Il Gomni in Tanzania: Il Vangelo «pratico» del servizio

il Gruppo operativo missionario Nyaatha Irene

Testo di Marco Bello e foto Archivio Gomni |


(Il Gomni) Nasce un po’ per caso. Come le grandi storie. Poi diventa l’impresa di una vita. Un gruppo missionario molto «operativo». Lo è ancora oggi, dopo più di 30 anni. Principi saldi e perseveranza. Ispirato a suor Irene Stefani e nessun margine al compromesso. E, sempre: fare il bene senza farsi pubblicità. Ne parliamo con Giuseppe Lupo, uno dei fondatori.

«Quando mia figlia ha compiuto cinque anni, ha iniziato ad andare all’asilo delle suore della Consolata in corso Allamano (a Torino, ndr.). Grazie a questo, io e mia moglie Maria abbiamo fatto amicizia con suor Idelma, la sua insegnante. Ma un giorno, senza preavviso, ci ha detto che sarebbe partita per la Tanzania». Chi racconta è Giuseppe Lupo, universalmente conosciuto come Pino, e parla di un «inizio», di qualcosa che gli sta molto a cuore. Pino e Maria avevano creato un’azienda nel settore delle forniture idrauliche, dove erano impegnati entrambi tutta la giornata.

All’inizio fu un viaggio

Corre l’anno 1986, Pino continua: «Suor Idelma cominciò a scriverci delle lettere con le sue prime esperienze di missione e noi le rispondevamo. Così iniziai a incuriosirmi di questo paese e dell’Africa in generale, continente di cui sapevo poco o nulla. Di fatto io non avevo mai viaggiato». Poi Pino prende il coraggio a due mani e decide di andare a trovare suor Idelma. Soprattutto vuole andare a vedere l’Africa. Un viaggio che dura – ricorda con precisione – «34 giorni», e che cambia qualcosa in lui. Qualcosa che a 32 anni di distanza ancora non sa spiegare. «Ero tornato da poco e durante una festa di battesimo, un tizio mai visto mi avvicinò: “Sei tu quello che è stato in Africa?”, chiese. Così cominciammo a parlare. Voleva sapere tutto. Alla fine della festa mi disse che se fossi partito di nuovo, sarebbe venuto. E così fu». Così si crea un gruppo di persone interessate alla missione.

Il Vangelo come servizio

Pino è disorientato. Insieme agli amici sente che deve fare qualcosa per «condividere» con le sorelle e i fratelli africani incontrati in Tanzania. Anni dopo scriverà: «Ogni attività nasce da un incontro con persone, luoghi, situazioni complesse e gravi che possono essere comprese nell’umiltà del cercare di calarsi dentro», e anche: «Occorrono iniziative idonee a modificare le cause di povertà creando sviluppo», e «Si crea così la possibilità di un cammino comune e di uno scambio profondo di esperienze».

Con Maria si rivolgono ancora una volta alle suore della Consolata e incontrano suor Gianpaola Mina. È lei che parla loro della beata Irene Stefani: «Siamo rimasti immediatamente ispirati dalla vita di suor Irene», commenta Pino. Così, insieme agli amici, Pino e Maria creano il «Gruppo operativo missionario Nyaatha Irene», Gomni in sigla, dove Nyaatha, ovvero madre misericordiosa, è l’appellativo che gli africani davano a suor Irene.

Racconta Pino: «Suor Mina ha aiutato il gruppo a nascere e a formare lo statuto. Ci disse: “Non potete chiamarvi Gruppo Irene, perché voi non sarete mai un gruppo esclusivamente di preghiera, voi porterete il Vangelo dando servizio, lavorando con la carità. Sarete un gruppo operativo missionario”. E in effetti ci aveva azzeccato».

Gruppo «di carità»

Un altro principio fondamentale deciso fin da subito è che «non saremo mai né onlus né Ong – ricorda Pino -, ma un gruppo di carità». Questo per «non scendere a compromessi», perché l’associazione vuole «vivere di carità, dando carità». Rifiuta dunque di entrare nel «business» o, più benevolmente, nel settore, della cooperazione internazionale. E il Gomni riesce a mantenere la promessa per tutta la sua storia, nonostante non sia facile, perché qualcuno che ha tentato la virata c’è stato, ma poi ha prevalso lo spirito iniziale.

Una scelta, quella del nome, che chiarisce le intenzioni della neonata associazione. I suoi fondatori si sentono ispirati anche dal beato Giuseppe Allamano. E in particolare fanno loro il motto «Far bene il bene, senza far rumore», senza spazio al compromesso. Non si fanno pubblicità, non mettono bandierine (come invece fanno molte associazioni). E chi prova a farlo viene riportato sulla retta via. «Anche se noi non ci facciamo conoscere, sono in molti che ci conoscono», ricorda Pino.

Subito operativi

Il Gruppo operativo parte, e fa onore al suo nome. Inizia una collaborazione con alcuni missionari della Consolata in Tanzania. I primi progetti sono del 1988 a Kibao e Iringa. Viene realizzato un intero acquedotto che alimenta un ospedale, un dispensario e diverse case, e un impianto elettrico per le stesse strutture. Poi si continua lavorando con la diocesi di Njombe. «Ci basiamo sempre su strutture locali, su persone che si dimostrino strumenti di promozione umana e comunitaria, in modo da coinvolgere la popolazione sempre da protagonista e non solo come beneficiaria».

Il Gomni ha alcuni principi molto chiari, come il fatto che con le sue attività non vuole «creare un circolo vizioso di dipendenza da assistenza, ma piuttosto intraprendere iniziative e attività concrete per uno sviluppo autogestito in loco». Ovvero, aiuto sì, ma condivisione e protagonismo attivo della gente coinvolta, che sia comunità, affinché «con il tempo assuma pieno coordinamento dei progetti, nella promozione del bene comune». Concetti molto avanzati per la fine degli anni ‘80.

Importanti, nella fase iniziale, sono i consigli di padre Franco Cellana. «Lo conobbi in Tanzania nel 1989, poi lo ritrovai a Torino nel ‘91». Nei primi anni ’90 padre Franco è responsabile dell’animazione missionaria in Casa Madre. La grande esperienza di Africa, come missionario, aiuta il gruppo nei primi fondamentali orientamenti. «Ci confrontammo sul fatto che lavorare con i missionari va bene, ma quando il missionario parte, la missione tende a decadere. Fondamentale è dunque far crescere la gente, che è anche la cosa più difficile che ci sia».

Puntare sempre allo sviluppo della persona, attraverso la formazione, e poi il lavoro, quindi la conoscenza di un mestiere: «Orientare ogni attività verso la crescita in dignità della persona, nella convinzione che ciascuno può realizzarsi pienamente».

È padre Franco a presentare al gruppo l’allora vescovo di Njombe, monsignor Raymond Mwanyka, incontro fondamentale.

I progetti diventano delle vere e proprie collaborazioni sul lungo periodo, relazione, amicizia, scambio. Numerose sono le attività con la diocesi di Njombe, Sud Ovest del paese, a partire dal 1992. Una collaborazione che continua ancora oggi. Diventano decine i viaggi di Pino e degli altri soci per portare avanti lo scambio, creare fratellanza, ma anche realizzare progetti concreti: ospedali, impianti fotovoltaici, acquedotti, dighe e impianti idraulici, centri di formazione, falegnamerie, ma anche formazione di giovani promettenti ai mestieri, ecc.

Un altro degli approcci del Gomni è infatti quello di formare, per creare lavoro, micro impresa si dice oggi nel gergo della cooperazione, in modo da permettere alle persone di avere un reddito e poter vivere con dignità nella propria terra. Una visione all’avanguardia, se si pensa che il sistema della cooperazione internazionale allo sviluppo arriverà a questi concetti solo diversi anni dopo.

Un riferimento solido

Pino è fiero di aver portato sua figlia, la prima volta all’età di 7 anni, in Tanzania, e poi di averla riportata tante volte, così che lei «è cresciuta un po’ in Africa, e riesce a trasmettere certi valori ai suoi figli, ora che è diventata mamma».

Oggi il gruppo Gomni ha circa 80 aderenti di cui 7 o 8 pienamente operativi. Tutti volontari che si pagano ogni viaggio e ogni attività. Oltre alla base di Torino hanno delle «antenne» a Milano, Roma, Treviso.

Il gruppo è cresciuto intorno all’Istituto Missioni Consolata. A Torino le guide spirituali del gruppo sono state missionarie e missionari della Consolata e l’Istituto è sempre stato un riferimento centrale. Da suor Mina a suor Leottavia, da padre Franco a padre Francesco Bernardi e padre Giacomo Mazzotti. In filo rosso che ha guidato il Gomni nelle sue tre decadi di esistenza.

Anche se non vuole diventare Ong, il Gruppo Irene (come viene definito famigliarmente) collabora con enti, onlus e Ong. Talvolta riceve finanziamenti, altre volte, al contrario, si impegna a cercare materiali e fondi necessari per un progetto, finanziando attività di un altro ente. Ma sempre «senza far rumore». In questo modo, con aiuti puntuali, Gomni è intervenuto anche in Kenya, Romania, Brasile ed Haiti.

Un centro per suor Irene

Nel 2016 nasce un progetto integrato con la parrocchia di Mkiu, 80 km a Sud Ovest di Njombe. Il progetto prevede una prima fase, quella attuale, nei settori agricoltura e artigianato. Si tratta di creare le condizioni affinché i giovani possano formarsi in diversi ambiti: agricoltura, allevamento, falegnameria, carpenteria, taglio e cucito, informatica. Ovvero realizzare infrastrutture, iniziare attività che generino reddito e fare formazione.

Pino ci ricorda che: «Noi pensiamo che le persone debbano saper lavorare, ma anche saper gestire il lavoro, in modo che dia loro reddito. E poi saper gestire questo reddito». Concetti molto concreti, ma non facili da realizzare. In ogni caso molto pertinenti per la situazione che vivono i giovani nella diocesi di Njombe.

E così in questo villaggio di 4.000 persone più altrettante nei villaggi del circondario facenti parte della parrocchia, nello splendido scenario dei monti Livingston, immerso in una natura mozzafiato, il Gruppo Irene ha iniziato una serie di attività: un allevamento di vacche, maiali, polli, bacini di piscicoltura, apicoltura, riforestazione, laboratorio di falegnameria e costruzioni metalliche.

Il progetto a Mkiu è centrato attualmente sulla figura di padre Innocente Ngaillo, detto padre Inox, diocesano. Padre Inox ha passato alcuni mesi in Italia nel 2016 per motivi di salute, ed è nata questa idea con il Gomni, subito chiamata: «Centro agricolo – artigianale Irene Stefani».

«Abbiamo parlato con il vescovo, mons. Alfred Leonhard Maluma e ci ha garantito che padre Inox potrà restare a Mkiu per il tempo necessario a formare alcune persone locali alla gestione di quest’opera. Non ha senso realizzare grandi opere se poi non c’è nessuno che possa gestirle. Il nostro obiettivo è proprio far crescere le persone».

Ma come si finanzia un gruppo che fa carità? «Di carità, ovvero di donazioni di amici, persone, aziende, associazioni che vengono a conoscere i nostri progetti con il passaparola. È sempre stato così. Abbiamo dei tempi lunghi ma portiamo a compimento i nostri programmi. E non abbiamo vincoli ne obblighi, se non con il nostro statuto, i nostri principi e la nostra coscienza».

Nell’arco di questi 32 anni molte sono state le persone che hanno condiviso un percorso, anche lungo, con il Gomni. Poi magari hanno lasciato, o sono andati a creare altre realtà.

Dietro al front man Pino Lupo c’è sempre stata sua moglie Maria, «organizzava dietro le quinte, ma è pure stata spirito e motore propulsivo del gruppo». Maria è tornata alla casa del Padre nel 2006, ma Pino ha continuato a sentirla al suo fianco e a lottare insieme a lei per questo sogno: una condivisione e uno scambio, che deve essere alla pari, con l’Africa e gli africani. «Quelle lettere mensili di suor Idelma, che ci portavano i suoi problemi di missione in casa, sono diventate la nostra vita».

Marco Bello

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