C’è una scena interessante nel Vangelo di Marco: Gesù, per la seconda volta, cerca di far capire ai suoi discepoli che sta andando a Gerusalemme per essere ammazzato, e non per diventare re, come loro vorrebbero. Ma i discepoli non lo ascoltano. Anzi, discutono su come spartirsi il potere. E, già che ci sono, vogliono anche liberarsi da possibili concorrenti, per non perdere l’esclusiva. Giovanni e gli altri, infatti, cercano di fermare un tale che sta «scacciando i demòni» nel nome di Gesù senza essere del loro gruppo: non è «dei nostri»! Gesù però li sorprende: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,38-41).
Quella di Gesù nel brano di Marco 9 è una risposta che spiazza. Noi, di solito, preferiamo quella riportata da Matteo, simile ma opposta: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12.30), anche se, in Matteo, Gesù dice questa frase in un contesto del tutto diverso, parlando di lotta contro il male.
Marco ci presenta un tale che sta aiutando delle persone che vivono in situazioni disumanizzanti. Uno che, nel nome di Gesù, vuole ricondurli alla loro umanità. «Non è dei nostri», dicono i discepoli. Gesù però oppone alla categoria dei «diritti d’autore» e del monopolio, il dato di fatto che il bene, il bello, il giusto e il vero hanno una sola sorgente: Dio. E in Dio sono patrimonio di tutta l’umanità, di ogni uomo, anche fuori della cerchia dei discepoli, anche fuori della Chiesa, come ci insegna il Vaticano II. Nessun uomo, organizzazione, chiesa, partito o stato può vantare la proprietà o il brevetto del bene, così come a nessuno appartiene l’esclusiva del male che, infatti, serpeggia anche tra i discepoli.
Gesù ci insegna a guardare al bene attorno a noi senza gelosie e pretese di esclusiva, a saper riconoscere la mano e la presenza di Dio in ogni realtà positiva, in ogni persona, cultura, religione. Dove c’è bene e bellezza, giustizia e verità, dove si realizzano autentiche esperienze di umanizzazione, lì c’è Dio, perché l’amore di Dio, il suo Soffio di Vita, non si lascia ingabbiare e soffia dove, come e quando vuole (cfr. Gv 3,8).
Trovo questo detto di Gesù particolarmente attuale oggi, perché è un buon antidoto contro il fondamentalismo e la tentazione di ritenere di avere il monopolio del bene. Cose buone e giuste vengono dette e fatte anche da chi non crede in Gesù. Non ci sarebbe la missione senza queste parole di Gesù, perché uno dei primi doveri di un missionario è proprio quello di riconoscere i «semi di Verbo» (cfr. Ad Gentes 11b) e i «segni dei tempi» nelle più disparate realtà umane e culturali incontrate ai quattro angoli del mondo e anche nelle nostre società complesse dell’Occidente.
Per me è sempre stato motivo di grande gioia rendermi conto che l’azione di Dio mi ha sempre preceduto e mi ha fatto scoprire luoghi di bellezza incomparabile e incontrare persone «giuste» e innamorate di Dio anche nei posti più impensabili.
Credere in queste parole di Gesù è anche un disintossicante per chi vive la crisi del nostro tempo che spinge molti a credere che la nostra religione, la nostra cultura, il nostro modo di vivere sono i «migliori», mentre degli «altri» bisogna diffidare. «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?», chiedeva Natanaele (Gv 1,46) chiuso nel suo pregiudizio che solo l’incontro con Gesù ha dissolto.
Questa attitudine a riconoscere che l’azione di Dio ci precede e non ha confini e che ogni uomo – perché è immagine di Dio – è capace di bene, non significa avere poca stima di sé e della propria fede o pensare che tutto quello che è «altro» sia meglio. È piuttosto il saper riconoscere che la misura di tutto non sono «io», ma «Dio». Qualsiasi atto bello e vero, anche se compiuto da un ateo o da uno di un’altra cultura o religione o tendenza politica, è sempre dono di Dio, in Lui ha la sua sorgente: «Tutto coopera al bene di quelli che amano Dio» (Rm 8, 28) e «respirano» il suo Spirito.