatto.

Riforma costituzionale

La condizione che pone la Cedeao, è la realizzazione di una riforma costituzionale. La Costituzione del 1984, infatti, definisce un sistema semi presidenziale «ibrido», lasciando una certa ambiguità nella gestione del potere esecutivo tra presidente della repubblica e primo ministro. Ambiguità che ha causato molti ingorghi istituzionali e colpi di stato o tentativi di golpe.

Embaló si affretta a creare una Commissione di revisione costituzionale, il 12 maggio, composta da cinque membri, tutti nominati da lui stesso.

Secondo gli analisti della «Global initiative, against transnational organized crime»2, in Guinea-Bissau si assiste a un ritorno in attività della casta narco militare che negli anni 2005-2014 trasformarono il paese in un punto nevralgico per il passaggio della cocaina dal Sud America all’Europa, valendogli la definizione di «narco stato». Gli analisti mettono in relazione il «colpo di forza» attuato da Embaló nei primi mesi di quest’anno, con il colpo di stato della cocaina del 2012. Dietro al Madem-G15 ci sarebbero infatti i finanziamenti della rete militare-criminale mai smantellata, e ora tornata in auge.

Marco Bello

Note

(1) Guinée-Bissau, l’imbroglio continue à la tête du pays. Radio France international, 5 marzo 2020.

(2) Breaking the vicious cycle. Cocaine politics in Global Initiative, against transnational organized crime. Maggio 2020, disponibile online.

© Matteo Ghiglione

Cronologia essenziale

La Guinea-Bissau in date

  • 1973, 24 settembre – Il Partito africano per l’indipendenza della Guinea-Bissau e di Capo Verde (Paigc) proclama l’indipendenza.
  • 1974, 10 settembre – Il Portogallo riconosce l’indipendenza e Luis Cabral è il primo presidente.
  • 1980, 14 novembre – Colpo di stato militare di João Bernardo Vieira. Disciolta l’unione con Capo Verde.
  • 1984, 16 maggio – Nuova Costituzione, sistema del partito unico. Vieira vince le elezioni presidenziali.
  • 1989, 19 giugno – Vieira rieletto presidente.
  • 1991, 8 maggio – Adozione del multipartitismo.
  • 1993, 17 marzo – Tentativo di colpo di stato di João da Costa.
  • 1994, 7 agosto – Vieira vince per la terza volta le elezioni.
  • 1997, 2 maggio – Adozione del «franco cfa» come moneta e adesione all’Uemoa (Unione monetaria dell’Africa dell’Ovest).
  • 1998, 7 giugno – Scoppia un ammutinamento dopo la destituzione del generale Ansume Mané, capo di stato maggiore. Intervengono Senegal e Guinea. Inizia la guerra civile.
  • 1998, 1° novembre – Firma di un accordo di pace ad Abuja (Nigeria) tra il governo e la giunta guidata da Ansumane Mané.
  • 1999, 7 luglio – Mané rovescia il presidente Vieira. Malam Bacai Sanha, presidente dell’Assemblea nazionale, è nominato presidente della Repubblica.
  • 2000, 16 gennaio – Kumba Yala vince le elezioni presidenziali.
  • 2003, 14 settembre – Colpo di stato del generale Verissimo Correia Seabra, che viene assassinato un anno dopo da un gruppo di militari.
  • 2005, 24 luglio – Elezioni presidenziali: vince João Bernardo Vieira.
  • 2007, dicembre – Adozione da parte del parlamento di una legge di amnistia, per le violenze commesse negli anni 1980-2004.
  • 2008, 26 luglio – Il Paigc esce dalla coalizione di governo, dieci giorni dopo è sciolta l’Assemblea nazionale.
  • 2008, 23 novembre – Tentativo di colpo di stato contro Vieira.
  • 2009, 2 marzo – Doppio assassinio di Vieira e del capo di stato maggiore Tagmé Na Waié.
  • 2009, 5 giugno – Assassinio di tre uomini politici, tra i quali il candidato alla presidenza Baciro Dabo.
  • 2009, 26 luglio – Vittoria di Malam Bacai Sanha alle elezioni presidenziali.
  • 2010, 1 aprile – Rivolta dell’esercito organizzata dal generale Antonio Indjai contro il primo ministro, Carlos Gomez Junior e il capo di stato maggiore José Zamora Induta. A giugno Indjai diventa capo dell’esercito.
  • 2012, 9 gennaio – Muore il presidente Malam Bacai Sanha a Parigi. Raimundo Pereira diventa presidente ad interim.
  • 2012, 12 aprile – Colpo di stato del generale Mamadu Turé Kuruma, detto «golpe della cocaina». Arrestati presidente e primo ministro. Attivo il generale Indjai. L’Unione africana sospende la Guinea-Bissau. Accordo di transizione tra la giunta e i partiti politici che prevede elezioni entro due anni. Manuel Serifo Nhamadjo nominato presidente di transizione.
  • 2012, 21 ottobre – Tentativo di colpo di stato del capitano Pansau N’Tchama.
  • 2013, 2 aprile – La Dea (agenzia antidroga Usa) conduce un’operazione e arresta l’ammiraglio José Américo Bubo Na Tchuto, coinvolto in una rete di traffico internazionale. Il vero obiettivo sarebbe stato Antonio Indjao.
  • 2013, 18 aprile – Antonio Indjao, capo di stato maggiore, giudicato colpevole dalla giustizia Usa per narcoterrorismo: ha fornito armi alle Farc colombiane in cambio di cocaina.
  • 2014, 20 maggio – José Mario Vaz vince le elezioni presidenziali. A settembre Injano è cacciato dal suo posto di capo dell’esercito.
  • 2015, 12 agosto – Inizia la crisi politica in seguito al licenziamento del primo ministro Domingo
    Simões Pereira. La Cedeao condurrà la mediazione della crisi.
  • 2019, 10 marzo – Il Paigc, di cui Pereira è presidente, vince le elezioni legislative.
  • 2019, 2 aprile – Elezioni presidenziali. La Commissione nazionale elettorale dà la vittoria a Umaro Sissoco Embaló, ma il rivale, Pereira, contesta e accusa di brogli.
  • 2020, 27 febbraio – Nonostante il contenzioso elettorale e il blocco della Corte Suprema, Embaló forza e si autoinveste. Metà del parlamento nomina un presidente a interim, Cipriano Cassama, presidente dell’Assemblea nazionale, che subito si dimette a causa di minacce di morte.
  • 2020, 22 marzo – La Cedeao è divisa sul da farsi, ma finalmente prevalgono i paesi «amici» di Embaló che lo riconoscono presidente della Repubblica.

Ma.Bel.


Hanno firmato questo dossier

Anélia Gomes de Paiva

Nata a Riacho da Cruz (RN, Brasile), a 18 anni è andata a vivere a São Paulo, dove ha studiato, lavorato e fatto pastorale nella favela di Jandira. Qui ha scoperto la sua vocazione. Entrata nelle missionarie della Consolata nel 1999, dopo il noviziato in Colombia e la professione religiosa ha lavorato in Brasile dal 2003 al 2006. Dal 2007 è missionaria in Guinea-Bissau. «Posso dire che il periodo più bello della mia vita sono gli anni di missione vissuti tra le popolazioni della Guinea-Bissau e quelli della mia adolescenza che ho trascorso a pescare, a diretto contatto con la natura».

Marco Bello

giornalista redazione MC.

Foto:

Le foto di questo dossier – eccetto dove indicato differentemente – sono cortesia di suor Anélia e delle sue consorelle.

Le missionarie in Guinea-Bissau:

  • Comunità di Empada: Noeli Domingos Bueno, Maria Inocencia Giacomozzi, Rita Nombora.
  • Comunità di Bubaque: Ana Paula Foletto, Maria de Lourdes Pereira, Teresinha Victor, Anélia Gomes de Paiva.
  • Comunità di Bissau: Giovanna Panier Bagat, Emma Piera Casali, Maria Cecilia da Silva, Isabel Alves de Oliveira.

Archivio mc :

Il «paradiso» dimenticato, Matteo Ghiglione, agosto-settembre 2011.

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