testo di Marco Bello | foto Archivio fotografico MC |
Da circa un anno un gruppo di giovani missionari della Consolata è presente in Madagascar. Le sfide non mancano ma l’entusiasmo è alle stelle. E mentre i «nostri» stanno studiando la lingua e il contesto, arriva il coronavirus. Ma le autorità sembra riescano a circoscriverlo.
È il 29 gennaio 2019. padre Godfrey Msumange, detto Baba Godfrey, sbarca all’aeroporto di Nosy Be, Madagascar. È l’anniversario della fondazione dell’Istituto Missioni Consolata di cui Baba Godfrey è consigliere generale per l’Africa. Oggi non è un giorno come un altro, l’arrivo del sacerdote tanzaniano sancisce l’apertura di una nuova presenza per l’Istituto di Torino fondato dal beato Giuseppe Allamano nel 1901. Si tratta del decimo paese sul continente africano. Padre Godfrey è accolto dal vescovo di Ambanja (si legge Ambanza), monsignor
Rosario Vella, salesiano (oggi trasferito alla diocesi di Moramanga), e da una folta rappresentanza della diocesi.
Siamo sull’isola di Nosy Be, costa Nordorientale del paese. Il tempo è stupendo, il mare bellissimo. Ma le sfide che aspettano i missionari sono enormi. Il gruppo raggiungerà Ambanja al di là dello stretto, con un motoscafo da Hell-Ville (Andoany), capoluogo del distretto di Nosy Be. Qui c’è la sede della vasta diocesi.
Il viaggio di padre Godfrey rappresenta l’apertura ufficiale della missione, ma i missionari che vi lavoreranno devono ancora arrivare, problemi burocratici di permessi e visti li hanno trattenuti a Nairobi (Kenya). Sono i padri Jean Tuluba (Rd Congo), Kizito Mukalazi (Uganda) e Jared Makori (Kenya). Loro sbarcheranno sull’«Isola rossa» il 13 marzo, iniziando, di fatto, la nuova avventura.
Ma come si è arrivati a questo giorno? Facciamo un passo indietro.
Il precursore
Fin dal 1999, padre Noè Cereda, missionario della Consolata innamorato dell’isola, aveva ottenuto dai suoi superiori un permesso speciale, ad personam, per poter lavorare nel paese, pur non essendoci missioni dell’Istituto. Passò alcuni anni proprio a Hell-Ville, poi, dal 2005, si trasferì in capitale, Antananarivo. Padre Cereda ha lavorato con le suore Ancelle (o discepole) del Sacro Cuore, fondate a Lecce e arrivate sull’isola nel 1988. Nel settembre del 2010, padre Stefano Camerlengo, attuale superiore generale e all’epoca vice superiore, fece una visita a padre Noè. Restò molto colpito dalla bellezza dell’isola, ma anche dalle difficili condizioni di vita.
Due anni più tardi, il vescovo italiano di Ambanja, monsignor Vella, scrisse una lettera ufficiale chiedendo ai missionari della Consolata di aprire una missione nella sua diocesi. La risposta tardò, ma la riflessione fu portata avanti. Nel giugno 2016 una nuova visita del consiglio generale, composta dai padri Dietrich Pendawazima, Hieronimus Joya e Marco Marini, accompagnati proprio da padre Noè, sancì infine la decisione. Il vescovo propose tre possibili missioni: Ankaramibe, sulla direttrice stradale verso Sud tra Ambanja e Antsohihy; la seconda nei pressi della stessa città di Antsohihy; la terza più all’interno, a 15 km da Bealanana, una località chiamata Beandrarezona. La decisione cadde proprio su quest’ultima.
La scelta
«Questa scelta, seppure la più complessa, è sicuramente quella più ad gentes rispetto alle altre – ci spiega Baba Godfrey -. Nelle altre due località c’era già la presenza di sacerdoti, mentre a Beandrarezona ci andavano una volta ogni due anni. Inoltre la zona è di difficile accesso, durante la stagione delle piogge la strada diventa un letto di fango. Anche sul versante della promozione umana le esigenze sono moltissime. Dal punto di vista missionario, in questa zona solo tre persone ogni cento sono cristiane».
In Madagascar, a livello nazionale, i cristiani sono circa il 45%, e metà di questi sono cattolici. I restanti praticano religioni tradizionali, che sono molto importanti sull’isola. I musulmani sono invece una minoranza. La popolazione è di circa 24,2 milioni di abitanti su una superficie di 587.041 km2, poco meno del doppio dell’Italia. Nel paese le infrastrutture stradali sono basiche e restano enormi le difficoltà per collegare le diverse regioni.
La popolazione è composta da diciotto etnie, ma la cosa più interessante è la compresenza di gruppi di origine africana (bantu) e di altri di origine asiatica. I primi sono legati ai popoli delle coste del Mozambico e della Tanzania. I secondi, hanno tratti indonesiani e malesi, in particolare la lingua malgascia è simile a quella parlata nel bacino del fiume Barito, nel Kalimantan, il Borneo indonesiano. Vi sono poi influenze arabe, indiane ed europee. Nella diocesi di Ambanja la popolazione maggioritaria è di etnia Sakalava, di origini tipicamente bantu.
Il paese ha indici di sviluppo molto bassi, e permane intorno al 160 su 189 paesi della classifica delle Nazioni Unite sull’indice di sviluppo umano.
Continua Baba Godfrey: «Una delle cose che noti nell’area di Beandrarezona sono i coltivatori di riso. Si è in mezzo alle colline e alle risaie: c’è una grande riserva di acqua in questa zona. Ho visto una natura rigogliosa, cascate, fiumi, tante potenzialità. Pare una terra ancora vergine, soprattutto in queste zone remote. La gente è molto semplice. Sembra di essere nell’Ottocento. Collaborando con le autorità locali potremmo fare grandi cose per questa gente».
Inoltre, una comunità di suore francescane malgasce si è da poco installata a Beandrarezona. «Sono molto contento di questo. Noi uomini andiamo fino a un certo punto, ci vuole sempre la donna».
I primi tre
Padre Jean Tuluba è di Wamba (Rdc), è un giovane missionario che ha già lavorato cinque anni a Roraima, nel Nord del Brasile, tra i popoli indigeni di quella regione. Lo raggiungiamo per telefono, nonostante le difficoltà. È pieno di entusiasmo per questa nuova missione. «Siamo a 1.000 km dalla capitale, a 300 da Ambanja, sede della diocesi, e a 15 km, di strada terribile, da Bealanana, la città più vicina. Abbiamo fondato una nuova parrocchia perché prima il territorio era vastissimo». E l’estensione della parrocchia continua a essere molto grande, anche a causa delle strade, poche e in pessime condizioni. Padre Jean continua: «Le sfide sono tante, e sono simili per tutta la chiesa del Madagascar. Prima di tutto la povertà. Il paese non è povero, ha molte risorse, ma a causa della geopolitica il popolo viene impoverito ogni giorno. Abbiamo constatato, dopo un anno di studio e comprensione della realtà, che la povertà è quasi ovunque. L’attività principale è l’agricoltura e la produzione di riso in particolare. A livello politico la storia del Madagascar è fatta di colpi di stato e sconvolgimenti, ma adesso con il nuovo presidente Andry Rajoelina, che è giovane e capace la situazione sembra stabilizzarsi».
Padre Jean ci racconta come sia difficile lavorare con la gente, molto occupata nei campi. Gran parte delle famiglie non riesce a mandare i figli a scuola a causa del basso reddito e molte persone, se ci sono problemi di salute, devono mettersi in cammino per 15-20 km per raggiungere un dispensario o un ospedale. «Queste preoccupazioni sono impellenti e occorre dare loro qualche risposta. La prima attività evangelica della chiesa in Madagascar è la lotta alla povertà. Materiale oltre che spirituale. E intellettuale, perché molti giovani non studiano».
Ecco che numerose, a livello nazionale, sono le scuole cattoliche di vario ordine e anche i dispensari e i centri di salute. «Per lottare contro queste povertà – continua padre Jean – bisogna istruire la gente, perché fin tanto che il popolo è ignorante qualcuno continuerà a sfruttarlo e a mantenerlo in questa condizione. Se invece è armato della conoscenza sarà più facile che sappia difendersi e rivendicare i propri diritti». Questa è la posizione della chiesa del Madagascar. Quindi occorre investire nella formazione di bambini e giovani, ma anche delle famiglie, per aiutarli a formarsi a una gestione di famiglia e di comunità completa, sotto tutti i punti di vista.
Missione vera
Dopo oltre sei mesi ad Ambanja a studiare la lingua malagasy, i «nostri» tre missionari sono andati a installarsi a Beandrarezuma il 20 ottobre 2019, in occasione della Giornata missionaria mondiale. «La nostra prima attività è fare osservazione e conoscenza del popolo, delle sfide, delle realtà locali, per vedere come posizionarci come missionari della Consolata in mezzo a questa gente», continua padre Jean.
Oltre alle sfide generali che ritroviamo in tutto il paese, qui ne abbiamo altre. Nella diocesi di Ambanja non ci sono molti cristiani. Si stima che solo il 9-11% sono credenti e nella nostra missione ancora meno. L’attività principale è andare al campo e coltivare il riso, ogni giorno. Anche la domenica. Diventa difficile proporre delle attività pastorali. L’unico momento è domenica dopo la celebrazione dell’eucarestia, perché si ha un po’ di gente. Quello che riusciamo a fare lo facciamo subito dopo la messa».
Poi c’è tutta la problematica della logistica che pesa pure sull’attività pastorale.
«Qui non abbiamo una casa, ma siamo ospiti presso una famiglia, siamo tre in una piccola casa. C’è un terreno della diocesi, dove speriamo di costruire.
Le strade, e questo vale per tutto il paese, sono terribili. Mi ricordano le strade del Congo. Durante la stagione delle piogge (che terminano a maggio), sono impraticabili e non danno accesso a nulla. È difficile uscire di casa, perché non c’è posto dove andare, c’è fango ovunque, è difficile andare a piedi, in bici, moto o anche in auto. Noi abbiamo un’auto ma è ferma a Bealanana, nell’altra parrocchia, e dobbiamo fare a piedi i 15 km per arrivarci se dobbiamo viaggiare verso altre città.
Ci sono difficoltà di comunicazione, di movimento. Si passa tra montagne e valli in cui si produce riso: tutto è pieno di fango».
E continua fiducioso: «Poco a poco entriamo nella realtà e vediamo cosa si può fare per il nostro popolo qui.
La nostra sfida principale è dunque l’educazione. A Bendrarezona c’è una scuola costruita dal nostro ex vescovo Rosario Vella, che è gestita dalle suore. Ma i genitori hanno difficoltà a pagare la retta. Devono coltivare, vendere il riso e quindi pagare la scuola dei figli. Molti giovani non possono studiare perché le famiglie non hanno i soldi. Inoltre, terminata la primaria, dalla classe delle medie devono andare altrove, a Bealanana, Antsohihy o Ambanja, lontano dalla famiglia. Qui non ci sono scuole secondarie».
Madagascar e coronavirus
Anche la salute è un grosso problema e una priorità. I dispensari sono lontani dalla gente.
Il coronavirus è arrivato nel paese, ma grazie a diversi fattori e alle politiche intraprese dal presidente Andry Rajoelina, ad oggi, mentre scriviamo, i dati ufficiali parlano di 186 persone positive, di cui più del 50% i guarite (al 13/05/2020). Non c’è stato ancora alcun decesso.
«Il coronavirus è arrivato anche qui. Quando è cominciato in Europa le persone erano un po’ distratte. Il traffico aereo è continuato ed è così che è entrato nel paese il primo caso, verso la metà del mese di marzo. Qualche viaggiatore in arrivo dalla Francia. In quel momento noi tre eravamo a Antananarivo per rinnovare i nostri visti di residenza. Il presidente stesso ha annunciato alla televisione i primi quattro casi. Noi siamo stati allertati e siamo rientrati velocemente alla missione. Tutto era chiuso».
Padre Jean apprezza il modo con cui è stata gestita l’emergenza: «Il presidente stesso era il primo sulla linea del fronte, insieme al governo per sensibilizzare la popolazione sui pericoli del Covid-19, mostrando cosa succede negli altri paesi. È stato costituito un centro operativo di risposta contro il virus. Hanno chiuso tutto il traffico aereo e stradale. Hanno cominciato a seguire i casi. Sono stati molto attivi. E la popolazione ha obbedito. Anche se non è facile. Ogni due giorni il presidente presentava la situazione alla televisione. I casi di contaminazione non si moltiplicano qui in Madagascar. Poi il 20 aprile, il presidente Rajoelina ha presentato un rimedio tradizionale, che ha chiamato Covid-organics che l’Istituto malgascio di ricerca ha studiato sulla base della pianta di artemisia (molto efficace e largamente usata nella cura della malaria, ndr). Hanno trattato due casi di malati e sembra che siano guariti. È un prodotto locale.
Ha dichiarato il deconfinamento parziale, e la ripresa parziale di alcune attività, come le classi finali della scuola, che hanno ripreso mercoledì 22 aprile, rispettando sempre le distanze. A ogni scuola si inviano mascherine prodotte sul posto e anche la medicina locale, Covid-organics distribuita gratuitamente a tutti gli alunni e gli insegnanti. Il Madagascar è sulla strada giusta. Se si riprendono le attività poco a poco, vuol dire che va meglio. Avevamo paura, ora la situazione non sembra grave, ma non abbassiamo la guardia, occorre sempre rispettare le consegne del ministero della Salute.
A livello di chiesa non facciamo attività, anche su indicazioni del cardinale, monsignor Désiré Tsarahazana, presidente della Conferenza episcopale malgascia. Preghiamo a casa, senza messe e raggruppamenti. Ho speranza che il Covid-19 non farà molte vittime qui».
Tante missioni, tante sfide
Chiediamo a Baba Godfrey se, secondo lui, c’è differenza con le sfide in altre missioni di recente apertura, come l’Angola.
«Le sfide si assomigliano. Qui gli esperti dicono che occorre studiare almeno anno la lingua, senza la quale non riesci a parlare e quindi a fare missione. Occorre inoltre lavorare tanto in comunione, come ci insegna il Concilio Vaticano II, che definisce la missione come comunione. Oggi più di ieri ci chiedono di lavorare in stretta comunione con diversi enti sul territorio.
Si tratta di uno dei paesi più poveri del mondo, noi siamo all’inizio e vogliamo fare un progetto con la gente locale».
A proposito, ci racconta padre Jean «la popolazione di Beandrarezona ha iniziato a rimettere a posto la strada di collegamento con Bealanana, che è la più importante per il villaggio. Noi ci siamo dati disponibili e parteciperemo direttamente ai lavori». Anche questa è missione.
E padre Godfrey parla di futuro: «Come prospettiva abbiamo quella di aprire altre missioni nel paese nei prossimi anni, non molte, si parla di due o tre. Piccole comunità, ma grandi segni».
Marco Bello
(1-continua)
Madagascar in pillole
- Popolazione: 26,26 milioni
- Superficie: 587.041 km²
- Pil pro capite: 527,50 Usd (2018)
- Indice di sviluppo umano (classifica): 0,521 (162 su 189, 2018)
- Tasso di fecondità: 4,78
- Speranza di vita: 66,3 (2017)
- Lingue ufficiali: Malgascio, Francese
- Capitale: Antananarivo
- Moneta: Ariary
- Etnie: 18 etnie principali. Altipiani centrali (origine asiatica): Merina (3 milioni) e Betsileo (2 milioni). Costa (origine bantu), dei quali i maggiori sono: Betsimisaraka (1,6 milioni), Tsimihety (700mila), Sakalava (700mila).
- Religioni: circa metà della popolazione malgascia è dedita a culti tradizionali locali, che tendono a essere centrati attorno all’idea del legame con i defunti. Il 45% dei malgasci sono invece cristiani, suddivisi circa in parti uguali fra cattolici e protestanti.