Lettere di Grazie ai lettori |
Mi chiamo Ludovico
Sono un missionario della Consolata di 33 anni di Mesagne, una cittadina in provincia di Brindisi nella regione Puglia. Desidero condividere la mia esperienza di missione riassumendo il cammino che ho fatto finora.
Due le mie esperienze forti: una in Argentina, a Martin Coronado (Buenos Aires) dove ho fatto il noviziato, e l’altra in Kenya, a Nairobi, dove mi trovo in questo momento a studiare teologia.
Argentina e Kenya, come potrete benissimo immaginare, sono due realtà molto diverse. L’esperienza in America Latina ha cambiato la mia fede e scalzato tutto ciò in cui avevo posto le mie certezze, mettendomi davanti agli occhi la realtà della vita e facendomi capire che il mondo è molto diverso da come lo immaginiamo e non è solo quello che viviamo ogni giorno nelle nostre comodità. La missione però non ti presenta solo difficoltà, ti regala anche tante emozioni, poiché la condivisione con la gente è il primo fine di noi missionari; non costruire chiese, scuole! Anche questo è ovvio, ma prima di tutto viene la persona, l’ascolto.
Potrete ben immaginare come abbia sofferto il fatto di dover lasciare l’Argentina, una terra fantastica, una gente super accogliente…
Dopo il noviziato i miei superiori mi hanno detto che sarei dovuto venire qui in Africa. Non è stato facile. Per niente. Cultura, cibo, abitudini, modo di pensare e di affrontare i problemi, tutto è diverso. È tutto un altro mondo. Ho dovuto rivedere (e sto ancora rivedendo) la mia fede. Una fede che non trova pace poiché qui si sperimenta facilmente «l’abbandono di Dio».
Già, non mi vergogno a dirlo. A volte con Lui faccio a cazzotti. Ci sono situazioni qui che non sono facilmente giustificabili solo dicendo: «Dio è con noi». No. Qui c’è veramente da affrontare la realtà, ogni giorno, rimboccandosi le maniche e dando il massimo, a volte anche andando oltre le tue forze.
Però l’Africa è bellissima. Essa mi ha insegnato a non essere ansioso, ad affrontare i problemi con serenità, che i fallimenti fanno parte della vita ma non sono essi a determinarla o ad avere l’ultima parola.
Ho vissuto la mia seconda Pasqua qui in Kenya, quest’anno con tanta nostalgia della mia terra. Ma essere missionari porta a delle rinunce, a lasciare la famiglia, gli affetti più cari, seguendo quella voce da cui senti che dovrai prima o poi davvero lasciarti guidare.
Forse non sono esaustivo con queste parole, ma non è facile raccontare «la missione». Bisogna viverla. Quindi il mio è un invito affinché ognuno di voi coltivi prima in se stesso, e poi seminandole intorno, la gioia e la bellezza della missione. È tempo di andare, di uscire da se stessi. È tempo di incontrare. È tempo di amare.
Un abbraccio a tutti e grazie ancora per questa opportunità! Dio vi benedica!
Ludovico Tenore,
Nairobi 06/05/2018
Grazie e ancora Grazie
Dalla Costa d’Avorio
Mi chiamo Philippe. Nel 2002 mi avevano preso per un corso di formazione nel complesso di zuccherifici di Borotou-Koro, qui in Costa d’Avorio. Era la mia possibilità di essere poi assunto in pianta stabile. Ma lo scoppio della guerra nel settembre 2002 ha bloccato tutte queste speranze. Sono tornato allora a lavorare nei campi per nutrire mia madre, mia sorella e il mio fratellino. In quel periodo non ero ancora sposato e non avevo figli. Sono stati tempi duri. Poi la mia vita è cambiata. Nel 2007 i missionari di Dianra mi hanno mandato a studiare a Korhogo, nel Nord del paese, come ausiliario nella sanità, e ho lasciato mia sorella e mio fratello – ormai cresciuti – a occuparsi dei campi. Il corso è durato tre anni e sono stato promosso a pieni voti, il primo del mio gruppo. A Dianra avevano appena inaugurato il centro sanitario Joseph Allamano e con Alice e Suzanne sono stato il primo a lavorarvi. È un servizio che mi riempie di gioia e soddisfazione perché aiutiamo la gente del nostro villaggio e posso mantenere bene la mia famiglia con i miei tre bambini.
Grazie ai missionari e ai loro amici per quanto hanno fatto per me e per la gente di Dianra.
Philippe da Dianra
Mi chiamo Suzanne Soro Gnimin. Nell’anno scolastico 2006-2007, mentre mi stavo preparando per l’esame di licenza media, i missionari della Consolata mi hanno offerto di fare un corso di formazione sanitaria perché stavano progettando di costruire un centro di salute. Ho accettato la loro proposta e nel settembre 2007 sono andata a Korhogo in un centro di formazione professionale dove ho studiato per 3 anni. Nel 2010 ho preso il Diploma Cap (Certificat d’Aptitude Professionnelle). I missionari della Consolata mi hanno assunto nel loro nuovo centro sanitario dove lavoro ancora oggi. Al momento sono felice perché, grazie a questo lavoro, posso prendermi cura di me stessa, dei miei figli e della mia famiglia. Dico un grande grazie e mi sento molto grata per tutto ciò che ho ricevuto grazie al loro sostegno. Prego che il Signore, che li ha scelti per la sua missione, li protegga e dia loro sempre coraggio e saggezza per aiutare altri come me.
Suzanne da Dianra
Grazie dall’Argentina
Buon giorno a tutti i fratelli. Sono Juan de Dios López, cacique della comunità Territori Originari Wichi. Ringrazio lo sforzo di tutta la Chiesa, nella persona del fratello José (padre Giuseppe Auletta, ndr), che ha potuto condividere con noi la sua vita, dato che è difficile capire persone come noi. Ci siamo rivolti alla Chiesa, e la Chiesa, provvedendo i materiali, ha collaborato con il nostro progetto di allacciamento alla conduttura dell’acqua. Noi abbiamo messo il nostro lavoro scavando un fossato di quasi tre chilometri. Il lavoro, durato parecchio tempo, ha prodotto un miglioramento notevole del benessere della comunità. Questa è molto contenta e soddisfatta, dato che la Chiesa è stata l’unico attore presente nella nostra difficile situazione. La comunità, poco a poco, ha migliorato le sue condizioni riguardo alla semina, alla riforestazione e all’orticoltura. La comunità finalmente ha l’acqua, risultato anche di un impegno comune.
[Prima, per soddisfare il bisogno di acqua,] dovevamo camminare circa tre chilometri, fare tanto sacrificio e, inoltre, dovevamo trattare con i vicini che ci limitavano l’acqua, e la cosa si rendeva molto pesante. Tuttavia, grazie al fratello José e al nostro sforzo ora abbiamo l’acqua, possiamo lavorare e migliorare.
Ci siamo organizzati nella comunità per lo scavo del fossato e abbiamo dovuto tralasciare le nostre attività abituali per poter avere l’accesso all’acqua e allacciare i tubi di irrigazione alla rete principale. Con questo sforzo la comunità ha potuto recuperare la vita degli alberi. Consideriamo importante non sprecare l’acqua, così come l’ombra che ci danno gli alberi. La comunità può recuperare specie originali come il quebracho, il lapacho, il palo amarillo, il yuchán, l’algarrobo e tutto ciò che ha a che vedere con il rimboschimento ancestrale. Abbiamo avuto formazione adeguata al riguardo. Perciò siamo veramente grati alla Chiesa, attraverso il fratello José e quanti stanno collaborando alla questione indigena. Senz’altro, la comunità continuerà con la propria organizzazione e miglioramento, con la fedeltà alle nostre usanze ancestrali, chiedendo che i fratelli comprendano che abbiamo bisogno di molte cose, mentre noi ci sforziamo di far tutto con spirito comunitario, per migliorare ed essere parte del mondo che ci circonda.
In nome di tutta la comunità desideriamo far arrivare un abbraccio a quanti hanno collaborato al nostro progetto.
Cacique Juan de Dios López
Tartagal, Salta, Argentina
Grazie dalla Colombia: «Un ranchito para mi gente»
Nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù de La Tagua sul rio Putumayo in Colombia opera un gruppo Caritas che, tra i vari progetti, ha anche quello di costruire delle casette per persone povere. Con questo progetto, «un ranchito para mi gente», finora siamo riusciti a costruire due casette di legno: una a Raquel Cerityama, un’anziana di 75 anni, e un’altra per Emerita Zafirakudo, una madre con 7 figli. Il gruppo Caritas ha aiutato anche a completare le case di un’anziana di 81 anni e di una famiglia con 10 figli. Per realizzare questi «ranchitos» la comunità integra gli aiuti che arrivano tramite amici e benefattori, anche dall’Italia, con una serie di iniziative locali per stimolare la solidarietà con offerte di materiale o di cibo. Facciamo anche delle piccole lotterie (niente di super: qualche pollo e un po’ di bibite in premio!). Per la costruzione si fa poi una «minga» (lavoro comunitario), che si conclude naturalmente con un bel pranzo tutti insieme. Da Raquel ed Emerita e i suoi 7 figli, il grazie più sincero anche a nome degli altri poveri di La Tagua.
Padre Gabriel Armando,
La Tagua, Putumayo, Colombia