I Perdenti 46. Santa Tecla, isoapostola e protomartire

testo di Don Mario Bandera


Santa Tecla sin dall’antichità viene considerata la protomartire delle donne cristiane, il corrispettivo femminile di santo Stefano. La sua storia è giunta sino a noi attraverso antichi manoscritti come gli «Atti di Paolo e Tecla», il «Martirio della santa e isoapostola Tecla protomartire delle donne», la «Passione di santa Tecla vergine», e altri. Questi antichi codici riportano, seppur con qualche variante, testi e tradizioni antecedenti all’anno 200 d.C., secondo le quali Tecla fu una giovane di Iconio, città oggi conosciuta come Konya in Anatolia (Turchia), vissuta tra l’anno 30 e il 120 d.C. La sua città fu evangelizzata da Paolo nel suo primo viaggio. Tecla divenne discepola dell’apostolo dopo averlo sentito predicare sullo sconvolgente mistero della resurrezione di Cristo e la vita nuova del cristiano.

L’incontro con Gesù le cambiò completamente la vita esponendola all’odio dei potenti e anche della sua famiglia. Da quel momento il suo cammino di fede come «sposa di Cristo» non fu facile.

La tua vita ha affascinato le prime comunità cristiane dell’Asia Minore, tanto che sono
fiorite tante memorie in tuo onore.

Sono riconoscente a tutti coloro che nel terzo e quarto secolo redassero gli antichi testi che, basandosi su un testo antecedente all’anno 200 d.C., raccontano che fui una cristiana di Iconio (in Asia minore), una vergine al tempo della venuta dell’apostolo Paolo nella mia città. Quei codici mi hanno dato quattro titoli molto impegnativi: santa, isoapostola, martire e vergine. Santa, sai cosa significa. Isoapostola vuole dire «pari agli apostoli», un titolo che, a ragione, avevano già dato a Maria Maddalena, che è stata la prima testimone della risurrezione di Gesù. Questo forse perché poi sono diventata discepola di Paolo e l’ho accompagnato nei suoi viaggi. Poi ci sono i due titoli «vergine e martire». Sono due titoli importanti per me. Come sai, il primo significato di «vergine» è che ero una ragazza da sposare di circa 15-16 anni, ma poi è diventato molto di più. «Martire» vuol dire che sono stata una testimone di Gesù uccisa violentemente. In realtà tante volte hanno cercato di uccidermi, senza riuscirci, e ho vissuto fino a oltre 90 anni.

Andiamo con ordine. Se non sbaglio la tua città ricevette l’annuncio del Vangelo dallo stesso San Paolo.

Proprio così! Venne da noi durante il suo primo viaggio. Ho avuto occasione di ascoltarlo quasi per caso. Paolo era stato accolto a Iconio da Onesiforo, un nostro vicino di casa. Lì si erano radunati un po’ di amici e Paolo aveva parlato a lungo di Gesù, della sua risurrezione e della vita nuova del cristiano. Aveva anche sottolineato che accettare Gesù significava essere come una sposa casta che vive solo per il suo sposo. Io, incuriosita, lo ascoltavo dalla finestra di casa mia ed ero rimasta affascinata da quei discorsi che presentavano un modo di amare così diverso da quello a cui eravamo abituati.

Cioè?

Immagina la bellezza di donarsi a qualcuno solo per amore e in piena libertà. Tutto il contrario di quello che noi vivevamo: per noi ragazze il matrimonio era combinato dalle famiglie, senza tener conto dei nostri sentimenti. Eravamo quasi un oggetto che serviva a rafforzare i rapporti e gli affari. In più, una volta sposate, avevamo il dovere di fare figli, possibilmente maschi, perché un giorno potessero servire nell’esercito dell’imperatore. Rifiutarsi di sposarsi, come poi feci io, e scegliere una vita di castità era considerato disobbedienza civile, un reato di lesa maestà.

Anche tu eri già promessa sposa?

Sì, e il mio fidanzato Tamiri e la sua famiglia non presero bene il mio «innamoramento» per il Cristo di Paolo. Andarono dal governatore della città e accusarono Paolo di avermi plagiata e di aver interferito negli affari di famiglia. Per questo Paolo fu fustigato.

La tua famiglia ti sostenne nelle tue scelte?

Tutt’altro. Anzi, mia madre prese le parti della famiglia di Tamiri che si sentiva offesa nel suo onore e minacciata nei suoi interessi dal mio rifiuto di sposarlo. Si lasciò addirittura convincere da Teoclia, la mamma di lui, ad andare dal governatore perché mi desse una punizione esemplare che servisse da deterrente a qualsiasi ragazza con idee strane in testa. E il governatore decise che dovevo essere bruciata sul rogo, quasi come un sacrificio riparatore agli dei.

Condannata al rogo?

Proprio così. Il rogo fu preparato in piazza davanti a tutti, ma venne un’improvvisa tempesta che spense il fuoco. La gente si spaventò davanti a quello che ritenevano un segno dal cielo e io fui liberata. Così tornai da Paolo chiedendo di essere battezzata. Ma l’apostolo temporeggiò, probabilmente perché non voleva che decidessi per l’emozione degli ultimi avvenimenti.

Tornasti allora a casa tua?

Non proprio. Paolo mi invitò ad accompagnarlo nei suoi viaggi e a pazientare per fare insieme un percorso di catechesi allo scopo di conoscere e approfondire il Vangelo di Gesù. Colsi così la palla al balzo, diventando sua discepola.

Quali itinerari hai percorso con l’apostolo delle genti?

Dopo essere stato a Listra e a Derbe, Paolo doveva tornare ad Antiochia di Pisidia, da dove era venuto e dove c’era già una comunità cristiana. Andai con lui e rimasi in quella comunità.

La mia bellezza fu notata da un ricco notabile che si invaghì di me. Forte della sua posizione nella città pensò di potermi avere senza grandi difficoltà e cercò a più riprese di abbracciarmi nella pubblica piazza. Ma io rifiutai con fermezza le sue avances e, reagendo ai suoi abbracci, gli strappai di dosso il mantello di fronte a tutti. Quel bel mantello che era il segno della sua alta posizione sociale, mettendolo così in ridicolo. Lui un potente, rifiutato da una giovane sconosciuta come me.

Però lui non si diede per vinto…

Per niente! L’umiliazione pubblica aveva ferito il suo orgoglio. Alessandro, questo era il nome dell’uomo, si diede molto da fare, brigando e intrallazzando con tutti i poteri forti della città, con cui ovviamente era legato. La sua parola contro la mia. Convinse il governatore a farmi dare una punizione esemplare: essere divorata dalle belve nei giochi del circo della città. Non poteva permettere che una giovinetta forestiera mettesse in ridicolo il suo prestigio.

Però non tutti erano d’accordo con lui.

Molte donne di Antiochia protestarono contro la sentenza. La più attiva di tutte fu una ricca vedova, Trifena, che aveva appena finito di piangere la morte di sua figlia che era più o meno della mia età. Aveva avuto anche un sogno nel quale la figlia le chiedeva di accogliermi nella sua casa perché potessi pregare per lei e aiutarla a entrare in cielo. Così rimasi nella sua casa tutti i giorni precedenti all’esecuzione e lei ottenne da Alessandro di potermi stare accanto fino all’ultimo. Nella pace di quella casa mi preparai a morire per unirmi al mio sposo Gesù.

Sei poi stata sbranata dalle belve?

Mi spogliarono completamente e mi misero nell’arena. Dovevo essere l’esca per lo spettacolo delle belve, ma le belve si fecero beffe degli uomini. Una leonessa mi si avvicinò e mi leccò i piedi, difendendomi poi dagli altri animali, così io mi sedetti sulla sua groppa. Le belve si rifiutarono di uccidermi, mentre dagli spalti molte donne, insieme a Trifena, continuavano a protestare per la mia ingiusta condanna.

In quel momento sentii la mano di Dio su di me. Capii che era venuto il momento del mio battesimo. C’era lì una grande vasca con dentro delle grandi foche grigie, molto feroci. Mi ci buttai pronunciando la formula del battesimo. Morire per risorgere con Cristo. Ma anche le foche non mi fecero nulla perché un fulmine improvviso le stordì.

I presenti interpretarono quel fatto straordinario come un segno degli dei. Anzi, il governatore, sconvolto e allo stesso tempo ammirato dalla mia forza d’animo e dall’evento straordinario a cui aveva assistito, mi fece rivestire con vesti nuove e mi fece liberare.

Rivedesti ancora Paolo?

Una volta libera e ormai cristiana battezzata in tutto e per tutto, andai da Paolo nella città di Myra. Per prudenza mi vestii da uomo e mi feci accompagnare da alcuni giovani cristiani. Rimasi con lui per un po’, ma poi Paolo stesso mi invitò a tornare alla mia città per annunciarvi la buona notizia di Gesù. Così tornai a Iconio dove rividi anche mia madre che ormai aveva accettato la mia nuova vita.

Oggi si pensa che santa Tecla non sia mai esistita. Verosimilmente le storie narrate su di lei negli antichi testi sintetizzano in una persona simbolica le vite di martirio e santità di diverse giovani cristiane che hanno avuto la loro vita completamente cambiata dall’incontro con Cristo e hanno avuto il coraggio di andare contro la mentalità dominante. Molte sono le ragazze cristiane che nei secoli hanno pagato con il martirio la loro verginità donata a Cristo.

Sopravvissuta al rogo e alle belve, che ne è stato poi di lei? I manoscritti presentano finali leggermente diversi. La versione più nota racconta che Tecla si ritirò in eremitaggio in una grotta, dove aveva radunato altre donne che condividevano la sua vita. Chi era malato fisicamente o spiritualmente, avvicinandosi a quel luogo, veniva guarito. Per questo i medici della regione avevano cominciato a odiarla, avendo perso i loro clienti. Però la temevano anche, perché pensavano fosse sotto la protezione della dea Artemide, la dea cacciatrice protettrice delle vergini. Così un giorno, Tecla era già novantenne, mandarono degli uomini per farle violenza, ma ancora una volta la santa sfuggì per intervento divino, scomparendo nella roccia della grotta.

Santuari in suo onore sono sorti in tutto il mondo antico. Dipinti, statue, lapidi e affreschi sono sparsi un po’ ovunque, specie in Spagna e Germania. Tutti raffigurano momenti e simboli del suo leggendario martirio. La si vede quasi sempre con un leone al suo fianco, o vicina a una colonna con il fuoco alla base a memoria del rogo.

Santa Tecla è la patrona dei malati di cancro alle ossa.

Don Mario Bandera

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