Di Paolo Farinella |
Perché preghiamo? Perché Paolo supplica i Tessalonicesi di «pregare ininterrottamente» (1Ts 5,17), definendo così espressamente la preghiera come «stato permanente» e non come una serie di «momenti» collezionati uno dopo l’altro, magari separati dalla vita? Perché nei racconti della passione di Gesù, tutti e tre gli evangelisti sinottici (Marco, Matteo e Luca) riportano l’invito di Gesù a vegliare e a pregare? (Mt 26,41; Mc 14,38; Lc 21,36). La veglia esige la massima attenzione e dunque la preghiera è un atto responsabile come di chi veglia sulla sicurezza degli altri. Genitori, insegnanti, vescovi, preti, religiosi, monaci e monache hanno coscienza che per loro pregare è stare sugli spalti a garantire la sicurezza dei figli, dei discepoli, dei piccoli, del mondo?
La risposta è in Gv 8,31-32: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». La traduzione della Cei-2008 è più abbondante del testo greco che testualmente dice: «Se voi restate/dimorate/aspettate nella parola, quella mia, veramente discepoli miei siete». Il verbo «mèn?» indica lo stare stabilmente, cioè il dimorare che comporta e comprende anche l’attesa, cioè un sentimento di relazione tra chi è «nella dimora» e chi non c’è ancora, ma sia l’uno che l’altro, pur assenti fisicamente, sono presenti nel desiderio, nella tensione. Lo sanno gli innamorati che sperimentano l’attesa con un’intensità maggiore di quella dell’incontro stesso. Per vivere però la preghiera come stato di vita, è necessario esercitarsi, cioè fare esercizi per imparare, educarsi, verificare e sapere sempre «dove» ci si trova. Proviamo a vedere se riusciamo a impostare la preghiera non «come viene viene», ma con metodo e disciplina.
Metodo:
a. Scegliere un tempo delimitato per la preghiera (un quarto d’ora, mezz’ora, un’ora) e osservarlo scrupolosamente, orologio alla mano. Può sembrare una banalità, ma è una questione di disciplina seria.
b. Scegliere una posizione corporale adeguata, escludendo tassativamente solo il camminare, perché per sua natura è distrattivo, dispersivo. Si può stare seduti, coricati, in piedi, semi-inginocchiati, ecc.
c. Spegnere (non silenziare!) cellulare o altri aggeggi che, senza accorgercene, possono diventare i nostri «idoli».
d. Invocare lo Spirito Santo che venga in aiuto alla nostra fragilità (cf Rm 8,26). In una prima fase, propedeutica, si può utilizzare l’inno dei Primi Vespri di Pentecoste: «Veni, Creator Spiritus – Vieni Spirito Creatore».
e. Poi seguire ogni volta i seguenti passi:
- 1° Passo: scegliere un testo biblico. Se si ha un criterio personale, si segua quello, oppure si prenda un libro dell’AT o del NT (non i Salmi).
- 2° Passo: leggere il testo scelto di seguito fino in fondo, cercando di capirne il senso generale, l’insieme.
- 3° Passo: rileggere il testo, più lentamente e fermarsi sulle parole che sembrano più significative.
- 4° Passo: rileggere per la 3a volta, ma questa volta soffermarsi sulle azioni, espresse dai verbi, sottolineandoli.
- 5° Passo: con quale persona o protagonista o azione m’identifico? Nel testo «dove» mi colloco?
- 6° Passo: la Parola di Dio parla a me, adesso e qui: cosa dicono a me le parole? Dove sto io «nella» Parola?
- 7° Passo: rileggo il testo in modo che le singole parole scorrano dentro il cuore come un rivo d’acqua e scruto quale senso acquistano «per me». Scegliere la parola «chiave» che rivela me a me stesso.
- 8° Passo: ringraziamento allo Spirito Santo per aver concesso il tempo di «stare sulla Parola» (Gv 8,31-32).
- 9° Passo: andare nella vita portando il sapore e la «parola chiave» che abbiamo pregato, ripetendola come ritornello.
Un esercizio su Genesi 1
Propongo, come esercizio il testo di Gen 1, il racconto sacerdotale (sec. VI-IV a.C.) che la liturgia propone come 1a lettura nella Veglia di Pasqua di ogni anno. Molti lo considerano arido, monotono, ripetitivo e non sanno cosa si perdono.
Leggiamo il testo una volta in modo continuo per avere un’idea del senso generale in sé. Usiamo il testo della Bibbia-Cei (2008), anche se non ci piace, perché stiamo pregando e non facendo esegesi.
Dal libro della Gènesi 1,1-2,2
1In principio Dio creò il cielo e la terra. 2La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
3DISSE Dio: «Sia la luce!». E la luce fu.
4Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. 5Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte.
E fu sera e fu mattina: giorno primo.
6DISSE Dio: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». 7Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. 8Dio chiamò il firmamento cielo.
E fu sera e fu mattina: giorno secondo.
9DISSE Dio: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto». E così avvenne. 10Dio chiamò l’asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. 11DISSE Dio: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. 12E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona.
13E fu sera e fu mattina: giorno terzo.
14DISSE Dio: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni 15e siano fonti di luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E così avvenne. 16E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle. 17Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra 18e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona.
9E fu sera e fu mattina: giorno quarto.
20DISSE Dio: «Le acque brùlichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». 21Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brùlicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. 22Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra».
23E fu sera e fu mattina: giorno quinto.
24DISSE Dio: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie». E così avvenne. 25Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona.
26DISSE Dio: «Facciamo Àdam a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
27E creò Dio Àdam a sua immagine; / a immagine di Dio lo creò: / pungente e forata li creò.
28Dio li benedisse e Dio DISSE loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».
29DISSE Dio: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. 30A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. 31Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.
E fu sera e fu mattina: giorno sesto.
2,1Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. 2Dio, nel giorno settimo, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel giorno settimo da ogni suo lavoro che aveva fatto.
Entrare nel testo
Rileggiamo il testo più lentamente e sottolineiamo le parole che riteniamo importanti, specialmente verbi, comandi, protagonisti, avverbi. Gesù ha detto che «non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto» (Mt 5,18). È quanto accade adesso e qui per me che prego: si compie in me la Parola perché io diventi «Parola di Dio», Parola di carne. In questo esercizio facciamo una scelta, che è indicativa, ben sapendo che «ogni singola parola» racchiude in sé «settanta significati»: spetta a noi scoprirli e farne il contenuto della nostra vita. Nello spazio di un articolo non possiamo dilungarci troppo.
Il senso generale che emerge dal testo è un cantiere animato. Dio ordina, comanda e le cose ubbidiscono e si realizzano. In questo brano troviamo queste ricorrenze: disse (10 volte) separò (5 volte), avvenne (4 volte), benedisse-siate fecondi (2 volte), portare a compimento (2 volte), e fu sera e fu mattino (6 volte), secondo la propria specie (5 volte).
Osservazioni oranti
Notiamo l’ostinazione del verbo «disse» (10 volte) cui corrisponde il «ritmo del tempo», declamato come un ritornello responsoriale: «e fu sera e fu mattina: giorno primo, secondo, ecc.» (6 volte). Verbo e ritmo emergono da un contesto negativo che è la non-forma della terra, la quale per giunta è deserta, aggravata dall’oppressione dell’abisso. Un senso di oppressione avvolge tutto, stemperato da uno spiraglio lontano perché in questo vuoto, dominato dal buio totale, aleggia (alla lettera: cova) il «soffio-ruàch» in attesa dello scoppio del primo «Disse». È la Parola che rompe il vuoto abissale e s’impone.
Non solo, ma a ogni «disse» corrispondono un ordine e una esecuzione: Dio crea parlando e parla creando. L’azione più importante che segue è una costante opera di «separazione/distinzione»: la luce dalle tenebre, il firmamento dal mare, la terra ferma dal mare, il giorno dalla notte. Poi segue un processo di fecondità «secondo la propria specie» (per 5 volte).
Ci fermiamo qui, per motivi di spazio per riprendere nella prossima puntata lo stesso testo. Ora tiriamo qualche conclusione.
- Se provo un senso di vuoto o d’inutilità, penso che sono nella condizione per una «ricreazione» della mia vita? Mi rendo conto che «il soffio-ruàch di Dio» alleggia su di me, «mi sta covando»?
- Cosa impedisce in me l’esplosione del «Disse» di Dio?
- Per chiamare le cose che crea con il proprio nome, Dio prima deve fare opera di separazione. Ogni separazione comporta sempre tagli e distinzione. So che per mettere ordine nella mia vita devo «buttare tutto all’aria» e poi cominciare «con disciplina e ordine» a catalogare scelte, azioni, sentimenti, progetti, decisioni «secondo la propria specie»?
- La mia vita è simile a una biblioteca, dove i libri non possono stare alla rinfusa, ma secondo uno schedario ordinato e praticabile. Posso contare le volte che ho messo «ordine» nella mia vita? Con quale risultato? Coloro con i quali mi rapporto, possono trovare in me con facilità «il volume» che interessa loro o si trovano disorientati? In che modo posso essere strumento del «disse Dio» se io non ne ho coscienza?
- Posso vivere alla rinfusa, o devo avere un ritmo costante e rigoroso? (1° – 2° – 3°… giorno… e fu sera e fu mattino?). So distinguere la sera dal mattino? Cosa vuol dire per me: «Separare la luce dalle tenebre»?
- Chiamo tutto ciò che riguarda la mia vita «per nome»? Oppure vivo alla giornata per forza d’inerzia?
- Se vivo per forza d’inerzia o per abitudine, come posso essere fecondo/a «secondo la mia specie»? Mi sono mai chiesto quale sia «la mia specie»?
- Mi sperimento come «immagine» di Dio e capisco cosa significa? Se sono «immagine», penso mai che la credibilità di Chi rappresento passa attraverso la mia vita, le mie scelte, il mio comportamento?
Si può proseguire così, ritornando sul testo, rimuginandolo, ruminandolo, senza prendere alcuna decisione, ma facendo danzare nel proprio cuore i sentimenti e le intuizioni che la Parola di Dio ha suscitato. Scegliere un verbo del testo o una espressione che più si è insinuata «dentro» e ripeterla nella giornata, cercando di capire dove si colloca nel proprio intimo: è la «chiave» tra un tempo di preghiera e l’altro. Così tutta la vita si prepara a sentire risuonare la Parola in modo perenne: «Disse Dio» e ora «Dice a me», qui.
Un accorgimento: trascrivere le parole o i versetti che si sono percepiti come più importanti e portarseli dietro, leggendoli durante la giornata in modo veloce, senza ansia, come il respiro di un Amen. Ciò che importa è sorseggiare lentamente tutta la Parola di Dio, parola per parola, mangiandola fino a gustarne la dolcezza, come fece il profeta Ezechiele che mangiò il libro e sperimentò il gusto del miele (Ez 3,1-3).
Paolo Farinella, prete
[La Preghiera, 13 – continua]