Cari missionari dialogo con i lettori
Un anno senza Romolo
Ci lasciava un anno fa Romolo Momo Levoni, poeta dialettale, esperto di tradizioni locali e campione di solidarietà, fondatore e presidente del Grg (Gruppo Resurrection Garden).
È stato un anno duro, il 2016, un anno passato senza la presenza abituale, familiare, patea, rassicurante di quel piccolo grande uomo che era Romolo Levoni, per gli amici della sua terra Momo. Chi era abituato a vederlo nelle piazze di tutta la provincia di Modena col suo mulino ad acqua e con gli amici del Grg, quest’anno non l’ha più ritrovato, chi frequentava gli appuntamenti fissi con la cena di Castelnuovo Rangone e la festa della Manyatta su ai Roncaccioli di Lama Mocongo, non ha voluto mancare comunque, chi aspettava il sabato per leggere le sue «brontolate» in dialetto sulla Gazzetta di Modena, si è dovuto rassegnare e ormai da dodici mesi deve fae a meno, e, infine, chi attendeva, con l’ansia dei bambini la notte di Natale, i suoi auguri, che, da 38 anni, sotto forma di filastrocca dialettale (zirudele si chiamano a Modena) arrivavano puntuali per posta, ha dovuto accettare che non siano arrivati, com’era successo nel 2015. Le migliaia di amici e affezionati lettori di Romolo, dopo trentotto anni, non hanno ricevuto quella fotocopia in bianco e nero, fronteretro, che ogni Natale allietava, con allegria e lucida sagacia, raccontando i più significativi fatti e personaggi dell’anno in una zirudela (filastrocca dialettale in rima baciata, «per gli uomini in lingua» come avrebbe detto lui). Romolo la pensava, la scriveva, la stampava e la spediva, quella zirudela, sapendo di far felici amici sparsi per l’Italia.
Ci ha fatto una brutta sorpresa, dodici mesi fa, l’amico Romolo, poeta dialettale, esperto e scrittore di tradizioni locali, il saggio montanaro, ma soprattutto infaticabile benefattore, andandosene a 83 anni e lasciandoci un po’ più soli.
Soli, ma non rassegnati, né tantomeno fermi, i «suoi» infaticabili volontari del Grg, l’associazione che Romolo aveva fondato nel lontano 1991, con l’adorata moglie Carmen, poi trasformata in onlus nel 1999, per consentire gli studi a bambini della baraccopoli di Soweto, a Nairobi, in Kenya, in strutture create e gestite dai Missionari della Consolata. Quella straordinaria e unica esperienza che si chiama Familia Ufariji.
Solidarietà che ha saputo, per strada e negli anni, coinvolgere e raccogliere sempre più amici pronti a donare tempo, idee, lavoro e passione per raccogliere fondi per i piccoli «poveri, sfortunati fratellini» come li chiamava lui.
Fratellini che sicuramente ricordano le svariate visite che Romolo fece loro, direttamente a Nairobi e dintorni, che sentiranno di sicuro la mancanza del suo sguardo buono, del suo sorriso sereno, dei suoi abbracci sinceri.
Ma siccome Romolo ha seminato bene, i «poveri sfortunati fratellini» possono, e potranno, continuare a contare sul Grg che, nonostante altre perdite dolorose, come quella di padre Ottavio Santoro, e di un altro dei volontari, il consigliere Franco Muzzioli, superato il legittimo momento di dolore e sgomento, si sono riorganizzati e sono ripartiti mantenendo regolari le attività in Italia e in Kenya.
Questo grazie anche al fatto di aver trovato due nuovi fondamentali interlocutori in Kenya, come padre James Lengarin, amministratore regionale, e padre Joseph Mwaniki, responsabile del Resurrection Garden, conosciuti personalmente nella straordinaria visita che alcuni rappresentanti hanno effettuato in Kenya questo 2016. Padre James e padre Joseph sono giovani, attivi e affidabili e rappresentano una garanzia di buon uso delle risorse affidate loro.
«Romolo ci ha lasciato – scrive il presidente Sotero Marasti nella lettera d’autunno – consegnandoci una bellissima eredità fatta di bimbi che grazie al Grg possono istruirsi e avere un pasto assicurato… abbiamo avuto in eredità una associazione sana, viva e vitale con tante persone che per essa s’impegnano».
Tra questi vanno sicuramente ricordati Emilio, lo chef laziale trapiantato in Toscana che ogni anno emigra per un giorno a Castelnuovo per organizzare impeccabilmente la cena d’autunno del Grg, o come il suo grande amico Ermes, l’oste dei gabbiani, al quale Momo aveva dedicato un libro nel 2006 «Un gabian a Modna» e proprio nelle ultime settimane il seguito virtuale «Un eter gabian», la sua ultima pubblicazione. E ancora vanno ricordate le tante associazioni come il circolo di Castelnuovo, il Gruppo Alpini di Pavullo, gli Amici di Ermes, il Filo di Marinetta, le ragazze del Banchetto di natale e i ragazzi del Mercatino di Natale, i tanti che collaborano e rendono possibili iniziative come il picnic sotto le stelle o la Festa della Manyatta del 26 giugno, ricorrenza della Madonna Consolata, dal cui istituto provengono i padri che operano col Grg in Kenya.
Ma Romolo ha pensato ai suoi bimbi della scuola della Familia Ufariji anche in altro modo, cioè con il suo testamento: ha lasciato al Grg parte dei suoi beni, compresa la preziosa sede nella quale i volontari operano.
Era nato a Castelnuovo, ma da molti anni, con la moglie Carmen, si era trasferito tra i monti di Lama Mocogno, dove poteva dedicarsi all’orto, alla terra e ai boschi tanto amati; dopo gli anni del lavoro, da capostazione, memore della figura del padre ferroviere e amatissimo, si è dedicato agli studi delle tradizioni locali e alla scrittura. Da «sapiente della montagna», come lo definì il prof. Fabio Marri, diventò alla fine degli anni ’70 un vero esperto delle tradizioni locali, scrivendo, dal 1979 al 2015, e pubblicando decine di volumi tra i quali ricordiamo «Rosch e Bosch», «Mo… cojozzi», «Don Mario e noi», «Magner in dialat», «Piazza nuova e vecchi giuochi», «Un gabian a Modna», «Castelnuovo, gente e vita, da la saraca all’aragosta», lucidissima disamina su come la nostra società sia diventata da rurale a industriale e tecnologica.
Tra i tanti amici che sentiranno la sua mancanza ci sono anche Ermes, l’oste più famoso di Modena, che in tante occasioni ha destinato i fondi raccolti con le sue iniziative a base di gnocco fritto al Grg e che aveva seguito Romolo anche a Nairobi, in mezzo ai bambini adottati nella Familia Ufariji, Angelo Giovannini, che proprio insieme a Momo ha realizzato la sua ultima opera «Un eter gabian», Roberto Alperoli, ex-sindaco di Castelnuovo e intellettuale vero, che lo definì «un discolo senza età, dagli occhi indaffarati e dalle mani febbrili, sempre intento a cercare di aggiustare (almeno un poco) il mondo».
Esattamente come aveva fatto fino a un anno fa. Ciao discolo, tranquillo… i tuoi ragazzi vanno avanti, il Grg e i tuoi bimbi hanno un futuro.
Angelo Giovannini
per il Grg, Modena, 06/12/2016
Fratel Carlo da Catrimani
Pubblichiamo qui, con qualche taglio, l’interessantissima lettera di Natale di fratel Carlo Zacquini, missionario della Consolata tra gli indios Yanomami. I titoletti sono nostri.
Amici carissimi,
[…] cercherò di aggioarvi su alcune situazioni locali e attività che stiamo svolgendo.
Invasioni
In questi ultimi tempi, abbiamo avuto parecchie notizie sulla situazione dell’invasione illegale della Terra Indigena Yanomami e Ye’kuana, da parte dei cercatori d’oro. L’attività non tende a scemare, anzi, pare si stia spargendo. Un’operazione militare è stata fatta lungo il corso del rio Uraricoera, il mese scorso. Era il luogo che apparentemente aveva la maggior concentrazione di «garimpeiros», che stavano aumentando a vista d’occhio. L’operazione ha portato alla distruzione di una dozzina di chiatte e relativi macchinari che erano usati per l’estrazione dell’oro dal fondale del fiume.
In seguito, è stata montata un’altra operazione che ha forzato alcune centinaia di cercatori d’oro ad abbandonare le località che avevano occupato. Si spera sempre che il governo la smetta di giocare al ritiro di «garimpeiros», come azione per far tacere le denunce. Di fatto, in seguito, gli invasori ritornano agli stessi luoghi in poco tempo, e il governo (polizia, militari, …) può giustificarsi dicendo che reprimono l’attività illegale, ma non «riescono» a impedire il ritorno degli invasori. Indagini fatte dalla stessa Polizia Federale hanno scoperto come funziona il tutto: chi finanzia gli invasori, quanto rende questa attività e come è «lavato l’oro estratto illegalmente, per mezzo di una compagnia di valori di São Paulo. Non ho conoscenza di persone punite per queste attività illegali. In questo contesto di impunità, chi finisce per avere la peggio sono gli Yanomani.
Uccisioni
Ciononostante non sono gli unici a soffrie le conseguenze. È stata confermata l’uccisione di sei «garimpeiros» da parte di un gruppo di Yanomami, in una regione non lontana dalle sorgenti del rio Catrimani. La notizia che si è sparsa dopo la denuncia anonima di un cercatore d’oro «sconosciuto», è stata poi confermata da alcuni Yanomami a mezzo radio. Essi hanno anche avvisato che avevano bruciato i cadaveri. Due settimane fa, il governo ha organizzato una spedizione per riscattare i cadaveri. La spedizione che si è recata sul luogo con un elicottero (si tratta di località di difficile accesso in piena foresta), ha riportato a Boa Vista i resti dei corpi che erano stati bruciati con un fuoco molto grande, probabilmente ottenuto con l’uso del combustibile che i «garimpeiros» usavano per azionare i motori necessari per l’estrazione del minerale. L’identificazione dei «corpi» è stata affidata a specialisti che avranno certamente molto lavoro per arrivare a stabilire a chi appartenevano.
Mi sono chiesto come può essere capitato questo «incidente». Non è facile poterlo affermare. Anche se, come sempre, si sa che il modo di fare degli invasori è quello di cercare di ingannare gli indigeni, facendo promesse, distribuendo piccoli regali, foendo un po’ di alimenti (riso, sale, …). In alcuni casi offrono armi da fuoco ai leaders più influenti (fucili da caccia), e poi li tengono buoni lesinando le munizioni. Mi è stato detto anche che sarebbero morti tre bambini in poco tempo, forse per causa di malattie introdotte involontariamente dai cercatori d’oro; un indigeno ha detto che i «garimpeiros» avrebbero minacciato qualcuno di loro. Sta di fatto che il famoso massacro di Haximu, nel quale persero la vita sedici Yanomami, in maggior parte bambini, avvenne molto vicino al nuovo luogo del conflitto; gli Yanomami erano al corrente di come il tutto era avvenuto in quell’occasione, e con ogni probabilità hanno riscontrato qualche analogia nel comportamento di quelli che a suo tempo avevano partecipato all’atto genocida.
Funai ridimensionata
Su un’altra questione, abbiamo finalmente ottenuto da un funzionario della Funai delle buone fotografie aeree del villaggio di indigeni isolati che da oltre un anno sono in una località prossima ad uno dei luoghi di «garimpo» clandestino, e senza la possibilità di controlli, a causa della ristrettezza di fondi che il Goveo Federale ha stabilito per la Funai. Ho l’impressione che, in alto loco, stiano tentando di rendere la Funai un organo decorativo. Ci sono parecchi indizi, non solo a Roraima, che questo stia avvenendo.
È abbastanza frequente che autorità di vari livelli si pronuncino sfavorevolmente circa il rispetto dei diritti dei popoli indigeni garantiti nella Costituzione Federale.
Ad ogni modo, per lo meno per ora, pare che il villaggio isolato goda di buona salute; sono sulle spine perché questa situazione può precipitare in qualsiasi momento e nessuno sta prendendo provvedimenti per cercare di evitarlo.
Più morti che in guerra
Saltando di palo in frasca. Vi riporto alcuni dati che ho trovato sul giornale EcoDebate, il giorno 08/11/16: «Secondo i dati dell’Istituto di Ricerca Economica Applicata (Ipea) e del Forum Brasiliano di Sicurezza Pubblica, il Brasile ha raggiunto la cifra record di 59.627 omicidi nel 2014, il che equivale a 160 morti al giorno. Giovani neri, con poca scolarità, e donne sono le principali vittime di un paese il cui popolo, al contrario di ciò che si divulga, non è allegro, né pacifico o tollerante in relazione alle differenze. In verità, il Brasile si è mostrato uno dei paesi più violenti del mondo, nel quale le morti banali e futili, sono più numerose di quelle che succedono in nazioni in guerra». La traduzione veloce è mia, per cui ci può essere qualche errore. Ho paura di dimostrare col mio scritto molto pessimismo, me ne scuso, e cambio argomento.
Centro di Documentazione Indigena
I consiglieri della nostra Regione missionaria hanno deciso che si può mandare avanti il progetto di costruzione di un edificio ad hoc per il Centro di Documentazione Indigena (Cdi); ora si tratta di trovare qualche tecnico che si incarichi di elaborae il progetto. Per ora il Cdi funziona in locali improvvisati, e mi sembra che stia riscuotendo sempre maggiori consensi tra gli indigeni e tra gli studenti e insegnanti specialmente delle università locali. Sono sempre più frequenti quelli che ci cercano e consultano i nostri archivi; inoltre gradualmente finiscono per ingaggiarsi nel nostro lavoro e nel nostro sport preferito che è quello della difesa dei diritti dei popoli indigeni. A tutti voi che seguite le nostre attività/avventure, un buon Natale e un anno nuovo degno di buoni missionari; vi ricordo sempre nei miei sciamanismi. Con affetto.
fratel Carlo Zacquini
Boavista, Roraima, 05/12/2016
Mafie e denaro pubblico
La trasformazione dell’economia normale in economia criminale
I soldi pubblici (provenienti da appalti, sovvenzioni, contributi, concessioni e così via) costituiscono lo scopo primario del potere delle nuove mafie in Italia e segnano il connubio tra organizzazioni criminali, mondo dell’imprenditoria e politica. Quest’alleanza genera un vero e proprio sistema criminale, parallelo a quello legale, poco rischioso e dai guadagni incalcolabili. La criminalità organizzata ormai ha esteso i suoi tentacoli in ogni regione italiana condizionando il settore dell’imprenditoria che lavora soprattutto con i soldi pubblici. L’infiltrazione nel sistema di assegnazione e gestione del denaro pubblico avviene attraverso imprese «immacolate» sotto ogni punto di vista ma che, di fatto, sono già controllate dalla criminalità organizzata. L’intimidazione è l’extrema ratio, in quanto la mafia, attraverso il sistema corruttivo e il sostegno economico a queste imprese, che spesso sono in crisi, riesce a gestire il tutto senza particolari clamori e nella massima trasparenza. Per far sì che le imprese «mafiosizzate» siano beneficiarie dei fondi pubblici la criminalità organizzata deve fare in modo che le altre imprese non presentino offerte o si ritirino dalle gare. Le organizzazioni criminali se riescono, fanno presentare offerte ad altre imprese che già gestiscono, in caso contrario, utilizzano il metodo mafioso «classico» (intimidazioni di ogni genere fino all’omicidio) per far sì che l’impresa che l’organizzazione ha cornoptato risulti aggiudicataria unica. Nel caso d’imprese non controllate ed escluse dalla gara, occorre impedire alle medesime di rivolgersi agli organi giudiziari ed anche in questa ipotesi, all’intimidazione si preferisce il meccanismo corruttivo mediante la promessa di vantaggi economici o di partecipazione a future gare, fermo restando che se non funziona il metodo «dolce» si utilizzerà quello violento. In questo sistema particolarmente articolato, svolgono una parte predominante imprenditori, politici, funzionari pubblici, progettisti, direttori dei lavori, tutti con funzioni e compiti specifici. Utilizzando lo strumento delle tangenti, la politica garantisce alle mafie l’erogazione dei soldi pubblici e il sistema del massimo ribasso costituisce il terreno fertile per l’infiltrazione mafiosa e per il perfezionamento dell’alleanza. L’alterazione della gara avviene sempre determinando in via preventiva i ribassi che ciascun’impresa deve indicare nella sua offerta. A questa situazione ormai endemica imposta dalle mafie, soggiacciono quasi tutte le imprese sul territorio nazionale che estendono i loro affari anche in ambito europeo e internazionale, poiché, di fatto, non avrebbero alternative plausibili. Come porre rimedio a una situazione a dir poco aberrante come questa in precedenza esposta? A tal proposito ci vengono in soccorso le intuizioni di Rocco Chinnici, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, secondo i quali bisognerebbe indagare sui flussi di denaro e sui complici «puliti» delle mafie, ad esempio, controllando tutte le ditte partecipanti a una gara, disciplinando in maniera ferrea il sistema della revisione dei prezzi, delle varianti in corso d’opera e degli enti appaltanti. A mio giudizio, andrebbe tassativamente eliminato il sistema del massimo ribasso che offre notevoli possibilità di falsare le gare pubbliche. In conclusione, vorrei ricordare che l’ex magistrato Antonio Ingroia, dichiarò dinanzi alla Corte d’Assise di Caltanissetta che Paolo Borsellino gli confidò di essere convinto che, attraverso il carteggio di Giovanni Falcone sull’inchiesta «Mafia e Appalti», si sarebbero potuti individuare i moventi della strage di Capaci. Questo dimostra quanto importante sia il settore dell’erogazione di denaro pubblico e dunque occorre battersi per la prosecuzione delle attività e delle idee di Falcone e Borsellino. Prevenire, controllare e sanzionare ogni abuso in questo particolare settore significa non far passare più il messaggio che le mafie danno lavoro mentre lo Stato no! Oltre alla magistratura e alle forze di polizia occorrono adeguate forme di organizzazione e mobilitazione affinché tutti uniti si ponga fine a un sistema altamente nocivo che sta trasformando l’economia legale in economia criminale.
Vincenzo Musacchio,
giurista e direttore della Scuola di Legalità «don Peppe Diana» di Roma e del Molise, 19/11/2016
Colombia
Gentilissimo Dr. Moiola,
martedì scorso sono venuta in Via Cialdini per il documentario di Gianni Minà e ho preso uno dei numeri della Rivista MC Novembre 2016, che gentilmente offrivate. Già da tempo conosco i suoi articoli ed ora ho appena finito di leggere quelli sulla Colombia e voglio manifestarle tutto il mio apprezzamento per la chiarezza e il rigore con cui li costruisce. Leggere pagine come le sue, è un vero piacere! Ho ritrovato nomi di missionari e luoghi a me molto cari e non soltanto per aver parlato dei progetti Missionari per molti anni nelle mie lezioni, ma anche per evocazioni di un passato personale. Grazie ancora per la sua costante attenzione per la Colombia e per le sue popolazioni indigene! Molto cordialmente
Silvia Giletti
Progetto Diritti Umani e Globalizzazione, Università degli Studi di Torino, 26/11/2016