La porta stretta

«Pregate bene, soprattutto adesso dopo la guarigione; guardate un po’, quasi tutte le comunità, qui a Torino, hanno avuto morti, da noi nessuno. Ringraziamo il Signore!».

Giuseppe Allamano


«Siamo in pieno sviluppo d’una malattia che non sanno né definire, né curare, ma fa, solo in Torino, centinaia di vittime al giorno. In altre città è peggio ancora… All’Istituto, con più di 100 persone, è quasi un miracolo che nessuno ne sia colpito, all’infuori di un sacerdote missionario che guarisce e partirà presto per l’Africa. Di comunità non colpite finora, come la nostra, il numero in Torino si conta tutto sulle dita di una sola mano.
Ringraziamo il Signore!».

È Giacomo Camisassa, primo collaboratore e amico del fondatore, a informare una missionaria della Consolata in Kenya, il 28 settembre 1918, sulle conseguenze a Torino dell’influenza «spagnola», che, tra il 1918 e 1920, uccderà decine di milioni di persone nel mondo.

Non vogliamo qui allinearci ai notiziari che ci bombardano ogni giorno con notizie sul coronavirus e le strategie per difenderci. Più semplicemente, vorremmo aggrapparci al ricordo del nostro fondatore che ha sperimentato, assieme ai suoi missionari e missionarie, la tragedia di una guerra «mondiale» e di un’epidemia che hanno scombussolato non poco il lavoro apostolico dei suoi due giovani istituti missionari. Le sue esortazioni a «pregare bene» e anche a «ringraziare il Signore», ci aiutano a ricordare alcune cose importanti, forse da noi sottovalutate. Per esempio, quella di «fermarci di fronte a Lui» (Sal 45, 11-12), riconoscendo che la presenza di Dio riempie ogni nostro istante e quindi soddisfa il nostro cuore, in qualsiasi circostanza o condizione ci troviamo. O che le vicende di questi mesi dovrebbero renderci più sensibili alle tante altre prove degli «altri» (popoli) che spesso guardiamo soffrire e morire con indifferenza.

Ci ha scritto anche padre Stefano, successore dell’Allamano: «La lezione tremendissima del virus ci introduce forzatamente nella porta stretta della fratellanza universale. In questo strano e surreale isolamento, noi stabiliamo una inedita connessione con la vita del fratello sconosciuto e con quella più ampia del mondo, ci sentiamo veramente missionari. Indubbiamente ciò che è male rimane male. Ma anche un fatto in sé doloroso e molto negativo assume un valore differente per la nostra vita dal modo in cui noi scegliamo di viverlo e, come credenti, cerchiamo di comprendere come attraversarlo, alla luce della Parola di Dio».

Riprendiamo, allora, il nostro faticoso cammino, smarriti o guariti, con coraggio, fiducia e… «Avanti, sempre, in Domino»!

Padre  Giacomo Mazzotti


Giuseppe Allamano e Luigi Orione

L’amicizia tra sacerdoti santi

Il rapporto tra il beato Giuseppe Allamano e san Luigi Orione (1872-1940) sembra che sia iniziato presto. Con tutta probabilità don Orione conobbe il nostro fondatore, rettore del santuario della Consolata, quando era allievo a Valdocco, presso i Salesiani, negli anni 1886-1889. Si sa che, in quel periodo, il giovane Orione si recava spesso al santuario della Consolata.

Reciproca collaborazione. Un’occasione importante per il rapporto tra i due uomini di Dio fu il terribile terremoto, che la mattina del 28 dicembre 1908 rase al suolo Messina. Avendo già una sua fondazione a Noto (Siracusa), don Orione andò subito in Sicilia e, a Messina, prestò una generosa opera di assistenza materiale e spirituale, tanto da essere nominato Vicario generale della diocesidal papa Pio X. Una sua iniziativa fu quella di costruire, davanti al cimitero, una chiesetta di lamiere dedicata alla Consolata, in suffragio delle 80mila vittime del terremoto. Per questa chiesa ottenne dall’Allamano il quadro della Madonna. Ecco come ne parla don Giuseppe Pollarolo in un articolo apparso sul bollettino del Santuario, in occasione della beatificazione di don Orione, dal titolo «Tre santi [Orione, Allamano, Pio X] e un quadro della Consolata»: «Il dramma di Messina diventava sempre più tragico. Cosa fare per confortare gli afflitti e per giovare ai morti? La sua mente corse a Torino, alle frequenti visite che faceva al santuario della Consolata quando era giovane allievo di don Bosco, ai conforti esperimentati ai piedi della Madonna e si persuase che Lei, soltanto Lei, la Madonna, la Consolata, poteva lenire tanto dolore e asciugare tante lacrime!

Era allora rettore del santuario della Consolata il beato canonico Allamano, fondatore dei missionari della Consolata, nipote del venerabile, poi santo Giuseppe Cafasso. Don Orione si rivolse a lui pieno di fiducia (i santi fan presto ad intendersi), con la speranza di ottenere un quadro del tutto simile a quello in venerazione nel santuario di Torino. Il beato canonico Allamano lo accontentò subito mettendogli a disposizione il quadro richiesto». Questo quadro fu poi benedetto dal papa Pio X.

Il pensiero dell’Allamano sull’Orione.

Quello che Giuseppe Allamano pensava su don Orione si comprende chiaramente da ciò che disse dopo il primo vero incontro, di cui si ha notizia, documentato dal canonico Giuseppe Cappella sia al processo per la beatificazione di Allamano, sia nella relazione inviata in seguito agli Orionini in vista della beatificazione del loro fondatore: «Nei primordi del diffondersi del nome di don Orione negli ambienti della carità e delle moderne istituzioni religiose, un mattino si presenta nella sacrestia del nostro santuario della Consolata un sacerdote che, al primo aspetto, dà l’impressione di persona modesta e veneranda, non tanto per l’età ma pel portamento. Sentito il desiderio suo di parlare col rettore del santuario, il canonico Allamano, mi faccio premura di accompagnarvelo. Appena il rettore intese il nome del visitatore, ne fu come sorpreso, come di chi si trova improvvisamente avanti la persona di riguardo e di cui forse da tempo desiderava l’incontro. Il colloquio tra i due fondatori fu assai lungo.

E, siccome di don Orione già se ne era parlato tra noi sacerdoti del santuario, appena ci trovammo insieme raccolti nell’ora della refezione, mi presi la libertà di interrogare il nostro rettore quale impressione avesse riportata dalla visita di don Orione. Ed egli, quasi premuroso di farci conoscere un santo sacerdote, già tanto benemerito della Chiesa, subito rispose: “Don Orione mi ha fatto subito l’impressione di un uomo di Dio, investito del dono, della prerogativa di un vero ed autentico fondatore di un ordine religioso, che farà del gran bene nella Chiesa. Avendomi poi accennato don Orione a difficoltà, insorte già fin dai primordi della fondazione dell’opera sua, cercai di incoraggiarlo a continuare… ché, le difficoltà, le contraddizioni ed anche qualche incomprensione dei buoni, erano e saranno sempre il marchio delle opere di Dio. Tiriamo avanti, caro don Orione – gli dissi – nell’opera intrapresa, sicuri che il Signore, che ce l’ha affidata, non mancherà del suo aiuto, e avanti con la vicendevole promessa di preghiere per noi e per i nostri congregati, fidenti nella Divina Provvidenza e nell’aiuto della santissima Vergine, di poter fare un po’ di bene”».

Il pensiero di Orione su Allamano

La stima che don Orione aveva per il canonico Allamano la possiamo arguire da una minuta di lettera che lui stesso gli scrisse, o intendeva scrivergli, dopo la partenza dei primi missionari della Consolata per il Kenya (1902), in un momento molto critico della sua esperienza di fondatore: «Veneratissimo Signore e fratello nel nostro caro Padre e Signore Gesù Crocifisso, facciamo una cosa sola la casa della Consolata per le sante missioni e questa povera baracca? Perché mi pare che questa cosa sarà una consolazione per la Madonna, e così alcuni buoni soggetti e qualche buon chierico desideroso di andare alle missioni, ci andrebbe per mano della Madonna, e così io starei anche più tranquillo ed essi sicuri di andare bene. Dunque, o mio buon fratello, vi prego di pregare un po’ davanti alla Madonna e se vi pare che questa cosa sia nei disegni…». Non è certo se l’Orione abbia spedito questa lettera e neppure se intendesse fare una proposta di fusione o di collaborazione tra i due istituti. Unica cosa sicura che emerge dalla minuta della lettera è l’apprezzamento di don Orione per il nostro fondatore.

Concludo con quanto scrisse don Carlo Pensa, secondo successore di don Orione, nel 1954, nella lettera postulatoria per la beatificazione di Allamano: «I documenti provano che il rifiorire dell’ideale missionario del nostro fondatore don Orione risale al periodo in cui egli poté avvicinare a lungo il can. Allamano». Non c’è dubbio che san Luigi Orione abbia ammirato lo spirito missionario del beato Allamano e che da esso abbia ricevuto un impulso per sé e per la sua congregazione.

padre Francesco Pavese*

(*) Domenica 3 maggio, padre Francesco Pavese ci ha lasciati per il Paradiso. Con la sua predicazione e i suoi scritti, per lunghi anni ci ha fatto conoscere e amare il beato Allamano. Dal cielo, assieme al nostro fondatore, ha promesso di benedirci tutti. E, come lui desiderava, cantiamo il Magnificat in ringraziamento al Signore per la sua vita consacrata al servizio dell’Istituto e della Chiesa intera.


Giuseppe Allamano: ha fatto della sua vita un dono

Il 14 febbraio 2020, nel secondo giorno del triduo in preparazione alla festa del beatoGiuseppe Allamano, Loredana Mondo, laica missionaria della Consolata, insegnante elementare,
ha offerto la sua testimonianza sul significato della presenza dell’Allamano nella sua vita.

Anni fa, quando ho conosciuto le missionarie e poi i missionari della Consolata, mi sono chiesta che cosa ci fosse in loro che mi attirava e, in modo forse un po’ semplicistico, mi sono risposta l’accoglienza ricevuta e il sentirmi «casa» con loro.

In realtà, in questi anni di cammino di condivisione del carisma, mi sono resa conto che quegli aspetti che inizialmente mi avevano colpito, avevano delle radici molto più profonde della semplice cortesia. Il conoscere e il cercare di approfondire l’origine di tutto ciò, mi ha portata a scoprire la figura di un uomo che, ricevuto un grande dono dallo Spirito, ha fatto della sua vita un dono per gli altri.

È difficile riuscire a dare una definizione su chi sia per me il beato Allamano poiché, come uomo di Dio, racchiude in sé un grande tesoro che in questi anni mi si è rivelato un po’ per volta e che scopro sempre di più ogni volta che ho occasione di leggere qualcosa su di lui o posso sentire testimonianze di chi lo ha conosciuto o di chi vive il suo carisma.

Ci sono tre aspetti che mi colpiscono in modo particolare:

  • – lo sguardo sempre fisso in Dio
  • – l’accoglienza della persona e la capacità di agire
  • – lo spirito di famiglia.

Per il fondatore, il rapporto con Dio, con la Parola e con la Consolata erano centrali nella sua vita: questa sua grande confidenza e certezza che la sua vita fosse costantemente accompagnata e che l’Eucarestia fosse il suo punto di partenza e di arrivo per ogni cosa, era ciò che dava la giusta dimensione ad ogni suo atteggiamento, ad ogni sua scelta.  La sua familiarità con la Consolata poi era tale da coinvolgere la Madre di Dio in ogni sua scelta, anche quelle apparentemente più insignificanti, proprio come un figlio fa con una madre.

È dal suo sguardo sempre fisso in Dio, dal suo sentirsi consolato che nasce l’urgenza di portare l’annuncio di Cristo Figlio missionario del Padre, fino agli estremi confini della terra, con quello zelo di prima qualità per la salvezza delle anime che, come dice lui «viene dall’amore di Dio e solo dall’amore di Dio».

L’accoglienza della persona e la capacità di agire

Il beato Allamano sapeva lasciare nella memoria e nel cuore di chi lo incontrava un segno: una parola, un consiglio, un gesto, un sorriso, uno sguardo. Sapeva essere attento alla persona in tutti i suoi aspetti, sia quelli materiali che quelli spirituali. La stessa delicatezza che voleva dai suoi missionari era la stessa con cui lui si rapportava con le persone sia che fossero semplici lavoratori, sia che fossero persone con incarichi importanti.

Sapeva guardare le persone con gli stessi occhi con cui lui si sentiva guardato da Dio.

Prima di prendere una decisione, di dare un consiglio, di iniziare un progetto, ponderava tutto seriamente. «In tutti i momenti più decisivi della sua vita…, la norma seguita era questa: riflettere, pregare, consultare e poi agire con illimitata fiducia nel divino aiuto» (Lorenzo Sales).

Lo spirito di famiglia

Questo è un aspetto al quale il fondatore teneva molto e per il quale ha spesso speso parole molto concrete perché una comunità che vive lo spirito di famiglia è testimone credibile di quello che annuncia.

Come cristiani e ancor più come missionari, siamo chiamati ad annunciare il Vangelo con la nostra vita anche attraverso quei piccoli gesti di carità che sono segno dell’attenzione all’altro nella sua unicità.

Come dice San Paolo, siamo chiamati a vivere, a comportarci in maniera degna della nostra vocazione, come consacrati e come laici, cercando di conservare l’unità nello spirito perché una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati, quella della nostra vocazione.

Tenere lo sguardo fisso in Dio, cercare sempre e solo la sua volontà, fare bene il bene senza rumore, l’attenzione particolare agli ultimi, sono alcuni degli aspetti che più mi colpiscono del carisma del fondatore e che cerco di vivere guardando all’esempio che lui mi ha dato con la sua vita.

Mi rendo sempre più conto che il mio lavoro di insegnante mi mette in una posizione in cui le relazioni umane sono predominanti e che in ogni situazione sono chiamata a dare una testimonianza coerente di ciò in cui credo. Non è sempre facile accogliere l’altro per ciò che è, ma il beato Allamano, come padre, mi insegna che attraverso quella premura e quell’attenzione verso l’altro posso rivelare l’amore di Dio.

In questo momento sento che il lavoro è la mia «terra di missione» principale, ma sento anche la necessità di vivere con uno sguardo attento alle realtà che a volte sembrano più lontane, ma che sono ormai sempre più vicine e interrogano il nostro stile di vita.

Loredana Mondo
(laica missionaria)

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