I Perdenti 53. Diventare santi tra i lebbrosi di Molokai
testo di Don Mario Bandera |
Dai coniugi fiamminghi De Veuster nascono otto figli, tra cui ci saranno due suore e due preti dei missionari dei «Sacri Cuori di Gesù e Maria», detti anche «Società del Picpus», dalla via di Parigi dove è nata la congregazione. Giuseppe (Jozep), penultimo degli otto (nato il 3 gennaio 1840), è destinato ad aiutare il padre, ma a 19 anni entra al Picpus facendo il noviziato a Lovanio. Siccome a scuola non ha studiato latino, accetta volentieri di essere missionario fratello e al momento dei primi voti prende il nome di Damiano. Ma durante il noviziato impara da solo il latino e rivela una mente vivace e brillante. Per questo, il maestro dei novizi, dopo i primi voti, lo incoraggia a diventare sacerdote e viene inviato a Parigi per gli studi di teologia. Là c’è anche suo fratello Pamphile, che, ordinato prete nel 1863, non può partire per la missione perché malato. Allora Damiano ottiene di partire al posto suo anche se non è ancora stato ordinato sacerdote. Destinazione della missione: le Isole Sandwich, così chiamate dal loro scopritore James Cook nel 1778 in onore di Lord Sandwich, capo della Marina inglese. Sono un arcipelago indipendente sotto una monarchia locale. Più tardi saranno chiamate Isole Hawaii.
Damiano le raggiunge dopo mesi di navigazione, da Brema a Honolulu. Completa gli studi, diventa sacerdote nel 1864 e lavora pastoralmente nell’isola principale, Hawaii, nel distretto di Puna, dove sono ben otto anni che manca un missionario. Istruisce la gente nella fede e insegna loro ad allevare pecore, montoni e maiali, come pure a coltivare la terra. Il divario culturale crea ostacoli duri, la solitudine a volte gli pare insopportabile. Ma è solo un primo collaudo.
Nel 1865 gli viene affidato il vasto distretto di Kohala. In quella realtà viene per la prima volta in contatto con il dramma della lebbra che sta avendo effetti devastanti tra la popolazione locale. Importata da marinai e commercianti stranieri, insieme all’influenza e alla sifilide, la lebbra causa la morte di migliaia di persone. Per questo il re delle Hawaii decreta, proprio nel 1865, di isolare i tutti lebbrosi nella penisola di Kulaupapa distetto di Kalawao al Nord dell’isola di Molokai, garantendo cibo e vestiario e niente più. Tra di essi c’è anche un piccolo gruppo di cattolici che il vescovo cerca di aiutare e sostenere anche con al costruzione di una piccola chiesa.
Dal 1865, padre Damiano, detto Kamiano nella lingua locale, assistite, impotente, allo spaventoso avanzare del flagello che decima la sua gente. Alla prova della malattia, si aggiunge, per i lebbrosi, quella, ancor più grande, di essere strappati alle loro famiglie, ai loro villaggi, senza alcuna speranza di ritorno. Padre Damiano promette una visita a quelli che vengono portati via, e li accompagna il più a lungo possibile sul loro percorso. È quindi con piena cognizione di causa che si offre volontario, il 4 maggio 1873, per raggiungere i lebbrosi.
Caro padre Damiano sapevi che offrendoti volontario per assistere i lebbrosi di Molokai ci saresti rimasto tutta la vita?
Andando a Molokai si doveva obbligatoriamente risiedervi, perché il governo locale temeva il contagio e proibiva di lasciare la penisola lebbrosario nella quale erano stati concentrati tutti i lebbrosi del regno. Il tasso di mortalità era molto alto: pensa che ci furono ben 183 decessi nei primi otto mesi della mia presenza.
Come vivevano i lebbrosi?
Rivecevano dal governo cibo e vestiario, ma erano abbandonati a se stessi, in misere capanne dove vivevano in grande promisquità. La lebbra sfigurava la loro carne, ma c’erano altre lebbre più profonde, quelle morali. Abbandonati a se stessi e senza speranza, vivevano i pochi giorni che rimanevano loro in orge, ubriacature e violenze, sfruttamento reciproco, costringendo le donne alla prostituzione. Anche i lebbrosi cristiani, lasciati a se stessi, avevano molta difficoltà a mantenere viva la propria fede.
Come hai fatto a guadagnarti la stima e l’affetto di tutti?
A Molokai oltre che essere sacerdote, facevo il medico, il padre, curavo le anime, lavavo le piaghe, distribuivo medicine, cercavo di stimolare quel senso di dignità che ogni ammalato portava dentro di sé, facevo in modo che i lebbrosi si unissero per coltivare la terra, creando luoghi di accoglienza per i più deboli. Cercavo soprattutto di far crescere tra loro uno spirito di gruppo e un certo orgoglio per le conquiste raggiunte.
Credo di averli aiutati a ritrovare il rispetto per se stessi e a darsi un’organizzazione interna per non vivere totalmente allo sbando.
Volevi trasformare una terra di morte in un luogo di vita.
Vero. Nel 1984, un medico americano che aveva vsitato il luogo diversi anni prima, tornando era rimasto sopreso di trovarlo completamente trasformato. Non c’erano più le sordide capanne che avevo trovato al mio arrivo, ma i lebbrosi stessi avevano costruito, con l’aiuto del vescovo e di benefattori, due villaggi con case circondate da giardini e orti, strade e impianti per l’acqua. C’era un ospedale ben funzionante, gli orfanotrofi, due chiese e un cimitero. E poi feste, vita religiosa, processioni e la banda musicale.
Come hai fatto?
Al Signore avevo chiesto solo di rimanere in salute. Mi occupai del mio doppio orfanotrofio di bambini lebbrosi che erano più di 40. La metà di loro, molto avanti nella malattia, non dovettero aspettare molto per andare in Cielo. Da parte mia viaggiavo tanto per recarmi da una comunità all’altra. Alla domenica, celebravo di solito due messe, mentre per quattro volte alla settimana insegnavo il catechismo e impartivo due volte la benedizione del Santissimo Sacramento. Mi ero messo anche a fumare la pipa per difendermi dall’insopportabile odore di carne in disfacimento che ammorbava l’aria circostante e che a volte provocava svenimenti fra la gente anche in chiesa.
La tua opera di promozione umana e di evangelizzazione in un contesto così difficile veniva grandemente apprezzata da coloro che ti circondavano, ultimi fra gli ultimi.
Alla mia gente piaceva organizzare processioni. In occasione delle festività liturgiche importanti essi si organizzavano per portare la croce nei luoghi più significativi e impervi della penisola. Tu dovevi vederli, nonostante le loro infermità, marciare dietro la bandiera hawaiana con tamburi e strumenti musicali di latta fabbricati da loro. Seguivano i gruppi delle donne con i bambini, poi gli uomini, quindi i cantori.
In queste circostanze ovviamente tu portavi il Santissimo.
Quando si arrivava alla residenza del sovrintendente (incaricato dal governo) si deponeva sotto la veranda il Santissimo Sacramento. Quindi facevamo riposare sul tappeto erboso i nostri piedi e le gambe malate, stanche dalla lunga marcia. Subito dopo con devozione ci dedicavamo all’adorazione del Santissimo. Dopo la benedizione, la processione riprendeva la strada e si ritornava con lo stesso ordine nella chiesa del lebbrosario.
Qual è stata la forza che ti ha sostenuto?
Il Santissimo Sacramento è stato veramente lo stimolo che mi ha aiutato ad andare avanti in tutti quegli anni. Senza la presenza continua del Salvatore, non avrei mai potuto perseverare nel legare la mia sorte a quella dei lebbrosi di Molokai. Siccome la celebrazione dell’Eucarestia è il pane quotidiano del prete, mi sentivo felice, ben contento nell’ambiente eccezionale nel quale la divina Provvidenza si era compiaciuta di collocarmi per rendere un servizio ai più emarginati e dare così lode al Dio dell’Amore e della Misericordia.
Nel 1885 padre Damiano viene contagiato dalla lebbra. La notizia si sparge come un baleno nell’arcipelago delle isole Hawai. Pochi mesi prima della morte arriva il padre belga Conrardy in compagnia di alcune suore e volontari per prendersi cura dell’ospedale. Finalmente può fare una confessione dopo anni di solitudine come sacerdote. Finita l’unzione degli infermi, padre Damiano dice: «Sono tranquillo e rassegnato, e anche più felice in questo mio mondo».
Fino all’ultimo aiuta i medici che studiano la lebbra, accettando di sperimentare su di sé nuovi farmaci.
Muore il 15 aprile 1889, circondato dalla sua comunità dopo un mese di letto sul quale lo ha costretto la malattia che lo ha reso ogni giorno più debole, e mille malati di lebbra lo seppelliscono ai piedi di un albero.
Nel 1936 il suo corpo viene riportato in Belgio, a Lovanio. Papa Giovanni Paolo II lo beatifica a Bruxelles nel 1995, continuando l’iter iniziato da Paolo VI nel 1967 su richiesta di 33mila lebbrosi e concluso da Benedetto XVI che lo canonizza in Piazza San Pietro l’11 ottobre 2009.
Don Mario Bandera
Film su padre Damiano
- Il classico in bianco e nero è:
Molokai, l’isola maledetta (1959)
che si può vedere su Youtube. - Molokai: the story of Father Damien (1999)
è interpretato da Humberto Almazán, un attore messicano diventato
missionario.