Il creato in «Ardente aspettativa»
Testo di Gigi Anataloni |
Il sole del mattino illumina di luce radente il marciapiede segnato da una serie di brillanti macchie arancio che colorano il suo grigiore. Una visione poetica, ma la poesia dura poco. Non sono fiori spuntati dall’asfalto, sono solo bucce di mandarino: il segno di un’incuria «ordinaria» fatta di cartacce, escrementi canini, mozziconi di sigaretta, per restare sotto casa. Un’incuria «normale» fatta di rifiuti domestici e industriali ai margini delle strade, discariche abusive (anche di materiali tossici) nei campi, in riva ai fiumi, nel mare, se allarghiamo lo sguardo. Una «normale» gestione ambientale diffusa in tutto il mondo, con rare eccezioni: rivedo il deserto del Nord del Kenya con i cespugli spinosi coronati di sacchetti di plastica sbattuti dal vento, segnale sicuro della vicinanza di un villaggio; ricordo i bidoni azzurri sepolti sotto una grande superstrada – costruita da un’impresa nostrana – in una capitale africana («solo bidoni vuoti», mi hanno assicurato allora, malizioso io a pensare che fossero pieni di rifiuti tossici); penso alla nuova collina – di rifiuti organici garantiti – sorta vicino alla casa dei miei nel bresciano, ormai punto di riferimento paesaggistico.
Immagini banali le mie, ma tutt’altro che banale è il problema del degrado ambientale a cui rimandano, dell’inquinamento, del cambiamento climatico. È una realtà che interpella tutti, che è sotto gli occhi di tutti e richiede da ciascuno una risposta. La rassegnazione e il senso d’impotenza non portano a nulla.
Nel suo messaggio quaresimale, papa Francesco ci parla di questo, ricordando che: «Quando non viviamo da figli di Dio, mettiamo spesso in atto comportamenti distruttivi verso il prossimo e le altre creature – ma anche verso noi stessi – ritenendo, più o meno consapevolmente, di poterne fare uso a nostro piacimento. L’intemperanza prende allora il sopravvento, conducendo a uno stile di vita che vìola i limiti che la nostra condizione umana e la natura ci chiedono di rispettare, seguendo quei desideri incontrollati che nel libro della Sapienza vengono attribuiti agli empi, ovvero a coloro che non hanno Dio come punto di riferimento delle loro azioni, né una speranza per il futuro (Sap 2,1-11). Se non siamo protesi continuamente verso la Pasqua, verso l’orizzonte della Risurrezione, è chiaro che la logica del tutto e subito, dell’avere sempre di più finisce per imporsi. […] Quando viene abbandonata la legge di Dio, la legge dell’amore, finisce per affermarsi la legge del più forte sul più debole. Il peccato che abita nel cuore dell’uomo (Mc 7,20-23) – e si manifesta come avidità, brama per uno smodato benessere, disinteresse per il bene degli altri e spesso anche per il proprio – porta allo sfruttamento del creato, persone e ambiente, secondo quella cupidigia insaziabile che ritiene ogni desiderio un diritto e che prima o poi finirà per distruggere anche chi ne è dominato». L’uomo è padrone nella logica del peccato, giardiniere nella logica dell’amore.
Sono parole forti quelle del papa, ma rispecchiano bene la realtà nella quale viviamo. Siamo a un bivio. Occorre scegliere tra la vita e la morte, l’essere «uomini» o essere «belve». Citando la lettera ai Romani, Francesco ricorda che tutto il creato ha «l’ardente aspettativa» e il «desiderio intensissimo» di vedere che noi uomini siamo davvero «uomini» secondo lo standard pensato da Dio nella creazione (immagine di Dio) e confermato da Gesù nella redenzione (figli/figlie di Dio). Tutto il creato non vede l’ora che noi ci svegliamo, perché adesso, comportandoci da «padroni», stiamo creando il deserto e distruggendo il giardino del mondo.
È urgente un profondo cambiamento di mentalità (conversione) perché la nostra e quella del creato è un’unica storia di salvezza. Non ci si può rassegnare all’impotenza, vivere l’attimo presente senza preoccuparsi del futuro pensando che il problema sia più grande di noi. Forse siamo anche vittime di un sistema sociale ed economico che tende a usarci invece di renderci protagonisti, ma la nostra fede ci conferma che siamo soggetti della storia, non marionette, e che la conversione, il cambiamento di rotta, comincia da noi. La vera rivoluzione non la fanno i potenti, ma le scelte quotidiane che ciascuno può fare. Scelte che Francesco sintetizza in tre parole: elemosina, preghiera e digiuno.
«Digiunare, cioè imparare a cambiare il nostro atteggiamento verso gli altri e le creature: dalla tentazione di “divorare” tutto per saziare la nostra ingordigia, alla capacità di soffrire per amore, che può colmare il vuoto del nostro cuore. Pregare per saper rinunciare all’idolatria e all’autosufficienza del nostro io, e dichiararci bisognosi del Signore e della sua misericordia. Fare elemosina per uscire dalla stoltezza di vivere e accumulare tutto per noi stessi, nell’illusione di assicurarci un futuro che non ci appartiene. E così ritrovare la gioia del progetto che Dio ha messo nella creazione e nel nostro cuore, quello di amare Lui, i nostri fratelli e il mondo intero, e trovare in questo amore la vera felicità». Per dire davvero «Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature».
Gigi Anataloni