Ricordi indelebili dal Mozambico
Un anno dopo il mio rientro, voglio dire un grosso grazie ai missionari e missionarie della Consolata. Sono un sacerdote della diocesi di Vercelli e dal 2002 al 2018 ho vissuto con loro in Mozambico, dove ho trovato già formazione ed animazione cristiana. Quando parlo dei missionari della Consolata è come se parlassi della mia famiglia. Ho vissuto a lungo a Maimelane, una missione da voi fondata. Lì ho trovato ancora tre suore della Consolata che dopo la rivoluzione sono ritornate per continuare l’evangelizzazione. E con esse ho appreso ancora meglio il vostro carisma. Sì, perché le suore erano sempre assistite dai padri che vivevano a Villankulo o a Mambone o a Massinga.
Quello che mi ha lasciato sbalordito è l’enorme lavoro fatto per fondare quelle missioni, sia lavoro manuale e che lavoro di evangelizzazione. Nelle due missioni in cui ho vissuto mi ha impressionato l’enorme costruzione della stupenda chiesa. Poi la costruzione delle aule per scuola e catechesi e anche un ospedale che però, appena finito, è stato nazionalizzato dal governo e ora giace abbandonato e cadente.
La presenza delle suore ha dato continuità alla vita della missione. Dopo la guerra tre suore sono rientrate a Maimelane e sr. Elisabetta Possamai ha riaperto le cinquanta cappelle sparse nella foresta formando, in cinque anni, almeno 250 catechisti di cui dodici, i più validi, sono diventati formatori dei futuri nuovi catechisti. L’altra suora, sr. Clemenzia, infermiera, aveva avuto in dono una motocicletta con la quale andava a casa degli ammalati ed aveva fondato un centro nutrizionale (dove i bambini ricevevano cibo e cure mediche).
Poi c’era sr. Florentina, la quale seguiva le donne insegnando a cucire, rammendare e tenere il decoro della chiesa, della loro casa e l’igiene dei figli. Ed al sabato riusciva a dare catechesi in lingua locale alle mamme.
Ho cercato in questi anni di conservare la vostra missione perché in essa vedevo un enorme lavoro fatto con competenza e fatica. I padri a Maimelane avevano pure fatto una piantagione di arance, mandarini e pompelmi. Una scelta fatta con oculatezza, perché non maturavano tutti allo stesso tempo ma a tempi alternati. Siamo riusciti a conservarne solo un centinaio di piante, perché il resto fu distrutto da anni di incuria e abbandono. Abbiamo anche rimesso in ordine un’enorme cisterna che serviva per recuperare acqua piovana per tutta la missione.
Dopo vari anni sono passato alla missione di Mangonha prima sede della missione Massinga. Anche lì era tutto nazionalizzato ed abbandonato. In quel periodo mi ha aiutato molto padre Arturo Marques con i suoi insegnamenti, orientamenti e memorie del passato, essendo stato uno dei tanti ad avervi servito. Lì ho riordinato la chiesa che era alquanto abbandonata, anche se i cristiani continuavano ad andarci per pregare. Ma era proprio ridotta male, diventata la casa dei pipistrelli, senza banchi o arredamento liturgico. Nel ristrutturarla abbiamo constatato che l’intelaiatura del tetto era fatta con enormi travi di palissandro. Parlando con padre Arturo mi disse che furono ricavate dalla foresta di Fughaloro (una delle prime missioni della Consolata in Mozambico). Le travi venivano portate sulle spalle da un centinaio di operai da oltre 120 km di distanza. Avevano costruito anche tre case: una per i missionari e due per le suore. Poi un dispensario e otto casette per la formazione dei catechisti che studiavano a Mangonha per due anni e dopo passavano a Guiúa, alla scuola per catechisti, per altri tre anni. Insomma, hanno dato un’impronta solida e meravigliosa dove essi sono passati. A Mangonha hanno pure fatto una enorme piantagione di palme da cocco, e aranci, limoni e pompelmi, tutto per alimentare se stessi e la popolazione, specie per i bambini. Poi avevano canalizzato l’acqua del fiume. Avevano fatto anche una vasca (che ho trovato ancora funzionante) per disinfettare le mucche, essendo quella una zona di pastori.
L’impronta dell’Allamano io sono riuscito a coglierla nel profondo. Certo erano tutti sacerdoti giovanissimi così pure le suore, per cui le fatiche non le misuravano. Nella gente ho trovato ancora forte la devozione all’Eucarestia e alla SS. Consolata. Tutto questo che vi ho descritto è la minimissima parte delle missioni che la Consolata ha aperto e della grande formazione e devozione che ancora ho trovato. Ringrazio il Signore di aver sperimentato un carisma così meraviglioso e travolgente. Poi non per ultimo lo stile di famiglia che ho scoperto in alcuni padri, come padre Tavares che mi ha seguito paternamente, e i padri Alceu (Agarez), Carlo (Biella), Gabriele (Casadei), Sandro (Faedi) e fratel Pietro (Bertoni) che non passavano mai da queste parti senza entrare nella missione per un saluto.
A me questi esempi umani, cristiani e sacerdotali mi hanno lasciato un grande desiderio di imitazione e di stima. Prometto che porterò sempre in me questi esempi così luminosi e caritatevoli ed umani per il mio apostolato in Italia. Ma devo dire che il cuore è nelle missioni e con i missionari e missionarie della Consolata.
Don Carlo Donisotti
16/02/2019
La formula padre Lerda
Rev. padre Gigi,
ho raggiunto una età, dove sono maggiori i ricordi, che le nuove aspettative. Nel cuore sono rimasti nove splendidi anni vissuti nell’Istituto Missioni Consolata, prima a Bevera (Co), poi a Varallo Sesia (Vc). Credo di ricordare quasi tutti i volti di padri, suore, assistenti e compagni. Usando le parole di papa Francesco, dette il 1° novembre, posso dire di aver avuto al fianco molti veri «santi poveri», di quelli che non si arrampicheranno mai sulle colonne del Bernini.
Non ebbi il loro coraggio e la loro fede. Sono uscito, ho lavorato, ho formato una bellissima famiglia e, ora, mi trovo nonno a tempo pieno, con una nipotina di tre anni e mezzo e due gemellini di 15 mesi. Ho un nodo di riconoscenza, che vorrei alleggerire.
Per mitigare la lacuna, ho provato a dedicare a padre Attilio Lerda (1929-2011), mio professore di matematica (e con lui, a tutti coloro che hanno cercato di insegnarmi, non solo a usare penna e calamaio, ma anche un modo di vita) la formula principale, almeno così la ritengo, di una ricerca matematica, sia pure modesta, che ho completato dopo otto duri anni di lavoro da pensionato e dopo 45 anni di abbandono dei libri.
Sono tre formule. La prima, che dovrebbe individuare se un numero è numero primo, l’ho dedicata alla mia nipotina Matilde. La seconda, che costruisce e dà ordine logico a tutti i numeri primi, l’ho chiamata «formula padre Lerda» ed è ovviamente dedicata a lui. La terza, che individua i fattori primi di tutti i numeri, l’ho chiamata «procedura Gemelli», dedicandola ai miei nipotini di 15 mesi, gemelli appunto.
Era il minimo che potessi fare.
Non mancherò di inviarle una mia povera preghiera, ma non si dimentichi di ricordare i miei tre piccolini alla Madonna Consolata.
Ferruccio Vitali
Alzano Lombardo (Bg), 20/02/2019
Penetrare il mistero di Cristo
Caro padre Gigi, ho letto il primo intervento del nuovo biblista, Angelo Fracchia, padre di famiglia e docente. Sono rimasto ammirato dalla sua capacità di rendere semplici anche le cose più complicate come è la Scrittura, almeno nella sua parte letteraria e quindi anche gli Atti degli Apostoli. Un plauso e una bellissima occasione per i lettori di MC che meritano particolare attenzione. Angelo Fracchia può aprire infinite porte e aiutare tanti a penetrare sempre di più il «mistero di Cristo» che è la Parola/il Lògos.
Leggerò mensilmente con atteggiamento spirituale quanto il servo della Parola «Angelo-Messaggero» e quindi «evangelizzatore» ci proporrà per ispirazione dello Spirito.
In un tempo come il nostro in cui l’Africa, depredata da secoli dall’Occidente, è ripudiata come il Lazzaro del Vangelo (Lc 16,19.31), la rivista MC è la migliore informatrice dell’Africa sull’Africa e del mondo. Essa è in se stessa la forma più vera di evangelizzazione dell’occidente che ha dimenticato il proprio passato e da dove derivano le proprie ricchezze che inesorabilmente perderà perché incapace di condividerle con i figli e le figlie di Dio.
Come lettore attento e fedele, vi sono grato, vi sono vicino e prego con voi e per voi come anche invoco lo Spirito sul nuovo biblista Angelo e sui Lettori e Lettrici ai quali va il mio abbraccio e il mio augurio di una vita nel Signore.
Paolo Farinella, prete
01/02/2019
Padre Giordano Rigamonti
Tre parole per
Tre parole descrivono la vita di padre Giordano Rigamonti: missione, sogno, laici. Parole divenute subito ideali, scelte, fatti.
Missione: sentirsi inviati dalla Provvidenza ad annunciare a tutti un messaggio di speranza, di audacia, di misericordia.
Sogno: «sognare in grande», sapendo che tu sei fatto ad immagine di Dio, da Lui coronato di «onore e gloria».
Laici. No, non si escludono i preti e i frati, né i conventi né gli episcopi. Ma i laici hanno una marcia: la concretezza, l’aderenza alla storia.
Missione, sogno, laici: realtà che si arricchiscono a vicenda, che hanno arricchito padre Giordano e quanti lo hanno avvicinato.
Abbiamo iniziato con i «Convegni Missionari Nazionali», con circa 400 giovani provenienti dall’intero stivale italiano. Poi i «Viaggi di Conoscenza in Missione», le «Mostre Missionarie», le «Campagne» per la «mucca per l’indio», contro la Coca, l’Alcool. Poi, poi… E tu ti trovavi accanto a professori, magistrati, primari, politici. E tanti missionari.
Ti sentivi accanto soprattutto lui, Giordano, missionario della Consolata esigente… perché sapeva che tu potevi dare molto per la missione. Tu, ti sei tirato indietro?
Padre Francesco Bernardi
per gli 80 anni di padre Giordano, 30/04/2018
Carissimo p. Giordano
Mentre mi accingo a scriverti mi vengono alla mente tantissimi ricordi legati a te, d’altra parte per anni abbiamo passato dalle otto ore in su a lavorare fianco a fianco!
Al primo incontro mi eri stato subito «antipatico» … Ero arrivata da te con cinque amici per andare a fare un campo di lavoro in Congo, allora Zaire. Noi (che non sapevamo neanche dell’esistenza dei missionari della Consolata) pieni di energia, grinta ed entusiasmo… tu che subito ci avevi smontato dicendo che le cose andavano fatte bene, con una preparazione lunga e precisa sia a livello individuale che di gruppo con sensibilizzazione missionaria nelle parrocchie, nella città dove vivevo… e di lì è iniziato il tutto.
Campo di lavoro in Congo forte e stupendo, e mille agganci con persone che si appassionarono alla missione e la tua richiesta, a me, di lavorare per il Centro di Animazione Missionaria di Torino (Cam) appena iniziato e che tu dirigevi!
Quante iniziative hai promosso e portato avanti… I mitici Convegni missionari giovanili per tutta Italia, primi nel loro genere, che portavano a Torino 400 e più giovani appassionati alla missione; i campi di lavoro e di formazione in Italia e all’estero nei quali i partecipanti vivevano realmente «il mettersi a servizio».
I viaggi di conoscenza in missione per gruppi di persone che volevano vedere il Kenya, il Tanzania in un modo non turistico. Ricordi il primo che facemmo in Kenya? Avevamo 45 persone da portare di missione in missione e tu con tutti riuscivi a essere disponibile e attento.
I corsi di formazione missionaria, le mostre missionarie, le campagne missionarie, eri un vulcano di idee.
Avevo il terrore quando mi chiedevi «che impegni hai per stasera?», perché già sapevo che non si sarebbero contate le ore che sarebbero passate per organizzare, preparare, pensare a iniziative a favore della missione. Tu con le tue segreterie allargate…
Eppure, in tutto questo bailamme riuscivi ad essere vicino alle persone nella quotidianità e negli eventi della vita, come molte volte hai fatto con me e la mia famiglia nei momenti belli e nei momenti tristi.
Quando al mattino arrivavo in ufficio, da come mi stavano i capelli mi dicevi di che umore ero… Avevi la capacità di entrare in sintonia!
Ricordi? I giovedì comunitari con i giovani, le messe, le cene condivise.
E quando si facevano le macchinate e si partiva all’alba per le giornate missionarie per sensibilizzare la gente e si tornava a sera inoltrata? Noi giovani distrutti e tu che ancora sfornavi idee! Tutto entusiasmante e anche sfinente… non c’era tregua… ma almeno c’era vitalità, vitalità per il sogno in cui credevi di una missione qui e là con un ponte infinito fatto di persone. Non ti fermava nulla. Nessun rifiuto, nessuna problematica, in qualche modo riuscivi a catalizzare le persone attorno a te e farti dire sì nelle attività che volevi portare avanti. Non ti fermava neanche la salute che già all’epoca non era proprio delle migliori. In tutto mettevi la passione per la missione e la Madonna Consolata che sempre hai tenuto presente in ciò che facevi.
Poi sei andato a Roma. Non eri più il mio capo, mentre io ho continuato a lavorare al Cam (e ora Missioni Consolata Onlus) e poi a Rivoli dove hai portato avanti altri mille progetti con l’Associazione Impegnarsi Serve.
Non ho più potuto condividere personalmente le varie iniziative, ma sapevo che nulla era cambiato. Il padre Giordano che conobbi 37 anni fa era uguale: pieno di grinta, carica e passione missionaria.
Ora smetto con i ricordi per non stufarti, ne sto dimenticando tanti e soprattutto mi sta venendo un po’ il magone. Ti ho scritto, caro p. Giordano, per ringraziarti. Sì, per dirti un grazie davvero grande per ciò che sei stato nella mia vita, perché mi hai fatto appassionare alla Missione, mi hai fatto conoscere realtà che mai mi sarei sognata di vedere, perché mi hai aperto gli occhi e il cuore a un mondo senza confini.
Sicuramente ora starai programmando qualche incontro in cielo e qualche riunione… e mi raccomando non dimenticarti di noi!
Ciao p. Giordano
Antonella Vianzone
Torino, 11/02/2019
In Madagascar perché siamo missionari ad gentes
È proprio nel dies natalis dell’Istituto che la Consolata ufficialmente è arrivata in Madagascar, isola rossa, la quarta isola più grande del mondo. Alle ore 13:40, (ora locale) del giorno 29 gennaio 2019, all’aeroporto di Nosy Be, l’aereo è atterrato. E così è iniziata ufficialmente l’avventura dei missionari della Consolata in questa terra.
Ad attendere l’arrivo di padre Godfrey Msumange, consigliere generale della Consolata per il continente dell’Africa, a nome dell’istituto, c’erano rappresentanti di tutta la chiesa locale: il vescovo, il vicario, i sacerdoti, i religiosi ed i laici. Nella santa messa celebrata la sera dello stesso giorno nell’isola di Nosy Be, padre Godfrey ha annunciato ufficialmente l’apertura dell’istituto in Madagascar. «È significativo che questo accada proprio il 29 gennaio. Infatti, esattamente 118 anni fa nasceva l’istituto dei missionari della Consolata. È lo stesso fondatore che oggi vuole che nasca questa avventura missionaria qui nell’isola rossa, Madagascar», ha sottolineato.
La nostra presenza per il momento sarà nella diocesi di Ambanja. Per circa un anno, i tre missionari incaricati di questa apertura impareranno la cultura ed in modo speciale la lingua malgascia, ospiti del vescovo mons. Rosario Vella, salesiano. E lungo l’anno si sceglierà una delle missioni tra le due individuate: Beandrarezina e la periferia della città di Antsohihy. I protagonisti, che per questioni burocratiche non hanno ancora potuto partire per il Madagascar, ma che partiranno a breve, sono di tre nazionalità diverse. Si tratta di padre Kizito Mukalazi, dalla diocesi di Masaka in Uganda, che prima lavorava in Kenya, padre Jean Tuluba, dalla diocesi di Wamba, in RD Congo, che prima lavorava nell’Amazzonia in Brasile, e padre Jared Makori, dalla diocesi di Kisii in Kenya, alla sua prima destinazione.
I tre iniziano questa missione dopo un anno di preparazione, che ha avuto il suo culmine il 27 gennaio presso la parrocchia di Kahawa West, dove hanno ricevuto il loro mandato missionario.
Perché iniziare l’avventura missionaria in Madagascar? È una delle domande che tanti si fanno. Semplicemente perché siamo cristiani, consacrati alla missione, ed alla missione ad gentes secondo lo stile consolatino. La nostra vocazione come cristiani, e ancora di più, come consacrati alla missione, è quella dell’annuncio.
Se la notizia è buona, perché trattenerla per noi stessi? È fondamentale condividerla. È nel nostro Dna condividere, annunciare la buona novella soprattutto in quegli ambienti dove non è ancora arrivata, dove la vita vale meno, dove il donatore della vita Gesù Cristo è sconosciuto. E per noi missionari della Consolata, consacrati alla missione, questo è un dovere assoluto. Guai a noi se non annunciamo il Vangelo (1 Cor 9:16).
La zona dove lavoreremo è un territorio ad gentes. Su 100 persone solo otto sono cristiani. E di più come fanno vedere le statistiche, il Madagascar è uno dei paesi più poveri del mondo.
I missionari della Consolata in Madagascar hanno come loro patrona, la beata Sr. Leonella Sgorbati, suora missionaria della Consolata, martire che nella sua vita ha saputo amare senza misura. È stata beatificata l’anno scorso a Piacenza in Italia.
Baba Godfrey Msumange
da Nairobi, 21/02/2019