testo di don Mario Bandera |
Il 25 novembre 1960, a Santo Domingo, capitale della Repubblica Dominicana, nell’isola di Hispaniola, le tre sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa) furono seviziate, violentate e uccise a bastonate su preciso mandato del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Quell’episodio innescò l’inizio della fine di uno fra i regimi più dispotici dell’America Latina. Il loro brutale assassinio risvegliò l’indignazione popolare che avrebbe portato, l’anno seguente, all’assassinio di Trujillo e alla fine della dittatura.
Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea generale delle Nazioni unite, con la risoluzione 54/134, ha dichiarato, in loro memoria, che il 25 novembre di ogni anno sia celebrata in tutte le nazioni la «Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne».
La militanza sociale e politica delle tre sorelle Mirabal era iniziata quando Minerva, la più intellettuale delle tre, il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal, organizzata dal dittatore per le classi sociali più in vista, aveva osato sfidarlo apertamente in un dibattito pubblico, sostenendo le proprie idee democratiche. Quella data segnò l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la sua famiglia, con periodi di detenzione in carcere per il padre e la progressiva confisca di tutti i loro beni.
Carissima Patria, cominciamo con le presentazioni.
I nostri nomi per esteso sono: Aida Patria Mercedes nata nel 1924, Maria Argentina Minerva del 1926 e Antonia Maria Teresa, nata nel 1935. Nascemmo tutte e tre da una famiglia benestante, i Mirabal Reyes, a Ojo de Agua nella provincia di Salcedo della Repubblica Dominicana. C’era anche una quarta sorella (in realtà la seconda perché nata nel 1925): Bélgica Adela, detta Dede, che, pur simpatizzando con noi, non partecipò alle nostre attività, e dopo la nostra uccisione si prese cura dei nostri figli.
Nella vostra famiglia fin da piccole si respirava aria di dialogo e libertà e foste educate nel rispetto dei diritti umani.
La nostra era una famiglia di contadini relativamente ricchi. Questo ci permise di ricevere una buona educazione, prima in una scuola gestita da suore poi studiando all’università. L’esempio dei nostri genitori ci spinse a un coinvolgimento sempre più personale contro la dittatura che si era imposta nel nostro paese e che sentivamo sempre più pesante. A mano a mano che crescevamo aumentava in noi la voglia di reagire alla situazione dittatoriale in cui vivevamo. Il generale Rafael Leónidas Trujillo, andato al potere nel 1930, gestiva la nazione come un vero padrone, anche della vita delle persone.
Quindi è dal contesto familiare che nacque il desiderio di una vostra militanza politica?
In un certo senso sì, ma tutto divenne più chiaro quando Minerva, diventata avvocato, non ottenne la licenza di praticare la sua professione perché il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal organizzata dal dittatore per le classi più ricche della nostra città, lei lo aveva sfidato apertamente in presenza di una folla numerosa rifiutando il suo corteggiamento e sostenendo le proprie idee, che ovviamente contrastavano con quelle del dittatore.
Come conseguenza foste coinvolte negli avvenimenti sociali e politici, alcuni tragici per l’odio e la violenza che scatenarono contro di voi.
Parecchi nostri amici si schierarono con noi e anche le nostre famiglie presero una posizione netta contro il dittatore Trujillo. Nel contempo nell’intera società dominicana cominciava a spuntare un’opposizione sempre più decisa nei confronti della dittatura.
Di voi tre chi era la più decisa nel portare avanti la linea che vi eravate date?
Senza ombra di dubbio Minerva. Fu lei che con un gruppo di amici il 9 gennaio del 1960 tenne nella sua casa la prima
riunione degli oppositori politici al regime. Quell’incontro segnò la nascita dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria «Movimento del 14 giugno», di cui il marito di Minerva, Manolo Tamarez Justo, fu eletto primo presidente. Anche lui fu poi assassinato nel 1963. Il nome del movimento veniva da un fatto di sangue, il massacro di alcuni giovani per mano degli sgherri di Trujillo, a cui Minerva aveva assistito mentre partecipava a un ritiro spirituale.
Minerva fu dunque l’anima del movimento di opposizione?
In un’epoca in cui predominavano valori (o per meglio dire anti valori) tradizionalmente «machisti» di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole della sopraffazione, in quel mondo maschilista sudamericano, mia sorella Minerva dimostrò fino a che punto e in quale misura la volontà e la coscienza femminile sono una forma di dissidenza al potere.
Una presa di posizione, la sua, subito imitata da altri amici e conoscenti che diedero vita a un robusto movimento contrario al regime.
Ben presto anche Maria Teresa e il marito, che già da anni erano attivisti politici, furono coinvolti in questa onda crescente del «Movimento 14 giugno» e anch’io con mio marito scegliemmo di aderire. Non volevamo che i nostri figli crescessero in un regime corrotto e tirannico. Dovevo lottare contro di esso con tutte le mie forze, disposta anche a dare la mia vita, se necessario.
La vostra opera coraggiosa di aprire le coscienze dei vostri concittadini si estese a macchia d’olio su tutto il territorio della Repubblica, e divenne tanto efficace che il dittatore Trujillo in persona arrivò ad affermare: «Nella mia azione di governo ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal».
Insieme formavamo un bel gruppo e ci davamo da fare per far conoscere alla gente i nomi di coloro che erano uccisi dal
regime. Ci firmavamo «Las Mariposas», le farfalle, adottando per tutte quello che era il nome clandestino di Minerva.
Nell’anno 1960 le mie sorelle Minerva e Maria Teresa furono incarcerate due volte; la seconda volta condannate a cinque anni di lavori forzati con l’accusa di avere attentato alla sicurezza nazionale. Ma i gesti e gli attestati di solidarietà che giunsero da tutto il mondo costrinsero il dittatore Trujillo a rilasciarle anche se furono messe agli arresti domiciliari.
Anche i vostri mariti subirono la stessa sorte?
Sì, anche loro vennero imprigionati e torturati.
Il 25 novembre 1960, a Minerva e Maria Teresa viene concesso un permesso speciale per far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere. Patria, la sorella maggiore, vuole accompagnarle anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere e la madre le supplica di non andare perché teme per le sue tre figlie. L’intuizione della madre si rivela esatta: le tre donne, insieme al loro autista Rufino de la Cruz, vengono prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise, e i loro corpi buttati nella loro macchina precipitata poi in un burrone per simulare un incidente.
«Se mi ammazzano, tirerò fuori le braccia dalla tomba e sarò più forte». Con questa frase, l’attivista dominicana Minerva Mirabal rispondeva agli inizi degli anni ‘60 a chi le faceva notare che il regime dispotico del presidente Rafael
Leónidas Trujillo (1930-1961) avrebbe cercato in ogni modo di uccidere lei e le sue sorelle.
L’assassinio delle sorelle Mirabal produsse gran dolore in tutto il paese e in tutta l’America Latina e fortificò lo spirito patriottico della comunità, desiderosa di raggiungere un governo democratico che garantisse il rispetto della dignità umana.
Più di mezzo secolo dopo, la promessa di Minerva ci sembra che si sia compiuta: la sua morte e quella delle sue sorelle per mano della polizia segreta dominicana, è considerata da molti uno dei principali fattori che portò alla sconfitta della
dittatura di Trujillo. Ogni 25 novembre, la testimonianza di Minerva, Patria e Maria Teresa risuona in tutto il mondo per il «Giorno internazionale per eliminare la violenza contro la donna» che è stato dichiarato dall’Onu in onore delle tre sorelle dominicane.
Don Mario Bandera
25 NOVEMBRE
GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
La «Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne» è stata istituita partendo dall’assunto che la violenza contro le donne sia una violazione dei diritti umani. Tale violazione è una conseguenza della discriminazione contro le donne, dal punto di vista legale e pratico, e delle persistenti disuguaglianze tra uomo e donna.
La violenza contro le donne influisce negativamente e rappresenta un grave ostacolo nell’ottenimento di obiettivi cruciali quali l’eliminazione della povertà, la lotta all’Hiv/Aids e il rafforzamento della pace e della sicurezza.
La sostanziale carenza di risorse da destinarsi a iniziative per l’eliminazione della violenza contro le donne e le ragazze in tutto il mondo contribuisce a far sì che questo fenomeno persista. Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile – che comprendono un obiettivo specifico per porre fine alla violenza contro le donne e le ragazze – offrono grandi possibilità, ma necessitano di finanziamenti adeguati per apportare cambiamenti reali e significativi nella vita delle donne e delle ragazze.
Questa Giornata segna l’inizio della campagna dei «Sedici giorni di attivismo», comunemente conosciuta come la «16 Days campaign». Viene sostenuta da cittadini e organizzazioni in tutto il mondo per promuovere la prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne e le ragazze. La campagna è stata ideata dal primo istituto per la leadership mondiale delle donne (Global women leadership institute) nel 1991.
La campagna si collega a due importanti ricorrenze: il 25 novembre (giornata internazionale sulla violenza contro le donne) e il 10 dicembre (giornata internazionale per i diritti umani). I sedici giorni della campagna fanno così da ponte a queste giornate per chiedere l’eliminazione di tutte le forme di violenza di genere.
A sostegno di questa iniziativa, la campagna del Segretario generale delle Nazioni unite sollecita un’azione mondiale incentrata sulla sensibilizzazione e sulla necessità di un impegno per mettere in luce il fenomeno e attuare misure per prevenirlo e contrastarlo. Ogni anno viene sottolineato un tema particolare.
adattato da www.onuitalia.it