Testo e foto di padre Jaime C. Patias
Warao, accampati in una piazza di Boa Vista
«Abbiamo bisogno di aiuto. Stiamo dormendo in piazza. Non possiamo entrare nel rifugio». Questa richiesta di aiuto viene dal giovane indigeno warao Jean Luís Jimenez, ed è inviata da Boa Vista, Roraima, a padre Vilson Jochem, missionario del Consolata a Caracas. Jean Luís è uno dei 3 milioni di immigrati che hanno lasciato il Venezuela per i paesi limitrofi.
A seguito di questa richiesta, andiamo al quartiere Pintolândia, a Ovest della città, dove si trova il rifugio destinato agli indigeni, e vi troviamo fuori 17 Warao, nove adulti e otto bambini accampati in Plaza Augusto Germano Sampaio. Due giorni dopo, gli indigeni sono già 30, con 17 bambini sotto i 12 anni. Il rifugio può ospitare fino a 665 indigeni e non riceve nessun altro.
La nostra attenzione è richiamata da Mardelia Rattia, 25 anni, arrivata qui con cinque bambini, compreso un piccolo di due mesi: «La nostra situazione è difficile. Penso ai bambini», ci dice Mardelia preoccupata. Vuole continuare il viaggio e raggiungere Manaus (nello stato brasiliano di Amazonas), dove si trova già sua suocera con altri parenti.
Malato e indebolito, Jean Luís è stato ammesso all’ospedale generale di Roraima, che è anch’esso pieno di gente. «Qui almeno sto meglio che in piazza», osserva sdraiato su una barella nei corridoi accanto a diversi pazienti, molti dei quali venezuelani. Quando lo dimetteranno sarà lui a essere nuovamente in strada.
L’insicurezza della piazza
Il 18 gennaio, di notte, alcuni soldati dell’esercito che sono i responsabili della struttura e della sicurezza nei rifugi, passano nella piazza e abbordano alcuni Waraos dicendo che non possono più dormire lì. La minaccia spaventa tutti. La sera del 19 andiamo sul posto per evitare una possibile ritirata. Dopo aver dialogato con i rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), responsabili della protezione dei profughi, i Warao hanno ricevuto la garanzia di poter continuare a restare nella piazza. Durante la notte i soldati arrivano in due auto, ma non si avvicinano al gruppo. In ogni caso la situazione è insicura per i Warao, ed è per questo che è urgente trovare una soluzione.
Tra gli immigrati ci sono diversi professionisti qualificati, come da dottoressa Fiorella Lisenni R. Blanco, Warao arrivata qui con un bambino, una sorella insegnate e un fratello formato in diritti umani. Lei improvvisa consulenze con coloro che hanno bisogno e organizza un registro del gruppo. «Perché il Brasile offre un’accoglienza di questo tipo? Senza un dignitoso benvenuto? Stanno minacciando di buttarci fuori dalla piazza», dice Fiorella. Le popolazioni indigene godono dei diritti garantiti dalla costituzione e dalle leggi internazionali. Inoltre, gli antropologi ricordano che i Warao dovrebbero poter esercitare la libertà transfrontaliera di andare e venire grazie a una base culturale che storicamente precede la nascita delle due nazioni Brasile e Venezuela.
Pablo Mattos, del coordinamento dell’Unhcr a Boa Vista, spiega che «la decisione di creare nuovi rifugi è una responsabilità del governo brasiliano». L’Unhcr monitora i flussi migratori, sostiene l’accoglienza nei rifugi e l’integrazione. Per quanto riguarda i Warao, Mattos s’impegna a proseguire la ricerca di soluzioni in dialogo con le istituzioni coinvolte nel lavoro.
Il problema non è di oggi. Un rapporto pubblicato nel giugno 2018 dalle Nazioni Unite ha fatto 35 raccomandazioni per garantire i diritti degli indigeni venezuelani su tre assi: i diritti universali, i diritti dei migranti, e i diritti specifici dei popoli indigeni. Essi devono essere trattati come immigrati, ma soprattutto come indigeni. Secondo i dati della Ong Fraternidad Humanitaria Internacional, almeno 957 Warao e E’ñepá sono accampati nelle città di Pacaraima e Boa Vista. Hanno viaggiato più di 900 chilometri su una strada rischiosa.
Il posto di registrazione offre diversi servizi di documentazione e indirizza verso i rifugi e il programma di integrazione. Gli immigrati ricevono sostegno dalle istituzioni in altri sei luoghi diversi per fare i documenti. È evidente la carenza di posti nei rifugi. Tutti i lunedì sono disponibili solo 40 posti a fronte di una richiesta di oltre 200. Il 14 gennaio, dopo aver camminato per almeno 8 km fino al primo posto di identificazione, un gruppo di Warao è dovuto tornare in piazza senza aver ottenuto niente.
La squadra di emergenza dei missionari itineranti
Dopo una pausa, il team missionario itinerante dei Missionari della Consolata ha ripreso le sue attività il 12 gennaio 2019. I padri Luiz Carlos Emer (missionario impegnato in brasile), Jaime Carlos Patias (della direzione Generale dell’IMC) e Manolo Loro (impegnato in Amazzonia) fanno parte del secondo gruppo. La priorità del gruppo è quella di accompagnare le persone più vulnerabili e gli indigeni warao originari della regione del Delta Amacuro in Venezuela, dove ci sono i missionari del Consolata. «Il poco che possiamo fare ora è già molto per alleviare la sofferenza di coloro che hanno lasciato tutto per sopravvivere», dice p. Luiz Emer tornando da una visita al gruppo indigeno.
Il team sostiene e indirizza le varie situazioni agli organismi competenti, sapendo che non è possibile risolverle tutte. Ciò che conta sono gli atteggiamenti evidenziati da Papa Francesco: «Accoglienza, protezione, promozione e integrazione».
La diocesi di Roraima con i suoi pastori, parrocchie e congregazioni come le suore Scalabriniane, San Giuseppe di Chambéry, la Madonna Addolorata, le figlie della carità, le missionarie dei Consolata, i gesuiti, i Maristi, tra gli altri, prestano diversi Servizi.
Per il vescovo di Roraima, Monsignor Mário Antônio, oltre alla logistica, «vediamo la necessità di accoglienza da parte delle Comunità attraverso l’integrazione tra la popolazione locale e i venezuelani, nuovi residenti che vengono con la prospettiva di una nuova vita. Hanno il diritto di arrivare e noi abbiamo il dovere di accogliere, promuovere, proteggere e integrare», ricorda il vescovo. «Vogliamo che le nostre comunità cerchino di integrare gli immigrati nelle celebrazioni in Portoghese, spagnolo o in lingua indigena. Vedo la migrazione come un’opportunità per vivere il Vangelo: amatevi l’un l’altro, come li ho amati», ribadisce Monsignor Mário.
José Miguel Pinto e sette altri amici e familiari, due donne e due bambini, è venuto a piedi da Pacaraima, 215 km da Boa Vista. Quando sono arrivati al posto di servizio della parrocchia Nostra Signora Consolata mostrano le ferite sulle piante dei piedi e le scarpe rotte. Come tanti altri, di notte il gruppo dorme sul marciapiede in una delle strade vicine al terminal degli autobus. Il numero dei migranti nelle vie e nelle piazze impressiona. José Miguel dice che una notte la polizia è passata e ha cacciato tutti. Questo è il clima di insicurezza che molti di loro vivono.
Il secondo mandato di Maduro aggrava la crisi
Con l’inizio del secondo mandato del presidente Nicolas Maduro, la cui elezione è contestata, e che non è riconosciuta dal Parlamento venezuelano e da vari paesi e organizzazioni internazionali, la crisi in Venezuela sta peggiorando. La previsione è che il flusso migratorio aumenterà. Nel frattempo, cresce anche la pressione su Maduro. In Boa Vista, uno striscione appeso su un viale chiede la fine del regime e il sostegno per il leader dell’opposizione, il Presidente dell’Assemblea nazionale, Juan Guaidó perché diventi il presidente del paese.
La situazione di vulnerabilità aumenta il rischio di sfruttamento, consumo di stupefacenti, furto, insicurezza, fame e malattie in una popolazione già minacciata dalla migrazione. Con così tante persone senza occupazione e luogo per vivere, aumenta la tensione sociale. La recente visita di cinque ministri governativi alla città di Boa Vista ha ratificato la prosecuzione dell’operazione di accoglienza e internalizzazione.
I dati della Polizia federale mostrano che 85.000 venezuelani hanno cercato rifugio in Brasile dal 2015. Le stime del IBGE sottolineano che più di 30.000 sono attualmente in Roraima.
Jaime C. Patias, IMC, consigliere generale per l’America.