Angola: Verso una nuova missione ad gentes

Nel cuore dell’Africa

Testo sull’Angola di Marco Bello, foto di Diamantino Antunes |


Angola. Dalle grandi città in cui svettano i grattacieli e brulicano le baraccopoli, alle savane sperdute e spopolate. In Africa le sfide per la missione ci sono tutte. Così i missionari della Consolata iniziano un nuovo servizio. In una zona lontana e (quasi) abbandonata da 50 anni. Portando la loro esperienza e lo stile che li caratterizza.

È l’11 settembre del 2010 la data sulla prima lettera spedita da monsignor Jesus Tirso Blanco al superiore dei missionari della Consolata, all’epoca padre Aquileio Fiorentini. In essa il vescovo di Luena lo invita a mandare un’équipe missionaria nella sua diocesi. Siamo nell’Angola profonda, nella provincia di Moxito, al confine con Repubblica Democratica del Congo e Zambia. Il cuore dell’Africa.

Monsignor Tirso Blanco è argentino e salesiano. Ha passato una vita in Angola e dal 2008 è vescovo di questa diocesi, tra le più vaste dell’Africa subsahariana. Conosce il valore e lo stile dei missionari della Consolata, in particolare per il loro lavoro in Mozambico, paese lusofono, che ha similitudini storiche e culturali con l’Angola.

Ci racconta padre Diamantino Antunes, superiore dei missionari della Consolata in Mozambico e incaricato di seguire l’Angola: «Da quando è stato ordinato vescovo, mons. Tirso Blanco ha cercato per la sua diocesi quello di cui aveva, e tuttora ha, più bisogno: missionari. Non avendo clero locale e pochi religiosi missionari, è alla ricerca di équipe missionarie per far rivivere le antiche missioni che sono abbandonate da 50 anni, da quando è iniziata la guerra coloniale. Si rivolge sia in Angola sia all’estero. Lui conosce la nostra esperienza in Africa e, in particolare, nella missione ad gentes. Conosce il lavoro che facciamo in Mozambico dove siamo in aree difficili, di prima evangelizzazione. E apprezza il nostro approccio nella formazione di catechisti, dei laici come membri attivi della chiesa. Ha cercato quindi missionari qualificati per la sua diocesi, che potessero portare un valore aggiunto. Occorre essere disposti a lavorare in zone distanti e difficili, con metodologia nuova, anche se già sperimentata altrove».

Padre Diamantino è stato nella diocesi di Luena e in particolare nella cittadina di Luacano, lo scorso dicembre. È qui che il vescovo ha chiesto ai missionari della Consolata di riaprire una missione, e lo ha fatto tramite una seconda lettera, nel febbraio 2015, scritta a padre Stefano Camerlengo, eletto nel frattempo superiore dell’Istituto.

Missionari della Consolata in Angola. (© AfMC / Diamantino Antunes)

Una provincia isolata

Area molto vasta e sotto popolata, la provincia di Moxico è stata particolarmente toccata dal conflitto. Prima la guerra di liberazione dai coloni portoghesi (iniziata nel 1961) e poi, dal ‘75, la guerra civile tra Mpla (Movimento popolare di liberazione dell’Angola) e Unita (Unione per l’indipendenza totale dell’Angola). «La guerra ha colpito duro qui. Dall’inizio è stata zona di influenza di Unita, che l’ha controllata fino alla fine, nel 2002. Sono stati usati bombardamenti aerei che hanno distrutto le poche costruzioni permanenti, tra cui le chiese». Proprio qui è stato ucciso Jonas Savimbi, il leader storico dell’Unita, evento che ha portato alla fine delle ostilità.

A causa della guerra la provincia si è quindi ulteriormente spopolata. Molti sfollati sono fuggiti nei paesi confinanti e numerose sono state le vittime.

Oggi assistiamo a un impegno del governo per ricostruire le infrastrutture. Ricorda padre Diamantino: «Le cose stanno migliorando dal punto di vista della comunicazione. È stata ripristinata la ferrovia che collega la costa con Luena e i paesi confinanti. Il treno passa anche da Luacano. Questo è importante per rompere l’isolamento della zona, sia verso la capitale, sia verso gli altri stati. È una regione fertile per cui il governo sta cercando di svilupparla».

Il governo, in origine di ispirazione marxista leninista, è molto collaborativo con la diocesi, e vede bene l’insediamento di nuovi missionari in zone sperdute. Ci spiega padre Diamantino: «Passati gli anni della rivoluzione e dell’antagonismo, oggi il governo è interessato a collaborare con la chiesa cattolica. È infatti la chiesa maggioritaria nel paese e ha avuto molta influenza sull’educazione e la formazione. Le autorità vedono come un grande aiuto la sua presenza, soprattutto in questi posti più isolati».

E continua: «Forse anche perché la crisi economica sta attraversando il paese. In ogni caso la chiesa cattolica è vista come un’istituzione che può fare la differenza. In particolare, il vescovo salesiano ha una preoccupazione sociale molto forte. Lavora per attivare progetti per alfabetizzazione, scuola, sviluppo. E il suo lavoro è molto apprezzato».

Arrivo del gruppo di visitatori Missionari della Consolata a Luacano – Padre Freddy Gómez in compagnia di Dom Jesus Tirso Blanco, vescovo di Luena, all’arrivo alla stazione di Luacano, nell’Est dell’Angola, il 19 dicembre 2017 (© AfMC / Diamantino Antunes)

Un altro paese africano

Ma perché i missionari della Consolata, già presenti in nove paesi del continente, hanno deciso di affrontare una nuova sfida, proprio nel gigante angolano? Lo abbiamo chiesto a padre Fredy Alberto Gómez Pérez, che è stato tra i primi tre ad arrivare nel paese, il primo agosto 2014.

«Già nel capitolo generale di São Paulo del 2005 (riunione di tutti i delegati dell’Istituto nella quale si elegge il consiglio e il superiore generale, ndr) si era parlato di una nuova apertura missionaria e in particolare nell’Africa lusofona. Questo perché tra i paesi di lingua portoghese l’Istituto è presente solo in Mozambico. L’idea è stata ripresa sei anni più tardi con più forza ed è iniziata una ricerca per definire il paese», ci racconta padre Fredy.

«La scelta è caduta sull’Angola e le motivazioni erano due: il bisogno nel paese di missionari ad gentes, in terra di prima evangelizzazione, e una richiesta da parte di diocesi con bisogno di clero, per appoggiare il lavoro nella pastorale urbana». Padre Francisco Lerma Martínez, all’epoca superiore dei missionari della Consolata in Mozambico, oggi vescovo di Gurué, intraprese un viaggio in Angola, dove visitò tutte le diocesi e si confrontò con i diversi vescovi.

Era il 2011 ed esisteva già una richiesta pendente: quella di monsignor Tirso Blanco della diocesi di Luena. «I superiori si confrontarono con diverse congregazioni e vescovi e fu loro sconsigliato di iniziare con una missione in una zona come quella, lontana e complessa, un luogo di frontiera». La scelta quindi è andata alla diocesi di Viana, creata nel 2008 da uno smembramento dell’arcidiocesi di Luanda (la capitale). Qui il contesto è quello della periferia urbana della capitale, con alta densità di popolazione e il continuo arrivo di gente dalle province. I cattolici in quest’area sono il 40% della popolazione e la problematica principale è la mancanza di sacerdoti.

Capella di un villaggio di Luacano (© AfMC / Diamantino Antunes)

I primi tempi

Oltre a padre Fredy, gli altri missionari della Consolata a stabilirsi in Angola sono stati padre Dani Antonio Romero Gonzales, venezuelano, e padre Sylvester Oluoch Ogutu, keniano. Una squadra piuttosto giovane: tutti sotto i 40 anni e freschi di ordinazione. Solo Fredy aveva un’esperienza precedente in Repubblica Democratica del Congo.

«Ci accolsero i missionari Xaveriani di Yarumal, una congregazione colombiana. Ci ospitarono presso di loro alcuni mesi. La collaborazione fu ottima e lo è tuttora. La parrocchia che avremmo dovuto gestire, sant’Agostinho a Kapalanga, era stata ritagliata da un’altra molto più vasta. In un’area di 27 km2 vivono 17.000 persone. Ci sono otto cappelle intorno alle quali si riuniscono altrettante comunità. I molti fedeli avevano grosse difficoltà a recarsi nella sede parrocchiale piuttosto distante e la presenza dei sacerdoti era temporanea».

Ricorda padre Fredy: «Nei primi incontri con la comunità abbiamo sentito una sete profonda di presenza dei padri, e dell’ascolto della parola di Dio. Un sentimento e una necessità di tutti. Siamo stati accolti con molto calore». Le prime difficoltà sono state invece di tipo logistico. La parrocchia possedeva solo due terreni, su cui edificare la chiesa e la casa. «Essendo appena arrivati cominciavamo da zero: non avevamo casa, né mezzi di trasporto. Si è subito creata un’iniziativa di grande cooperazione missionaria, per cui gli altri paesi africani in cui i missionari della Consolata sono presenti, ma anche europei e sudamericani, in particolare il Brasile, hanno raccolto fondi per la nuova presenza in Angola».

I tre missionari sono stati per alcuni mesi dagli Xaveriani, per poi, grazie all’appoggio della comunità di Kapalanga, affittare un alloggio nei pressi della parrocchia, dove abitano tuttora. Racconta ancora padre Fredy: «Grazie alle offerte locali riuscimmo a costruire un salone, che funge oggi da chiesa parrocchiale temporanea, oppure da salone per le riunioni. Un altro problema pratico è stato il trasporto. Chiedevamo auto in prestito o andavamo con i mezzi pubblici e i mototaxi. Finalmente abbiamo acquistato un’auto e una moto».

L’accoglienza è stata dunque molto calorosa e, ricorda padre Fredy, difficoltà logistiche a parte: «Era necessario investire tempo nella formazione della comunità, non solo nelle infrastrutture, affinché assumesse una coscienza di vera famiglia. I fedeli ci accolsero molto bene e si diedero subito molto da fare per aiutarci, non solo per l’integrazione. Anche per trovare soluzioni ai problemi pratici».

Cappella di Luacano (© AfMC / Diamantino Antunes)

Secondo (e terzo) atto

Dopo il primo anno si è iniziato a parlare di una seconda missione da aprire. Restava pendente la richiesta di monsignor Tirso Blanco per Luacano. Ricorda padre Fredy: «Le opzioni sul tavolo erano due: Luacano in Luena, oppure Caxito, capitale della provincia di Bengo. Una diocesi nuova come quella di Viana e non lontana. Si optò per quest’ultima. Questo perché, essendo una seconda missione, era preferibile fosse vicina alla prima, per comodità logistica. Per condividere le esperienze e rafforzare la presenza dell’Istituto in Luanda nella pastorale della periferia urbana, molto popolata e carente di sacerdoti».

Non si poteva però restare sordi alla richiesta dell’Angola profonda, così «si decise che la terza apertura sarebbe stata in Luena, in tempi non troppo lunghi».

Sono arrivati in Angola tre nuovi missionari molto giovani, tutti sotto i 35 anni: Luis Antonio de Brito, brasiliano, e due tanzaniani: Heradius Germanus Mbeyela e Marcos Mwasatila Mapinduzi Simbeye. E nel 2016 è iniziato il lavoro nella parrocchia di Funda, diocesi di Caxito.

Questione di stile

Adesso i tempi sono maturi anche per Luacano e, dopo diverse visite, i missionari si apprestano a iniziare questa nuova avventura, entro la fine dell’anno.

Padre Diamantino: «Come missionari è una grande sfida. Anche se abbiamo l’esperienza e siamo ad gentes, siamo da poco in questo paese e le nostre due presenze vicino a Luanda sono molto diverse. Si tratta di zone urbane o periurbane, con buona presenza cattolica. Il lavoro è più facile da organizzare, da portare avanti. Lì stiamo portando un po’ del nostro stile. A Luacano, il contesto è molto diverso. I cattolici sono solo l’8-9% e il territorio è vasto e spopolato. Inoltre, oggi l’Istituto non ha a disposizione gli stessi fondi che aveva in passato e tutto diventa più difficile. Tuttavia, il gruppo di missionari che abbiamo in Angola è giovane e motivato. La scelta non è stata imposta dall’alto, ma sentita. Perciò sono disponibili ad andare, anche se la situazione è molto più difficile di dove siamo adesso. A Kapalanga e Funda c’è molto lavoro, ma anche molte soddisfazioni. Dove andremo a Luena si dovrà cominciare tutto da capo, occorrerà molto spirito missionario, per andare a cercare le persone, ricostruire le comunità. Sapendo che tante cose mancheranno: la tecnologia, le vie di comunicazione. Ma abbiamo uno spirito missionario da pionieri. Anche in Angola il nostro stile di presenza è marcato: con pochi mezzi, una presenza di contatto con la gente, e questo porta a una grande collaborazione da parte della popolazione».

Saluto di Mons. Tirso a Luacano (© AfMC / Diamantino Antunes)

 

Gente molto religiosa

Un’altra sfida nell’area di Luacano è la penetrazione di quelle che padre Diamantino chiama «sette cristiane e chiese indipendenti africane», che hanno preso lo spazio lasciato libero dalla chiesa cattolica.

Le prime sono costituite da gruppi che hanno origini esterne e si stanno diffondendo. Le chiese indipendenti africane, invece, sono un fenomeno in crescita nel continente. «Fondate da africani, in Africa, per gli africani, non sono legate a nessuna chiesa storica. Alcuni fondatori si considerano veri profeti. Queste chiese hanno qualcosa del cristianesimo, come l’uso del Vangelo, ma anche molti aspetti delle religioni tradizionali africane». In particolare, padre Diamantino si riferisce anche a riti più legati alla sfera della stregoneria che della religione.

«In generale questo popolo con cui andremo a lavorare è rimasto un po’ indietro, perché è molto isolato, questo anche nelle aree confinanti degli altri due paesi. Perciò non si sono lasciati molto penetrare dalla colonizzazione, né dall’evangelizzazione, rimanendo molto legati alla tradizione. Nei confronti dei popoli vicini hanno delle caratteristiche proprie. Praticano molto religioni tradizionali ma anche stregoneria».

E continua: «Quello che ho sentito è che si tratta di un popolo un po’ passivo. Nonostante la terra sia fertile, è poco sfruttata. Si dedicano in prevalenza alla pesca (c’è abbondanza di pesce nel lago Diolo, il più grande del paese, ndr) e alla caccia. Si limitano a poche colture, come la manioca. Anche dal punto di vista dello sviluppo umano sono indietro rispetto ad altri popoli. Hanno ricevuto meno educazione, e hanno meno intraprendenza di altri popoli. Penso che dipenda anche dall’isolamento e da un certo atavismo culturale». Fa quindi un parallelismo con una zona di missione simile in Mozambico: «È una zona simile dal punto di vista religioso e culturale a quella di Fingué, nella diocesi di Tete, in Mozambico (Cfr. MC maggio 2015). La differenza è che lì sono confinanti con paesi più sviluppati e questo fornisce influsso positivo.

A Fingué, nonostante le difficoltà c’è da parte della gente curiosità e apertura. Abbiamo lavorato per creare una base affinché la comunità possa svilupparsi, ovvero formato laici, catechisti, in grado di fare essi stessi la chiesa. L’esperienza in Mozambico può insegnarci molto per Luacano».

L’avventura continua

A fine giugno 2018 padre Fredy Gómez e padre Luiz Antonio de Brito si recheranno a Luacano con l’obiettivo di incontrare tutte le comunità. In particolare, quelle intorno al lago Diolo, che è l’area dove si concentra la popolazione. Qui si riesce ad andare solo quando non è stagione delle piogge. Il programma prevede che tre missionari della Consolata vi si stabiliscano a settembre.

Ci spiega padre Fredy: «Dobbiamo incontrare i leader locali e la gente attiva nella pastorale, come i catechisti e i laici impegnati. Sono coloro che sono riusciti a mantenere la presenza cristiana e cattolica in quelle zone durante gli ultimi 50 anni».

Marco Bello

Si preparano i tamburi per la celebrazione della Messa (© AfMC / Diamantino Antunes)
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