Modica: Per correre insieme la vita


Incontro cittadini e rifugiati. «Pensavo alla morte, ma la vita mi ha voluto. Grazie per il sostegno». Le storie di Zaikary e di altri rifugiati sono state narrate all’incontro promosso dalla Caritas alla Domus Sancti Petri di Modica, in un incontro per conoscere la bellezza del mondo che ci raggiunge.

«Vengo dal lontano, ma non so dove sto andando… vengo da lontano e ho attraversato il mio Paese crivellato… mio padre si è perduto in una guerra che ha tanta fame e tanta sete. Mia madre si è ritrovata sola in mezzo a tanti lamenti. Sono fuggito dalla mia terra che beve sangue invece di acqua. Ho abitato prigioni di tante città diverse, tutte sporche. Ho camminato nella sabbia rovente dei deserti. Pensavo alla morte, ma la vita mi voleva con sé… Vengo da lontano nonostante la barca ballasse tra le onde, i corpi gonfi hanno fatto la mia salvezza. Sono molto contento di essere in Italia, mi trovo bene… ci sono persone che si prendono cura di noi… niente si fa senza aiuto, e ringrazio l’Italia per avermi dato la possibilità di cambiare vita e rendere migliore il futuro. Che Dio benedica l’Italia!». Le parole di Zaikary, giovane proveniente dal Burkina Faso, hanno espresso il senso dell’iniziativa promossa dalla Caritas diocesana e tenutasi ieri sera a Modica, nello spiazzo antistante la Domus Sancti Petri. Coi ragazzi dei sei centri di accoglienza per minori stranieri di Modica, i volontari, cittadini modicani e qualche turista di passaggio: tutti insieme per rinnovare un appello, restare umani! Un anno fa la bella accoglienza dei ragazzi ospitati nei centri, con una passeggiata di benvenuto per la città di Modica. Ieri un momento per conoscersi meglio. Partendo da un gioco, guidato dal missionario don Gianni Treglia. Insieme a lui altri due religiosi della comunità intercongregazionale, don Vittorio Bonfanti e suor Giovanna Minardi. Una serie di corde e un bastone. Un segno semplice ed efficace, perché a due a due, tutti i presenti, si sono conosciuti, scambiandosi informazioni sulla loro vita, sui loro desideri per il futuro. Poi hanno annodato i fili, a formare una rete. «È il filo delle nostre presenze – ha detto don Gianni -. Mali, Gambia, Ghana, Burkina Faso, Modica… Siamo qui per un momento insieme, per percorrere insieme un pezzettino di vita. Ma per percorrerlo insieme dobbiamo conoscerci». Ciascuna coppia si è poi presentata, ma in un modo particolare: l’uno ha parlato dell’altro, in prima persona. E sono venute fuori così briciole di vita: il giovane del Bangladesh che ama disegnare bandiere, quello della Costa d’Avorio che è cuoco. Il ragazzo che nel suo Paese, la Guinea Bissau, studiava Economia. Ora qui ha preso la terza media ma vuole studiare per portare a termine gli studi economici. A settembre andrà al Linguistico un giovane del Gambia, che a giugno ha preso il diploma di terza media con la media del 9. Sabir ha 26 anni, lavora nelle serre. Anche se cerca qualcosa di più stabile, perché il lavoro che ha è precario. «Nodo dopo nodo – ha ribadito don Gianni – potremo costruire qualcosa di bello, come in una rete». Ciascun ragazzo ha realizzato un disegno, per raccontare la propria terra. I maestosi elefanti della Costa d’Avorio, lo stemma della Guinea e una mano con tanti colori, nella consapevolezza che «L’unione fa la forza». Un sentimento comune di gratitudine per l’accoglienza e l’affetto ricevuti in Italia, a Modica, e la volontà di potere aiutare anche gli altri. «Studio scienze umane perché voglio essere d’aiuto ad altre persone», ha detto Zaikary. La serata si è poi conclusa con una cena comunitaria, con prodotti preparati da volontari, cittadini e dagli stessi giovani dei centri di accoglienza. Non poteva mancare la musica, a ritmo di bongo, per una serata pensata per abbattere i muri dell’indifferenza e per costruire ponti di umanità e fratellanza. Spiega Giorgio Abate, responsabile Immigrazione della Caritas di Noto: «Abbiamo pensato a questo momento chiedendo ai ragazzi di portare con sé e di condividere con i modicani qualcosa del proprio Paese. Perché la cosa fondamentale è conoscerci: storie, motivazioni del viaggio, aspirazioni. Per eliminare i pregiudizi, che nascono proprio dalla mancanza di conoscenza delle storie di vita, delle situazioni che queste persone sono state costrette a vivere. È la nostra risposta all’appello di Papa Francesco, all’iniziativa Share the Journey – Condividi il viaggio. Per questo abbiamo chiesto loro di portare poesie, disegni e testimonianze».

Silvia Crepaldi
Da «La Sicilia», 9 agosto 2018


Rifugiati: «Un’altra storia è possibile».

È stato il tema dell’incontro che ha dato inizio, ieri sera (7 agosto 2018), nella Parrocchia di Marina di Modica, ai festeggiamenti dell’Assunzione di Maria con una serata di testimonianze e di riflessioni sul tema della migrazione e dell’integrazione. “I cristiani hanno la responsabilità di portare una voce diversa nel mondo – ha detto don Christian Barone che ha curato l’organizzazione della serata in collaborazione con la comunità missionaria intercongregazionale di Modica, la Caritas diocesana e l’associazione We care -, la voce dei testimoni che anche questa sera ci hanno raccontano la loro vita e la loro storia, la storia dei loro paesi ancora oggi sotto scacco agli interessi di multinazionali che non vanno a casa loro per aiutarli, ma per depredarli. Per questo è necessario rifiutare le narrazioni parziali e interessate, e cercare di entrare in una riflessione che tenga conto di una visione più ampia, che guardi alla migrazioni come un fenomeno naturale che può essere una benedizione in un paese dove la curva demografica è decrescente senza nel contempo sottovalutare le cause di questo fenomeno e le responsabilità di questo fenomeno”.
Sulle cause e sulle responsabilità si è soffermata Irene Cerruto, operatrice della Caritas diocesana, che ha parlato del debito che i paesi europei hanno contratto con il popolo africano a partire dall’undicesimo secolo quando gli europei iniziarono a “invadere” il continente africano e a depredarlo e a destabilizzarlo. “Ancora oggi non si riconosce questo debito e non si chiede scusa al popolo africano – ha aggiunto l’operatrice Caritas – ma si cerca di criminalizzare la richiesta di aiuto che viene da chi si è messo in cammino per sfuggire alle cause della nostra presenza secolare in Africa”. Anche per questo la Caritas diocesana ha raccolto l’appello di Caritas Italiana per creare una rete di amicizia tra i paesi del Mediterraneo. Lo scorso giugno don Christian, padre Gianni Treglia e Irene Cerruto sono stati in visita presso la Caritas di Tunisi per dare inizio a un gemellaggio con una Chiesa fragile ma coraggiosa, che opera in silenzio in un Paese che non permette la predicazione. Successivamente le testimonianze di Buba, un giovane della Guinea costretto a fuggire a 16 anni dal suo Paese perché l’etnia a cui appartiene è perseguitata, e di Elias e Leandra, una coppia mista che fa i conti giornalmente con il clima difficile di insofferenza e pregiudizi e, in alcuni casi, anche di intolleranza. Testimonianze che hanno contribuito a raccontare una storia diversa, una storia che non corrisponde ai tanti slogan, ai luoghi comuni, alle fake news che ci raccontano di crociere, di taxi e di hotel, ma di morte e di violenze, di prigioni, nei paesi di transito, nel deserto, e poi nel mare, l’unico tratto a noi visibile e dove spesso arriva solo una minima parte di coloro che avevano iniziato il viaggio. Ma hanno raccontato anche un’altra storia, una storia possibile, della loro voglia di fare del proprio meglio, dei loro successi nelle scuole italiane, della loro integrazione, dei primi amici italiani, della speranza di un futuro di pace per loro, per le comunità che li accolgono e per i loro paesi di origine.

Dalla pagina FB della Caritas della diocesi di Noto

 

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