Indagine sulla maternità surrogata


Una donna si assume l’onere della gravidanza e del parto per altre persone alle quali poi consegnerà il neonato. È la pratica della «maternità surrogata», nota anche come «gestazione per altri» (Gpa) o «utero in affitto». Un fenomeno in crescita, ma vietato (per varie ragioni) in molti paesi, tra cui anche l’Italia in base alla legge 40 del 2004 sulla «fecondazione assistita» di cui la Gpa è un’estensione.

Nel mondo della globalizzazione c’è un fenomeno in crescita: quello della maternità surrogata o «gestazione per altri» (Gpa) o, in termini meno eleganti, «utero in affitto». In pratica la Gpa è un’estensione della fecondazione assistita, dove però la donna che si assume l’onere della gravidanza e del parto (madre surrogata) lo fa per altri, ai quali si impegna, in seguito a un vero e proprio contratto, a consegnare il neonato dopo la nascita. In questo caso nella futura gestante vengono impiantate blastocisti (embrioni di 5-6 giorni concepiti in vitro), che possono essere frutto della fusione di ovociti e spermatozoi (gameti femminili e maschili) della coppia richiedente (veri genitori biologici), oppure di gameti acquistati da donatori, nel caso la gravidanza sia richiesta da coppie che non riescono a produrne, oppure da coppie omosessuali o da single.

Secondo i dati del 2016 delle maggiori cliniche americane specializzate nel settore, negli Stati Uniti, su dieci gravidanze surrogate, sette sono commissionate da coppie eterosessuali e tre da coppie omosessuali oppure da single. Per quanto riguarda le coppie eterosessuali, non si tratta sempre di coppie con difficoltà a procreare. Soprattutto tra vip facoltosi, si ricorre alla maternità surrogata per non interrompere una brillante carriera o per evitare di stressare il proprio corpo, lasciando le fatiche della gravidanza e del parto a una donna appositamente pagata. Questa tecnica, nel caso di gameti propri, dà la certezza della paternità, argomento che da sempre sta a cuore agli uomini, che in tal modo sono certi che il neonato è loro figlio. Tra i personaggi più famosi che sono ricorsi alla maternità surrogata ci sono le attrici Nicole Kidman e Sarah Jessica Parker, tra gli attori Robert de Niro (due figli), Miguel Bosé (due coppie di gemelli), il cantante Elton John, il regista George Lucas, il calciatore portoghese neojuventino Cristiano Ronaldo, tra gli italiani Nichi Vendola, leader di Sel.

Paesi, leggi, costi

La Gpa è legalmente praticabile solo in alcuni paesi. È legale in 8 stati degli Stati Uniti (California, Colorado, Texas, Massachusetts, Connecticut, Utah e Florida) e inoltre in India, Russia, Ucraina, Georgia, Messico, Brasile, Guatemala, Ecuador, Bolivia, Haiti, Sudafrica, Thailandia e in quasi tutto il Sudest asiatico, mentre l’Argentina sta valutando se renderla legale. Nel Regno Unito e in Canada, la Gpa è permessa solo in forma altruistica, quindi è vietata la maternità commerciale, mentre in Grecia sono necessarie prove mediche che confermino l’impossibilità per le donne di una gestazione autonoma per potere accedere a tale pratica, al cui accesso sono esclusi i gay. In Belgio e Olanda è obbligatorio il legame biologico tra coppia committente e neonato.

La Gpa è invece vietata in Italia, Francia, Germania, Spagna, Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia.

Per quanto riguarda i costi, spesso mascherati come rimborso delle spese mediche per la gestante e legali per la trascrizione dell’atto di nascita del neonato (in realtà sovente per la produzione di documenti falsi, in cui si dichiara che la gestazione e il parto della donna committente si sono svolti in loco), c’è una grande variabilità: si va dall’equivalente di 130mila-210mila euro degli Stati Uniti (il costo aumenta se il parto è gemellare), dove il neonato acquisisce la cittadinanza statunitense e il certificato di nascita presenta il nome dei genitori riceventi, che possono anche essere gay o single, ai 30mila euro di Grecia (dove però i genitori riceventi devono prendere casa per la procedura e, come detto, sono esclusi i gay) e Russia, ai 20mila euro dell’Ucraina e ai 15mila euro equivalenti dell’India. Dal punto di vista del riconoscimento giuridico del neonato in Italia, la scelta del paese in cui si svolgerà la maternità surrogata è fondamentale, perché negli Stati Uniti e nel Canada i neonati hanno cittadinanza e passaporto statunitensi o canadesi e non ci sono problemi di trascrizione dei loro certificati di nascita al momento del loro ingresso in Italia.

Il neonato e il rientro in Italia

Chi invece va in Russia o in Ucraina avrà un figlio senza cittadinanza, quindi per uscire dal territorio in cui è nato sarà necessaria un’autorizzazione del Consolato. In questo frangente, se viene sospettata la pratica dell’utero in affitto, possono essere fatte segnalazioni alla magistratura italiana, che può procedere penalmente nei confronti delle coppie committenti per «alterazione dello stato di nascita», reato punibile con pene tra 3 e 10 anni di reclusione. Questo perché in Italia la legge 40 del 2004, che regola la fecondazione assistita, all’articolo 12 dice: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni e con la multa da 600mila a un milione di euro». Questa legge, nel corso degli anni ha subito diverse modifiche. Secondo il testo originario, la fecondazione assistita nel nostro paese era riservata solo a coppie sterili, formate da maggiorenni di sesso diverso, coniugati o conviventi, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi. Nel 2015 una sentenza della Corte costituzionale ha reso illegittimo il divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita (Pma) alle coppie portatrici di malattie genetiche trasmissibili, che prima di questa sentenza potevano solo interrompere la gravidanza di un feto malato, ma non potevano accedere alle tecniche di Pma e di diagnosi pre-impianto. Quest’ultima, nel testo originario era vietata, mentre oggi è consentita sia per le coppie sterili che per quelle portatrici di malattie genetiche o cromosomiche trasmissibili, al fine di impiantare in utero solo gli embrioni sani. Nel 2009, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, la legge 40 è stata modificata anche per quanto riguarda il numero di embrioni prodotti (inizialmente non più di tre) e l’obbligo di impiantarli tutti contemporaneamente (con un’elevata probabilità di parti plurigemellari). Attualmente possono essere prodotti più di tre embrioni per ogni ciclo di fecondazione assistita e non è necessario trasferirli tutti contemporaneamente, ma è prevista la crioconservazione degli embrioni non impiantati.

Rosanna Novara Topino
(prima puntata – continua)


Glossario

Dalla richiesta al bambino: un’immagine esplicativa usata dal sito della clinica indiana Lotus Kiran. Si noti come i soggetti abbiano tutti fattezze bianche e occidentali.

Blastocisti: fase dell’embriogenesi che va dal quarto al quattordicesimo giorno di vita dell’embrione.

Crioconservazione: si tratta della conservazione, dopo congelamento, degli embrioni prodotti con fecondazione assistita e non trasferiti in utero, presso apposite biobanche autorizzate. La temperatura di conservazione degli embrioni, nonché di ovociti e di spermatozoi è di -196°C.

Diagnosi preimpianto: o Pgd o Pgt (Preimplantation genetic diagnosis o testing): si tratta di due distinti gruppi di test, che permettono di verificare la presenza di anomalie genetiche o cromosomiche nell’embrione prima del suo impianto in utero mediante il prelievo di alcune sue cellule, oppure di verificare la presenza di anomalie nel Dna dei genitori. I due gruppi di test si distinguono tra:

  • quelli che valutano la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche, di cui una coppia sia fertile che infertile può essere portatrice e trasmettere ai figli;
  • quelli che valutano la mappa cromosomica di embrioni prodotti durante la procreazione medicalmente assistita per coppie infertili. In questo caso si tratta di screening genetico preimpianto o meglio di diagnosi genetica preimpianto per aneuploidie (pgt-A per anomalie del numero dei cromosomi).

L’accesso a questa tecnica era consentito dalla legge 40 solo alle coppie infertili. Nel 2015 la Corte costituzionale l’ha reso possibile anche alle coppie fertili potenzialmente portatrici di una malattia genetica come la talassemia, l’emofilia, la fibrosi cistica, la distrofia muscolare, la sindrome dell’X-fragile oppure di qualche malattia cromosomica. Gli embrioni, che a seguito di questo test risultano problematici, vengono congelati e conservati nel centro della Pma.

Epigenetica: è una recente branca degli studi genetici, che si occupa dell’influenza dell’ambiente sulla espressività dei geni. In pratica si occupa dei cambiamenti che influenzano il fenotipo (le caratteristiche individuali) dovuti all’ambiente esterno, senza alterare il genotipo (il patrimonio genetico).

Fecondazione post-mortem: fecondazione dell’ovocita di una donna con il seme del partner defunto. In Italia tale pratica è vietata dalla legge 40 del 2004.

Disegno di un gamete maschile (spermatozoo) e di un gamete femminile (ovocita).

Gameti: ovociti o gameti femminili e spermatozoi o gameti maschili. Sono le cellule mature della linea germinale, che si differenziano da tutte le altre cellule del corpo (cellule somatiche), perché il loro nucleo contiene la metà dei cromosomi della specie (corredo aploide).

Legge 40 / 2004: è la legge che contiene le «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita» (ne parleremo nella prossima puntata).

Madre biologica: la donna donatrice dell’ovocita, che può coincidere con la donna committente oppure no, nel caso questa sia sterile.

Madre sociale: è la donna committente, che può anche essere la madre biologica e che si occuperà della crescita e dell’educazione del bambino.

Madre surrogata: la donna, nel cui utero viene impiantato l’embrione ottenuto con fecondazione assistita, appartenente a una coppia committente. Essa si impegna a portare a termine la gestazione e a cedere il neonato alla coppia committente dopo il parto. Si impegna inoltre per contratto a fornire anche il proprio latte.

Malattie cromosomiche: sono la conseguenza dell’alterazione del numero dei cromosomi (aneuploidia). La più diffusa è la trisomia 21 o sindrome di Down dovuta alla presenza di un cromosoma 21 sovrannumerario.

Malattie genetiche: tutte le patologie che si originano da mutazioni genetiche verificatesi durante la vita fetale e che possono interessare uno o più geni. Tra le più frequenti malattie genetiche ci sono la fibrosi cistica, la corea di Huntington, la distrofia muscolare di Duchenne, l’anemia a cellule falciformi, la talassemia.

Mappa cromosomica (e il sesso del nascituro): è detta anche cariotipo ed è un metodo diagnostico, che permette lo studio dei cromosomi. Può essere impiegato come esame preconcezionale per verificare la presenza di eventuali malattie trasmissibili dai partner, oppure sull’embrione come diagnosi preimpianto, oppure a gravidanza già iniziata, a seguito di amniocentesi o di villocentesi. Basta prelevare poche cellule, nel caso della diagnosi preimpianto o della villocentesi (o liquido amniotico nell’amniocentesi) oppure un campione ematico dei partner. Le cellule ottenute dai campioni vengono messe in terreno di coltura e fotografate durante la mitosi. In tal modo si ottiene l’immagine dei cromosomi (costituiti da Dna e nucleoproteine e contenenti i geni). Tali immagini vengono allineate per dimensioni e forma, in modo da ottenere la sequenza dei 46 cromosomi (23 coppie) del cariotipo umano. Spesso si utilizza un particolare mezzo di contrasto, che permette la bandeggiatura dei cromosomi, cioè la formazione di bande colorate in punti precisi, al loro interno. Dall’analisi della forma dei cromosomi e della presenza o meno e dello spessore delle bande è possibile rilevare la presenza di malattie trasmissibili. Dalla semplice forma dei cromosomi è – inoltre – possibile stabilire il sesso del nascituro: se sono presenti i cromosomi XX si tratta di una femmina, se presenti gli XY si tratta di un maschio.

Maternità surrogata altruistica (versus commerciale): è la forma di maternità surrogata permessa in alcuni paesi come il Regno Unito, in cui è previsto che alla madre surrogata vada solo un rimborso spese legate alla gravidanza. La madre surrogata quindi non può trarre vantaggi economici, a differenza di quanto avviene nella maternità surrogata commerciale.

Procreazione medicalmente assistita (Pma): insieme di trattamenti per la fertilità consistenti nel favorire la fusione di ovociti (gameti femminili) e di spermatozoi (gameti maschili), cioè la fecondazione. Queste tecniche permettono il concepimento per le coppie che non possono ottenerlo spontaneamente.

Tali tecniche sono suddivise in tre livelli:

  • 1 livello: consiste solo in una fecondazione «aiutata», immettendo direttamente in utero il seme del partner, dopo avere per esempio selezionato gli spermatozoi in base alla loro motilità, al loro aspetto, ecc.. Si può eseguire con ciclo spontaneo della donna o mediante stimolazione farmacologica dell’ovulazione;
  • 2 e 3 livello: c’è una prima parte di produzione dell’embrione in vitro (Fivet e Icsi, sotto la descrizione) e successivamente (terzo livello) l’impianto in utero.

Le tecniche sono le seguenti:

  • Fivet (fertilizzazione in vitro con embryo transfer) o Ivf (in vitro fertilization). Tale tecnica prevede la stimolazione dell’ovaio a produrre ovociti, il loro prelievo chirurgico, l’inseminazione in laboratorio e la successiva fecondazione, lo sviluppo degli embrioni in mezzo di coltura e infine il loro trasferimento in utero;
  • Icsi (Iniezione intracitoplasmatica di un singolo spermatozoo). Questa tecnica è particolarmente utile nei casi di infertilità maschile, dove non c’è un numero sufficiente o una motilità adeguata degli spermatozoi per la fecondazione spontanea.

Sia la Fivet che la Icsi si distinguono in «cicli a fresco» e «cicli da scongelamento», a seconda che gli embrioni siano appena stati prodotti, oppure che embrioni o ovociti siano stati precedentemente crioconservati e poi scongelati;

  • Gift: tecnica ormai poco utilizzata, in cui si pratica una piccola incisione sull’addome, per trasferire ovociti non fertilizzati e il liquido seminale nelle tube di Falloppio, in cui avverrà la fecondazione;
  • Prelievi testicolari di spermatozoi in caso di aspermia mediante tecniche di aspirazione percutanee e/o microchirurgiche.

Oltre a tutte le procedure sopra descritte, della Pma fanno parte anche le tecniche di crioconservazione dei gameti e degli embrioni. Mediante la crioconservazione finora in Italia sono nati circa 1.500 bambini.

 

Stepchild adoption: istituto giuridico, che consente al figlio di essere adottato dal partner (unito civilmente o sposato) del proprio genitore. In Italia è consentita dal 1983 per le sole coppie eterosessuali sposate e dal 2007 anche per le coppie eterosessuali conviventi.


Approfondimento

I?SITI

Abbiamo cercato sul web i siti dei centri internazionali dove è possibile praticare la maternità surrogata. Si tratta di siti scritti in più lingue, con belle immagini e un linguaggio familiare e accattivante. Di seguito una breve lista divisa per paese:

• Brasile:

http://fertility.com.br
https://sbra.com.br
https://fertilidade.org

• Georgia:

http://www.chachava.ge

• Grecia:

http://www.fertilitycrete.gr

• India*:

http://www.upkaar.in/surrogacy
http://lotuskiran.com/home
http://www.upkaar.in/surrogacy

• Nepal:

http://www.surrogatemothernepal.com

• Russia:

http://nova-clinic.ru

• Stati Uniti:

www.internationalsurrogacycenter.com
www.findsurrogatemother.com

• Ucraina:

www.mother-surrogate.com
https://www.lavitanova.ru**.

* Il governo induista sta valutando l’introduzione di una legge molto restrittiva.
** In home page ci sono i costi: da 32mila euro per il trattamento base a 48mila per quello Vip.

 




Giovani, missione e cooperazione: l’occasione del Sinodo

 


Dal 3 al 28 di ottobre si svolgerà la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, quest’anno dedicato ai giovani. Vediamo come questo evento può essere un’occasione di riflessione sul rapporto fra giovani, missione e cooperazione.

«Il Sinodo ha un nome lungo – I giovani, la fede e il discernimento vocazionale – ma diciamo: il Sinodo dei giovani. Si capisce meglio». Così Papa Francesco, con il linguaggio diretto che lo contraddistingue, ha indicato quello che sarà il tema su cui i vescovi riuniti a Roma si concentreranno dal 3 al 28 ottobre. «È un Sinodo», ha aggiunto il Santo Padre, «dal quale nessun giovane deve sentirsi escluso, perché è di tutti i giovani». Anche i giovani agnostici, quelli che hanno una fede tiepida, quelli che si sono allontanati dalla chiesa e i giovani atei. A tutti va prestato ascolto. Perché «ogni giovane ha qualcosa da dire agli altri, agli adulti, ai preti, alle suore, ai vescovi e al Papa»@.

Colombia

Il ribaltamento di prospettiva è evidente: per anni la Chiesa si è chiesta come parlare ai giovani, andare verso di loro, raggiungerli, coinvolgerli, in tempi in cui il loro allontanamento si è fatto sempre più evidente. «Se agli inizi degli anni 2000 il 70-80 % dei giovani si dichiarava cattolico», riporta Sara Falco sul sito di Azione Cattolica, «negli ultimi anni la percentuale è scesa al 50%. Osservando gli anni più recenti, si può notare che oggi circa il 50% di adolescenti e giovani si dicono cattolici, circa il 25% è ateo o agnostico e il restante 25% si dichiara cristiano senza altra specificazione»@.

Papa Francesco, invece, ha messo l’accento sull’ascolto, un approccio che propone sempre con forza e su tutti i temi di cui la Chiesa intende occuparsi. Anche nel documento preparatorio del sinodo del prossimo anno sull’Amazzonia, infatti, il pontefice ha sottolineato l’importanza cruciale dell’ascoltare i popoli amazzonici.

Le iniziative ideate per realizzare questo ascolto sono state diverse, a cominciare dall’incontro presinodale dello scorso marzo che ha visto riuniti a Roma 300 giovani da tutto il mondo e che ha analizzato i contributi di circa 15 mila giovani arrivati attraverso la pagina Facebook appositamente creata@.

Tanzania

Al sondaggio preparatorio avevano partecipato 221mila giovani, di cui 100.500 avevano completato il questionario. Fra questi ultimi, «il 73,9% si dichiarano cattolici che considerano importante la religione, mentre i restanti sono cattolici che non considerano importante la religione (8,8%), non cattolici che considerano importante la religione (6,1%) e non cattolici che non considerano importante la religione (11,1%)@».

Altro strumento è stato #Velodicoio@, un progetto del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei che si è proposto di «fornire uno strumento che possa essere messo a disposizione di tutti per favorire un confronto di gruppo con i più giovani su dieci tematiche specifiche: ricerca, fare casa, incontri, complessità, legami, cura, gratuità, credibilità, direzione e progetti».

Una tappa importante verso il sinodo è stato l’incontro che il Papa ha avuto con 70mila giovani da 195 diocesi lo scorso 11 agosto al Circo Massimo, a Roma@.

Durante l’incontro Francesco ha risposto alle domande di alcuni giovani, esortando tutti i presenti a non lasciarsi rubare i sogni e a non stare alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte@.

«Non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila», ha detto il Santo Padre. «Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio, e impegnarvi per un’umanità più fraterna. Abbiamo bisogno di fraternità: rischiate, andate avanti!».

Costa D’Avorio

Giovani e missione, quello che c’è

Il Sinodo dei giovani avrà fin da subito uno stretto legame con la missione. Non a caso, il messaggio del Papa per la giornata missionaria mondiale 2018, anch’essa in ottobre, si intitola Insieme ai giovani, portiamo il Vangelo a tutti e comincia proprio con «Cari giovani». Il messaggio sottolinea sin dalle prime battute che «ogni uomo e donna è una missione, e questa è la ragione per cui si trova a vivere sulla terra». Essere attratti ed essere inviati «sono i due movimenti che il nostro cuore, soprattutto quando è giovane in età, sente come forze interiori dell’amore che promettono futuro e spingono in avanti la nostra esistenza». «Le Pontificie opere missionarie», si legge ancora nel testo, «sono nate proprio da cuori giovani», e tanti ragazzi «trovano, nel volontariato missionario, una forma per servire i “più piccoli”».

Molte congregazioni e istituti missionari hanno saputo accogliere, negli ultimi decenni, questa spinta dei giovani a mettersi al servizio, in Italia come all’estero.

Padre Giorgio Licini racconta come il Pime ha prima osservato e poi organizzato questo istinto di solidarietà: «Era la fine degli anni Ottanta, quasi trent’anni fa, quando al Centro Missionario Pime di Milano ci rendemmo conto che un flusso spontaneo di giovani si era incamminato da anni dall’Italia verso le missioni del Pime nel mondo. Si trattava soprattutto di compaesani, amici e parenti dei nostri missionari mossi dalla curiosità e dall’affetto verso coloro che non aspettavano più al ritorno in patria, ma andavano ad incontrare là dove avevano scelto di spendere la vita». Questa presa di coscienza fu presto organizzata e strutturata da un altro padre, Davide Sciocco: «Non più partenze all’arrembaggio e fai da te, ma preparazione, contenuti, motivazioni, obiettivi. Qualcosa che lasciasse un segno indelebile e positivo nella futura vita dell’adulto». Il risultato è stato l’invio in missione di oltre duemila ragazzi in 25 anni e il racconto di queste esperienze è diventato un libro, pubblicato nel 2015 da PIMEdit@.

Inviare giovani in missione per fare esperienza diretta in campi di lavoro in Africa e America Latina era una proposta comune a tutti gli istituti missionari ed era già iniziata negli anni Sessanta con Mani tese, fondata nel 1964 proprio con il contributo di missionari di vari istituti. Campi erano organizzati dagli universitari animati da don Tullio Contiero@ da Bologna, quelli di Africa Oggi a Milano@ e tantissimi altri. I missionari della Consolata dagli anni Settanta hanno inviato alcune migliaia di giovani per questi campi dai loro centri di animazione missionaria e probabilmente altrettanti «turisti» a visitare le loro missioni, prima con Amitour e poi con i viaggi organizzati per anni da padre Adolfo De Col.

Santiago di Compostela – Spagna

Laicato missionario

Vi è poi l’esperienza del laicato missionario, grazie al quale giovani (e anche meno giovani) hanno la possibilità di intraprendere un percorso di fede nel quale la solidarietà e, di fatto, l’impegno nella cooperazione hanno un ruolo centrale.

Fra i laici missionari della Consolata un’esperienza esemplificativa è quella di due laici spagnoli che hanno vissuto per sei anni della loro vita – dai trenta ai trentasei – in missione in Roraima, Brasile. Tutti e tre i loro bambini sono nati in missione. «Sì», raccontava Luis nel settembre 2008, «vedere il nostro progetto di famiglia crescere insieme a questa esperienza in Brasile e ai missionari della Consolata è una delle più grandi soddisfazioni che gli anni di missione ci hanno dato. Essere laici e vivere da missionari tra i missionari ci ha arricchito immensamente»@.

Tante sono anche le esperienze ispirate da un sacerdote con una sensibilità missionaria che hanno preso la forma di organizzazione strutturata e laica. La Lvia, Ong di Cuneo, nasce alla fine degli anni Sessanta dall’intuizione di don Aldo Benevelli.

«Adoperava termini strani (cooperazione, solidarietà, giustizia, comunità)» racconta di lui Riccardo Botta, uno dei primi giovani volontari che si fece coinvolgere da don Aldo. «Ebbe l’intuizione di parlare chiaro in difesa dei poveri e del mondo degli ultimi, di portare all’attenzione del mondo occidentale il cosiddetto terzo mondo». Don Aldo, scriveva lo scorso febbraio Luciano Scalettari su Famiglia Cristiana, «è prima di tutto, uno dei “padri” della cooperazione italiana, quando ancora la parola cooperazione non era nel vocabolario»@. I giovani che lo seguirono abbandonarono lavoro, famiglia e carriera per dedicarsi a una lunga formazione professionale e comunitaria per poi partire alla volta di Kenya, Burundi, Senegal, Burkina Faso, Etiopia. La prima volontaria Lvia, Rosanna Cayre, arrivò a Meru nel 1967, ospitata dai missionari della Consolata, mentre è del 1972 l’arrivo del primo volontario in Etiopia, che lavorerà come insegnante nella scuola tecnica degli stessi missionari a Meki@.

A raccogliere l’eredità di queste intuizioni e a federarle è stata la Focsiv, Federazione degli organismi oristiani servizio internazionale volontario, che ha appena compiuto 46 anni e conta oggi un’ottantina di organizzazioni aderenti. Dalla sua nascita, si legge sul sito, «Focsiv e i suoi soci hanno impiegato 27.000 volontari internazionali e giovani in servizio civile».

Siamo alla rocca di Cornuda con il campo mobile dei ragazzi di prima superiore

Giovani e missione: quello che ancora manca

Le realtà di cooperazione di ispirazione missionaria hanno indubbiamente contribuito a fare da ponte fra il mondo missionario e i giovani: i ragazzi che partono, infatti, non sono necessariamente credenti ma, attraverso un percorso professionale, vengono a contatto con la missione e con i suoi valori.

Questo reciproco conoscersi, come l’impegnarsi su problemi condivisi e confrontarsi lavorando nello stesso contesto permette tanto ai giovani che partono quanto ai missionari che li accolgono di superare i cliché e di trovare un linguaggio comune. «Ho lavorato con un missionario che era proprio “avanti”, non sembrava neanche un prete!», è la frase che chi scrive ha sentito pronunciare in diverse occasioni da ragazzi che, partiti con mille pregiudizi, si sono trovati a condividere mesi di lavoro con missionari capaci di leggere il loro tempo e di reagirvi con efficacia. E di ascoltare i dubbi, le proposte, le ingenuità e le intuizioni di un giovane che voleva confrontarsi con loro.

Questo ascolto e questo confronto li ho vissuti in prima persona: «Capisco la tua rabbia di fronte a un’ingiustizia come quella di una baraccopoli», mi disse una volta un missionario della Consolata oggi scomparso, «ma non hai capito niente se pensi che centinaia di migliaia di abitanti delle bidonville dovrebbero mettersi tutti insieme e marciare armati fino al Parlamento per chiedere case decenti e strade asfaltate. Otterrebbero solo scontri e il dispiegamento dell’esercito. Quello che fanno, invece, è organizzarsi in comitati, associazioni e gruppi e lottare giorno per giorno perché un chilometro in più sia asfaltato, un quartiere in più della baraccopoli sia riqualificato, una scuola e un dispensario in più siano costruiti. E noi siamo qui – e in tutto il mondo, anche a casa – proprio per non lasciare solo in questa lotta chi chiede giustizia».

Con quel «non sembra neanche un prete» i giovani intendono indicare probabilmente qualcosa di molto simile a quello che Papa Francesco ha stigmatizzato senza mezzi termini proprio davanti ai 70mila del Circo Massimo quando ha detto: «Penso tante volte a Gesù che bussa alla porta, ma da dentro, perché lo lasciamo uscire, perché noi tante volte, senza testimonianza, lo teniamo prigioniero delle nostre formalità, delle nostre chiusure, dei nostri egoismi, del nostro modo di vivere clericale. E il clericalismo, che non è solo dei chierici, è un atteggiamento che tocca tutti noi: il clericalismo è una perversione della Chiesa».

Chissà che non sia proprio la missione la chiave di volta per reggere la costruzione di un nuovo rapporto fra i giovani e la Chiesa.

Chiara Giovetti

Argentina

 




I Perdenti 38. «T2OS»: Chiquitunga, Maria Felicia Guggiari Echeverría


Grande gioia in tutto il Paraguay sabato 23 giugno 2018 per la proclamazione di Chiquitunga come la prima beata nata in terra Guaranì. La solenne celebrazione, presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei Santi, come delegato di papa Francesco, si è svolta nella capitale Asunción, nello stadio Pablo Rojas del Barrio Obrero.

Chiquitunga – © Carmel Holy Land / Stella Maris monastery

La nuova beata è María Felicia de Jesús Sacramentado, al secolo María Felicia Guggiari Echeverría, suora dell’Ordine dei Carmelitani scalzi, nata a Villarica (Paraguay) il 12 gennaio 1925 e morta ad Asunción il 28 aprile 1959. Nella sua terra tutti la conoscono con il simpatico soprannome in lingua guaranì di Chiquitunga, che il suo papà le diede fin da piccola a motivo del suo fisico minuto.

Chiquitunga è diventata, così, la prima donna paraguayana a essere annoverata tra la schiera dei beati della Chiesa. Commentando tale evento, mons. Edmundo Valenzuela, arcivescovo della capitale, ha affermato che María Felicia Guggiari Echeverría è ascesa «alla gloria degli altari» in quanto tutta la sua vita fu interamente dedicata al Signore e ai poveri della sua terra. Mons. Valenzuela ha poi proseguito dicendo che: «Chiquitunga ha avuto una vita ricca di apostolato e contemplazione, sapendo mettere insieme questi suoi doni dentro una militanza molto intensa nell’Azione Cattolica (ricordiamo che prima di entrare nel Carmelo ella fece parte per diversi anni dell’A.C. paraguayana) dove si distinse come brillante catechista di bambini, ragazzi e giovani, oltre ad essere costantemente vicina ai poveri, agli emarginati e ai bisognosi».

Il 14 agosto 1955, all’età di 30 anni, abbracciò la vita contemplativa entrando nel ramo femminile dell’Ordine dei Carmelitani scalzi, dove assunse il nome di María Felicia de Jesús Sacramentado. A causa di una malattia fulminante, si spense il 28 marzo 1959.

María Felicia, parlaci un po’ di te, della tua storia, della tua famiglia, in poche parole presentati a noi che conosciamo ben poco della tua vita e del tuo meraviglioso paese.

In famiglia eravamo sette fratelli ed io ero la primogenita, mio papà si chiamava Ramón Guggiari mentre la mamma Arminda Echeverría. Fui battezzata a tre anni, a cinque anni fui accettata nel Collegio Maria Ausiliatrice e a dodici anni feci la Prima Comunione.

Un evento che ebbe una particolare rilevanza nella tua vita, o sbaglio?

Da quel momento mi accordai con Gesù per migliorarmi giorno dopo giorno, per essere sempre più buona, più attenta ai bisogni e alle esigenze di chi mi stava attorno.

Già ma le turbolenze politico-militari del tuo paese, cominciarono a condizionare molto presto la tua esistenza.

Mio padre era noto in città come fervente oppositore a una visione politica e ideologica molto affine al fascismo che andava insinuandosi in quel periodo nella società paraguayana. Le sue ferme prese di posizione per una democratizzazione del nostro paese gli costarono l’esilio. Di conseguenza anche la nostra famiglia subì tutta una serie di angherie che turbarono non poco il clima di casa nostra.

Ovviamente tu non potevi sottrarti a quello che accadeva, sia nel tuo paese come nella tua famiglia.

Infatti, solo con molte difficoltà potei terminare la scuola primaria. Nel 1940 iniziai gli studi secondari fino ad ottenere il diploma di maestra elementare.

In quegli anni oltre alla scuola ci furono altre circostanze che ti portarono ad assumere ruoli molto importanti che incisero non poco nella tua vita. Se non sbaglio sei stata una delle prime ragazze del tuo paese ad aderire all’Azione Cattolica.

Un anno fondamentale nella mia vita giovanile fu il 1941, quando entrai a far parte dell’Azione Cattolica che proprio in quell’anno veniva istituita in Paraguay. E con l’entusiasmo dei neofiti, insieme ad alcuni amici, iniziammo ad organizzare riunioni e momenti di preghiera cui partecipavo con assiduità. Appresi così a conoscere e ad amare Gesù, che dal quel momento in poi fu per me l’ideale di vita del quale mi innamorai appassionatamente. A 17 anni decisi di consacrarmi all’apostolato dell’AC offrendo a Cristo tutta la mia esistenza.

Anche la tua pratica quotidiana di fede si perfezionò tantissimo.

In questa fase della mia gioventù mi dedicai interamente al Signore, che ricevevo quotidianamente, anche se ciò comportava alzarmi di buon’ora e recarmi alla messa a digiuno (da mezzanotte), per poter ricevere la santa comunione.

Non ti limitavi però a partecipare solo alle celebrazioni liturgiche.

È vero, il resto della giornata lo trascorrevo visitando gli ammalati e gli anziani. Mentre all’interno della vita associativa dell’Azione Cattolica, mi venne affidato un compito speciale e delicatissimo, ovvero seguire le «Piccolissime», cioè le bambine più piccole della mia parrocchia, un compito al quale ero preparata da tempo per l’impegno che avevo assunto in famiglia nel servizio verso i miei fratellini.

Sei davvero di una umiltà disarmante, infatti noi sappiamo che facevi molto altro.

Oltre che seguire le attività delle «Piccolissime» di AC, cercavo di avere una certa attenzione agli umili, ai malati, agli abbandonati, ai carcerati di qualunque tendenza politica o religiosa fossero. Quando li visitavo mi proponevo di dare loro sempre un pizzico di gioia e di allegria.

Una volta ritornato tuo papà dall’esilio, la tua famiglia si trasferì da Villarica ad Asunción per avere più tranquillità grazie all’anonimato della capitale e ritrovare così un po’ di pace.

Ad Asunción decisi di iscrivermi alla Scuola Normale per diventare maestra di scuola e una volta diplomata trovarmi un lavoro. In quel tempo cercavo di modellare la mia vita interiore su un permanente cammino di fede, fatto di speranza e amore, tutto ciò per essere più fedele a Gesù e vivere con maggiore coerenza il suo messaggio di tenerezza infinita, quindi invitando tutti al perdono reciproco e alla riconciliazione specialmente con gli avversari politici dopo anni di incomprensione.

In quel periodo conoscesti un giovane di cui t’innamorasti perdutamente.

Proprio così. Durante un’assemblea di AC, conobbi Ángel Sauá Llanes, un giovane studente di medicina, membro del comitato direttivo dell’opera, con il quale simpatizzai subito e dopo poco tempo iniziammo a uscire insieme per svolgere il nostro apostolato fra la gente.

La frequentazione di un giovane fu ben accettato dai tuoi, inoltre facilitava il tuo uscire di casa per i numerosi impegni – legati all’Azione Cattolica – che avevi avviato in diversi quartieri della città.

Sì e oltre tutto lavorare gomito a gomito con Ángel, mi diede l’opportunità di entrare in quei quartieri periferici nei quali per una ragazza sola sarebbe stato pericoloso avventurarsi. Con il tempo la simpatia tra noi si approfondì, fino a trasformarsi in un vero sentimento di amore reciproco. A quel punto cominciai a interrogarmi: «Cosa vorrà dirmi il Signore con questo amore che non ho cercato e che Egli ha suscitato nel mio cuore?».

Dopo intensi momenti di preghiera e lunghe riflessioni fu chiaro che il disegno che Dio aveva preparato per voi era piuttosto originale.

Difatti una sera egli mi confidò che avvertiva nel profondo della sua coscienza in maniera molto chiara la chiamata a diventare sacerdote. Allora compresi che con il mio sentimento genuino di amore, Dio mi chiedeva di amarlo come «sacerdote» e «santo».

Per cui il primo ottobre 1951, di comune accordo realizzammo quello che si chiama «sposalizio mistico», insieme ci consacrammo a Maria Immacolata perché presentasse questa nostra «piccola offerta» a suo figlio Gesù: Ángel sarebbe diventato sacerdote ed io mi sarei consacrata a Dio nel mondo o dove il Signore mi avrebbe indicato.

E cosa avvenne dopo?

Il primo aprile 1952 prendemmo l’impegno di separarci «a causa di Dio e per Dio» e il dieci dello stesso mese lui partì per l’Europa dove avrebbe terminato i suoi studi di medicina e iniziato quelli di teologia per il sacerdozio. Nei mesi seguenti gli scrissi una gran quantità di lettere incoraggiandolo ad andare avanti sulla strada intrapresa per seguire la sua vocazione.

Immagino che anche per te nella nuova situazione venutasi a creare cambiarono molte cose.

Partecipando agli Esercizi spirituali dell’AC nel gennaio del 1954, anch’io giunsi a prendere una decisione fondamentale per la mia vita, decisi di consacrarmi completamente a Dio nel Carmelo, realizzando quello che era un po’ il ritornello della mia vita fin dall’adolescenza, quando espressi il mio ideale di vita cristiana in una formula: «T20S», ad imitazione delle formule chimiche che vedevo nei miei libri e che stava a significare «Tutto Ti Offro Signore». E con un’autentica grande gioia nel cuore, donai a Gesù tutta me stessa: la mia giovinezza, il mio amore, l’impegno del mio apostolato.

E così il 2 febbraio del 1954, festa della Presentazione di Gesù al tempio, varcasti la porta della clausura e, con il sorriso sulle labbra, attorniata da tutta la tua famiglia che tanto amavi, entrasti nel Carmelo di Asunción.

Alcuni giorni dopo il Signore iniziò il suo lavoro di purificazione della mia persona facendomi attraversare quella che i mistici chiamano «la notte dello spirito». L’incertezza sulla scelta fatta si impossessò di me. Pensavo che forse era stato un errore lasciare il mondo, dove svolgevo tanto bene i miei molteplici impegni; che chiudermi in clausura era come mettere la lampada sotto il moggio.

Del resto, è abbastanza scontato che in questa fase della tua nuova vita potessi avere qualche momento di timore e apprensione.

Devo dire che l’apice dell’oscurità lo raggiunsi durante gli Esercizi Spirituali prima della vestizione solenne, ma a poco a poco queste paure si dileguarono. Nella nuova vita al Carmelo cominciavo a sperimentare la vicinanza dell’Amato a cui chiedevo insistentemente una cosa sola: «Amore per amare». Finalmente il 14 agosto del 1955 ricevetti l’abito claustrale del Carmelo.

Ti sentivi pienamente realizzata come donna, come religiosa e come monaca.

La mia vita nel Carmelo non poteva essere più semplice e gratificante, infatti non facevo altro che amare, amare e amare di più Gesù e i suoi fratelli, ovvero gli esseri umani di tutto il mondo, a qualunque continente o popolo appartenessero, soprattutto i più poveri ed emarginati. Un sentimento speciale lo coltivavo per le mie consorelle di comunità, per i sacerdoti, che avevo sempre presenti nelle mie preghiere, a cominciare dal mio «amico» che si preparava al sacerdozio, per i poveri e gli umili.

Il 15 agosto 1959 avrebbe dovuto essere il giorno del suo impegno definitivo di amore con il Signore, con la professione perpetua solenne. Ma María Felicia «sentiva» che Lui voleva incontrarla prima, e lei come sempre era pronta. Nel gennaio del 1959, le fu diagnosticata una epatite infettiva. Fu portata alla Croce Rossa per essere debitamente curata. In effetti, durante la Quaresima, poté essere dimessa. Ritornò al suo amato piccolo monastero. Si dedicò alla vita monastica con tutta la sua generosità unita al desiderio sempre più vivo d’immolazione. Giunse la Settimana Santa e si unì spiritualmente alla Passione di Gesù, mettendo a disposizione tutta la sua creatività piena di fantasia ed amore.

Il Venerdì Santo, il cappellano, dandole la comunione, notò un livido nella lingua. Il sabato cominciarono a manifestarsi macchie di sangue che la domenica ed il lunedì di Pasqua si moltiplicarono. Il martedì una grave emorragia allarmò la Madre priora che fece venire immediatamente Freddy Guggiari, il fratello medico. La diagnosi fu immediata: «Porpora trombotica».

Il giovane dottore uscì singhiozzando dalla stanza dell’inferma: «Essere medico e non poter salvare mia sorella!». Ricoverata di nuovo nell’Ospedale della Croce Rossa, cominciò il suo Calvario, la sua unione definitiva con la Croce, con una pazienza e un’allegria incredibili. Chi la vedeva anche solo per pochi istanti diceva: «È un’altra Teresina di Lisieux». Lei però desiderava tornare presto al Carmelo e il Signore la accompagnò al Carmelo del Cielo.

Ogni giorno era circondata dai suoi familiari a cui María Felicia ripeteva: «Sono felice di morire nel Carmelo!», anche in quei momenti non si spense mai il sorriso sulle sue labbra. Alle quattro del mattino del 28 aprile, la si udì bisbigliare: «Gesù, che dolce incontro! Vergine Maria!». Furono le sue ultime parole prima di entrare nel Regno dei Cieli.

Don Mario Bandera