Sorella morte

La tomba di fratel Mukiri (Giuseppe Argese) a Mukululu

Così san Francesco chiamava la morte, sorella. Come ha chiamato sorella l’acqua, ma mentre le sue parole sull’acqua, sul sole e la natura sono diventare patrimonio comune, immortalate in bellissimi canti, la sua affettuosa familiarità con la morte non ha fatto presa. La morte è più matrigna cattiva che sorella. Eppure la morte è parte del vivere.
Un giorno, una signora che ha fatto l’ostetrica per tutta la vita, mi ha raccontato che alla prima lezione di ostetricia l’insegnante aveva detto: «Ricordatevi che si nasce per morire». Non se l’aspettava, perché era là per imparare ad accogliere la vita, ma con quella frase l’insegnate aveva, quasi banalmente, collocato la morte al suo posto naturale.

Non sono in vena di pensieri tristi, anche se novembre è associato alla morte e alla visita ai cimiteri, ma oggi il pensiero della morte non mi dà né tristezza né ansia. Anzi, al contrario, il pensiero della morte mi stimola a vivere meglio e con maggiore intensità una vita degna di questo nome.

Ogni momento come se fosse il primo, ogni momento come se fosse l’ultimo. Con intensità e scopo, senza ansia o frenesia. Gustandolo, perché «ora» è il momento più bello possibile. Senza sprecare tempo nell’attesa del giorno fortunato, dell’occasione, della situazione ideale. Questo momento è un dono unico. È un dono, non un peso, da vivere facendo le «opere belle» che rendono gloria a Dio (cfr. Mt 5,16), scegliendo cioè «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode» (Fil 4,8). Vivere al massimo, ora, senza aspettare domani, prepara a morire per andare nelle «buone mani» di Dio. Mani sulle quali è scritto il mio nome.

Sorella morte, grazie perché sei un invito a vivere. E a vivere «bene» e in «bellezza». Anche se non è facile. Ci sono giorni di grande fatica in cui sembra che il sole non sorga. Giorni in cui ti guardi intorno e vedi gente senza gioia vivere con aggressività, con atteggiamenti autolesionisti, senza amore, senza un sorriso, senza speranza. Gente incapace di guardare in alto, presa com’è dai suoi traffici, dai suoi interessi, dalle sue paure. E ti sembra che i tuoi sforzi «per un mondo migliore» siano inutili. Ti domandi «chi me lo fa fare?». Ti verrebbe la voglia di chiuderti in te stesso, di smetterla di preoccuparti per gli altri, eterno Don Chisciotte che lotta contro «i mulini a vento». E senti forte il peso della solitudine.

Ma tutto cambia se proprio nei giorni bui incontri un volto sorridente e una faccia amica, se hai attorno a te persone che condividono i tuoi stessi sogni, un gruppo, una comunità di fede e di amore che guarda nella stessa direzione.

Avere una comunità che ascolta la stessa Parola, celebra la stessa Speranza, vive la stessa Carità, brucia della stessa Fede. Con la quale ridere e piangere, pregare e amare, lottare e sognare. Che ti carica sulle spalle quando sei stanco o quando cadi e ti chiede il meglio di te quando sei forte. Una comunità dove si cammina insieme e ognuno dona quello che è, senza arrivismi e competizioni. Un «popolo» che fa esperienza di esodo passando dall’essere un branco di «belve» a una famiglia di «uomini».

Tutto cambia quando incontri una comunità che è Chiesa, una Chiesa che è comunità.

Sorella morte, quanto vorrei che tu fossi per ciascuno di noi una vera maestra di vita, e non, come succede spesso, una scusa per diventare egoisti, attaccati alle nostre cose, arroccati nel nostro io, timorosi di tutti, chiusi nel nostro «particolare». Insegnaci a vivere con intensità e amore ogni attimo, qui e ora, costruendo relazioni di fraternità con chi cammina con noi, accettando la nostra debolezza e quella degli altri, costruendo ponti e abbattendo muri e barriere, curando questa casa che ci è stata affidata perché sia il posto sempre più bello in cui vivere insieme nell’attesa.
Aiutaci ad essere pronti a nascere alla Vita. Tu che sei la porta della luce, facci entrare nel giardino di pace e armonia nel quale, carichi solo dell’amore donato, come bambini finalmente ci buttiamo nelle braccia del Padre che tanto ci ama e ha preparato per noi la festa più bella.

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