Giovane: riconosci, comprendi, scegli…


Sei fuggito da un conflitto che ti pareva insanabile, e ti vedeva colpevole. Sei fuggito per salvare la tua vita da chi ti cercava e da te. E nella fuga hai ricevuto il sigillo della tua identità: uomo solo al quale il Dio di Abramo e di Isacco promette discendenza, terra e protezione. Uomo ferito per il quale si ritroveranno benedette tutte le nazioni della terra. Uomo colpevole, visitato in sogno da Dio, ai piedi di una scala che unisce terra e cielo.

Perché fosse la fiducia in Lui a generare la certezza di Lui, e non il contrario, ti ha incontrato nel sonno: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo» (Gen 28,16). E ti ha fatto rabbrividire il pensiero di quanto Dio fosse vicino, proprio a te e alla tua vita ingannata.

Sei di ritorno ora, dopo anni di fuga. Sei vicino alla terra che ti ha visto ladro e fuggiasco, e hai timore per la tua vita e per quella di chi ti è caro. Dio, che nel sogno ti aveva detto: «Io sono con te e ti accompagnerò dovunque tu andrai», ha mantenuto la promessa. E, certo, ti accompagna anche adesso, all’incontro con le conseguenze dell’antico inganno. Ti manca solo una cosa: la sua benedizione.

Sei di nuovo solo, è notte e il Signore si fa avanti. Non in sogno questa volta, ma in un corpo di uomo che lotta contro di te (Gen 32,25). Ti ferisce all’articolazione del femore, fa emergere la tua ferita profonda dalle gambe che hanno sorretto la tua fuga. Ma tu non cedi. Sai che quella lotta non prevede sconfitti, sai che incontrare l’altro e rimanere vivo è possibile. La ferita non estingue il desiderio di essere benedetto. Essa, anzi, è parte di quel desiderio, ne è conseguenza, e causa. E, alla fine, vinci. Non ti sei fatto sconfiggere dalla tua ferita, l’hai riconosciuta, lasciandola riconoscere da Dio, lasciandoti riconoscere da Dio con essa. Torni integro, finalmente. E il Signore ti benedice per ciò che sei, benedicendo per te tutte le nazioni della terra. Ora la promessa è compiuta e spunta l’alba. Rivelato a te stesso da Dio, puoi finalmente pronunciare il tuo nome, Giacobbe, e ricevere un nome nuovo, Israele, «colui che lotta con Dio» (e vive).

In questo ottobre missionario, mese del sinodo dei giovani, amico ti augura di riconoscerti, con la tua storia irripetibile, di comprendere la tua vita alla luce di una promessa che ti riguarda, di scegliere di essere, già oggi, tramite di benedizione per tutte le nazioni della terra.

Luca Lorusso

foto in CC da BostonCatholic / flickr.com




Mongolia: ricordando mons Wenceslao Padilla

Mons Wenceslao Padilla: Seme gettato – il ricordo di un missionario della Consolata

Se n’è andato così, in punta di piedi, in una sera di autunno mongolo, mentre la natura si stava già preparando al grande inverno. Dopo 26 anni di ininterrotto servizio al Vangelo in uno dei Paesi che più aveva resistito all’annuncio cristiano, la Mongolia. La “sua” Mongolia, sarebbe da dire, visto che del grande Stato centro-asiatico Mons. Padilla aveva seguito tutto il travaglio nella delicata fase di transizione dalla Repubblica Popolare alla nazione democratica.

Aprile 2017. Mons. Marco Sprizzi, vice-capo della missione diplomatica della Santa Sede in Corea e Mongolia con il Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, mons. Wenceslao Padilla in visita al museo di Kharkhorin, dove proprio grazie al suo intervento è stata donata una copia autentica della lettera di Papa Innocenzo IV all’imperatore mongolo Guyuk Khan (1245).

Dal suo arrivo nel 1992 insieme a due confratelli della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria (Scheut), Ulaanbaatar era diventata casa sua; prima in una stanza d’albergo, poi in un alloggio affittato e finalmente nella palazzina da lui stesso costruita come sede ufficiale della Chiesa. Ritornava spesso su quei primi anni pionieristici, segnati dal bisogno di instaurare rapporti con le autorità locali, che vedevano nella Chiesa Cattolica un partner affidabile, ma che non erano per nulla avvezzi ad avere tra loro dei missionari stranieri. E così Mons. Wenceslao Padilla – che, originario delle Filippine, veniva da un’intensa esperienza missionaria a Taiwan, dove era stato superiore provinciale – si votò completamente a questa causa, riuscendo in pochi anni a guadagnarsi la stima del governo e la simpatia della gente, soprattutto attraverso una fitta rete d’iniziative di promozione umana e sviluppo. Nessun dubbio che dovesse essere proprio lui a diventare il primo vescovo di una Chiesa appena agli inizi. Nel 2003 la consacrazione episcopale, per le mani dell’allora Segretario di Propaganda Fide, il Card. Crescenzio Sepe.

 

Aprile 2017. Mons. Marco Sprizzi, vice-capo della missione diplomatica della Santa Sede in Corea e Mongolia con il Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, mons. Wenceslao Padilla in visita alla comunità di Arvaiheer, dove è stato piantato un albero per ricordare il 25mo anniversario della ri-fondazione della Chiesa Cattolica in Mongolia (1992).

Nel frattempo, la presenza missionaria cresce, con l’arrivo di congregazioni disposte a collaborare nel dissodare il campo; cresce lentamente anche la comunità cattolica locale. Lui accetta la sfida e non si tira indietro, anzi favorisce una maggiore organizzazione interna, fino alla celebrazione dell’assemblea generale dello scorso novembre. Il lavoro non mancava mai; la sua scrivania era sempre sommersa di carte, che lui diligentemente passava una ad una, con la determinazione di non scontentare nessuno.

Tanti anni di lavoro così intenso, spesso segnato da difficoltà e situazioni delicate da districare, hanno consumato le sue forze. Fino a lasciarlo proprio lì, nel suo ufficio, alla sua postazione usuale di lavoro, come a suggellare una vita spesa per la diffusione del Regno di Dio. La figura del vescovo in una giovane porzione di Chiesa che si confronta con altre tradizioni è molto importante; egli è veramente il punto di riferimento di quella piccola minoranza costituita dai Cattolici, in un contesto prevalentemente buddhista e sciamanico, con ancora i postumi dell’ateismo di stato degli anni del comunismo.

Mons Wenceslao Padilla alla missione di Arvaiheer nell’aprile 2011.

Siamo molto grati a Mons. Padilla, che aprì le porte alla Consolata nel 2003, accogliendo con entusiasmo i nostri primi missionari e missionarie e sostenendoli sempre nel loro discernimento comunitario. Di lui si può dire che è riuscito ad evangelizzare anche attraverso la propria morte; è lui infatti il primo missionario a morire in Mongolia e la gente già vede in questo il segno del chicco di grano che muore per portare frutto.

padre Giorgio Marengo, imc

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Mukiri è tornato a Casa

 


Fr. Giuseppe ARGESE, IMC, conosciuto come Mukiri – il silenzioso – il 20 settembre 2018 a Maua – Meru – Kenya è tornato alla casa del Padre. Chiediamo le vostre preghiere per il suo eterno riposo.

“Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia,
voi che cercate il Signore;
guardate alla roccia da cui siete stati tagliati,
alla cava da cui siete stati estratti”.
Isaia, 51, 1

“La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine”.
1 Cor. 13, 4-7

Carissimi,
il nostro missionario FRATEL GIUSEPPE ARGESE è morto il 20 settembre 2018 nella sua amata terra del Kenya, a Mukululu dove ha vissuto e realizzato la gran parte della sua missione. Era conosciuto come Mukiri, il silenzioso, per le poche parole che diceva nella giornata e il tanto lavoro che faceva. In un mondo dove si parla molto fratel Argese ci ha insegnato il valore del silenzio e del lavoro generoso. Ha amato la sua gente fino a dare la vita per loro, fino a morire a Mukululu dove ha vissuto. Possiamo dire che in lui la missione si è fatta persona. Grazie carissimo Fratello per quanto sei stato e per quanto ci hai dato, dal cielo prega per noi ed aiutaci ad essere dei degni figli della Consolata. Buon viaggio, riposa in pace!

Padre Stefano Camerlengo

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Partecipanti alla festa per i 50 anni di Kenya di fratel Mukiri, Giuseppe Argese

Una goccia di rugiada (Mc settembre 2010)