In punta di piedi

uniti in preghiera dal ger di Arvaiheer in Mongolia

di Giorgio Marengo da Arvaiheer, Mongolia


Mi avvicino a voi in punta di piedi.
Quello che state vivendo è al di là dell’immaginabile. Il dolore di questi giorni rimbomba fino alla steppa mongola, per il momento graziata dal flagello che state vivendo lì. Vivere in un Paese grande 5 volte l’Italia con appena 3,5 milioni di abitanti, con immensi spazi vuoti e aridi che separano un villaggio dall’altro, in questo momento ha i suoi vantaggi. Qui la chiusura delle scuole è iniziata a fine gennaio, seguita a ruota dalla sospensione di qualsiasi attività pubblica. Da quasi due mesi celebriamo messa solo noi padri e suore, senza poter accogliere nessuno. Ma qui all’isolamento uno si è già dovuto abituare e per ora non ci sono emergenze sanitarie.

Amici e conoscenti mongoli mi chiamano per manifestare solidarietà al popolo italiano. Le notizie del telegiornale di Ulaanbaatar mostrano un’Italia colpita a morte, che fa di tutto per reagire. Le forze dell’ordine, qui in Mongolia sempre molto pronte a controllare gli stranieri come noi, sono venute a ispezionarci, dopo che è stato registrato il primo caso di contagio, un cittadino francese; prima di andarsene, mi hanno detto: “Lei che è italiano si ritenga fortunato ad essere qui e non nel suo Paese”. Hanno terribilmente ragione e io francamente mi sento in colpa. Ogni giorno il ministero della sanità mongolo manda in media 3 o 4 sms con istruzioni di comportamento: “Mangiate e riposate bene, evitate lo stress che abbassa le difese immunitarie”.

Poi apro la pagina web di un qualsiasi giornale italiano e mi vengono i brividi: potessero i tanti medici e infermieri italiani riposare un po’ e rinfrancarsi, ma gli ospedali sono ormai insufficienti e mi commuovo a vedere questi nuovi martiri spendersi con tutte le forze per dare sollievo e un po’ di speranza. Mi fanno sentire fiero di appartenere a questo popolo, mettono in luce un’Italia che amo ancor di più, malgrado le sue tante contraddizioni. Sono sicuro che il nostro Paese si ritroverà più bello e forte, il sacrificio di questi uomini e donne e non andrà perduto. Ma intanto si piange e si soffre.

In una situazione del genere non mi sento di fare nessuna riflessione speciale, vorrei solo dirvi che sono con voi e che adoro lo stesso Signore che continua a tenderci la mano da tutti i tabernacoli del mondo, incluso quello della nostra ger-cappella di Arvaiheer e quelli delle chiese italiane giustamente chiuse alle celebrazioni comuni per evitare il peggio.

Il Beato Allamano lo ricordava ai suoi missionari e missionarie: ai piedi dell’eucaristia avrebbero ritrovato coraggio. Invochiamo insieme il dono della guarigione e della liberazione da questo male che ci opprime, seguendo l’invito del salmista: “Sta in silenzio davanti al Signore e spera in Lui” (Salmo 36). Quando qualcuno sta male, gli si sta vicino, senza parlare, ma tenendogli la mano e asciugandogli la fronte, come diceva il beato Pierre Claverie, uno dei martiri dell’Algeria; è lo stesso Gesù che sta soffrendo lì con voi. A Lui guardiamo con la fiducia di chi non ha altri in cui sperare.

padre Giorgio Marengo
15 marzo 2020, da Arvaiheer

In unione con i Missionari e Missionarie della Consolata ad Arvaiheer

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