Natale, il pane nella cesta

Celebrazione del giovedi santo con lavanda dei piedi ai bambini della prima comunione 2017
Gigi Anataloni

Ricordo il mio primo presepio «da grande».
Ero in prima media. Mamma mi aveva lasciato usare tutta la tavola bella della «sala». Alla cartoleria del paese con le mance da chierichetto (battesimi e matrimoni) ero riuscito a comperare due palme. Solo due, ma mi sembravano un’intera oasi. Fatto il deserto con la crusca, avevo messo le due palme, uno specchio e un po’ di muschio: l’oasi perfetta con i re Magi parcheggiati in attesa di partire per andare alla capanna dall’altro lato del tavolo. Emozioni da infinito, nostalgia di sogni e di piccole cose come la stella cometa di cartone dipinta con l’«argento» dei tubi della stufa o la culla per il Bambino fatta di paglia vera. Ricordi. Come quello del mio primo presepe africano, Natale dell’89, a Maralal, Kenya. Con i giovani avevamo raccolto scatole di cartone e riprodotto il paese con le sue strade e botteghe. E le mucche d’argilla cruda modellate dai bambini e la stalla con una lampadina rossa, l’unica «Luce» che illuminava il tutto, a ricordarci che Gesù nasceva proprio là, per noi.
Ora, è proprio ripensando alla vita dei pastori nomadi del Nord del Kenya che mi pare di capire più da vicino il racconto del Natale. Il freddo e il gelo, l’esclusione, l’albergo, la solitudine di Maria, la mancanza di pannolini … forse non è andata proprio così. Provo a calarmi in quella realtà, in Betlemme, la «città/casa del pane», un piccolo villaggio di contadini e pastori sulle colline attorno a Gerusalemme. Non è inverno, perché pecore e pastori sono sui pascoli, anche di notte. Forse è già primavera, prima dei raccolti estivi, tempo giusto per far muovere la gente per il censimento. Nell’area riservata alle carovane, vicino al pozzo, è una confusione unica: animali, bambini, fuochi accesi, andirivieni, schiamazzi, litigi, canti, danze, chiacchiere a non finire… Non è certo quello il posto più adatto per far nascere un bambino. Le donne della famiglia di Giuseppe si mobilitano e trovano una casa per quella loro parente, mamma ancora bambina, al suo primo figlio. Ma l’unica stanza comune, lì dove tutta la vita si concentra, dove di notte tutti stendono la loro stuoia per dormire, non è certo la «sala parto» ideale. Meglio la stalla, la grotta sotto casa, dove la mucca e l’asino sono al sicuro e gli agnelli e i vitelli appena nati trovano un riparo. Lì nasce il bimbo, sano e bello. Maria non è sola, le donne sono con lei perché nessuna donna, in quel mondo, lascerebbe sola una mamma che deve partorire! Mani esperte e premurose si curano della giovane madre e del bimbo. Lo lavano, lo avvolgono in fasce, lo passano a Maria per la prima poppata e poi cercano un posto sicuro per metterlo a dormire. In un angolo c’è il basto di un asino, proprio quello di Maria. Da una parte ha una cesta con le poche cose di famiglia, dall’altra c’è quella del cibo per il viaggio, pane soprattutto. Il pane è finito e la cesta è vuota. Una culla perfetta per il bimbo. Così, colui che un giorno dirà «Io sono il pane della vita» è messo in quella culla e lì lo trovano i pastori venuti a cercare il «bambino avvolto in panni e adagiato nella cesta del pane». La cesta dalla quale tutti i viaggiatori possono servirsi.
Che bello, un Bambino, il pane della vita per saziare la fame d’amore dell’umanità.
Andiamo anche noi a mangiare di quel «pane». Andiamo, l’angelo ci invita …

Andare. Ma dove? Come trovare oggi la «città del pane»?
E poi, perché andare alla ricerca di semplice pane? Nel frigo c’è di tutto e di più e se manca qualcosa o quel che ho non mi piace, basta un salto al supermercato sotto casa dove ho solo l’imbarazzo della scelta. E non solo, posso anche permettermi di sprecare e buttare quel che non mi piace più e gli avanzi.
Ma la pigrizia e la pancia piena non sono l’unica difficoltà che oggi abbiamo. Vai per cercare la «città del pane» e ti ritrovi nel «villaggio di Babbo Natale», così simpatico con quel suo vocione e barba bianca, capace di accontentare tutti i tuoi desideri. Appena fuori, le «luci d’artista» ti prendono per mano e ti accompagnano in quelle luminosissime cattedrali del consumo dove sei invitato a concederti tutto ciò che puoi senza sensi di colpa. Non importa se poi in mano ti ritrovi più cose di quelle di cui avevi bisogno. È Natale, ci si può concedere qualcosa. Ti scappa l’occhio, là in quel punto d’incontro gli anni scorsi c’era un presepio. Non lo fanno più per rispetto a gente di altre religioni. Giusto, naturalmente. E ti affretti al cenone, quello di Natale appunto. Come mancare? Tacchino all’americana, panettone e spumante all’italiana. Mezzanotte! «A che ora è la messa di mezzanotte?». Meglio non andarci. Quel prete, con le sue prediche sul «pane da condividere con i poveri, sull’amore gratuito, su quelli che vengono da lontano e seguono la stella mentre noi non sappiamo più vederla, su un “Dio talmente pazzo e pazzesco che non riesce a vivere senza noi” tanto da farsi dono da spezzare e condividere», è capace di rovinarti la festa.
Il «pane della vita» è sempre là nella cesta, pronto a saziare la nostra fame, quella vera.

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Gigi Anataloni
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