Galeano: l’ironia e l’impegno civile

America Latina
Gianni Minà

 


Giornalista e scrittore, Galeano è riconosciuto come uno tra i maggiori pensatori latinoamericani dell’ultimo secolo. Alfiere dell’America Latina dei popoli ha spesso denunciato l’imperialismo nordamericano. Ha lasciato molti scritti e alcuni testi fondamentali e sempre attuali per capire il continente.

Quando, come succede in questo caso, mi tocca raccontare di un vecchio amico scomparso che mi ha regalato il piacere della sua parola, come Eduardo Galeano, mi viene difficile trovare la misura e il tono giusti per descriverlo in tutte le sue sfaccettature. Tutto suona banale.
Eduardo è stato per anni il saggista più acuto e onesto nell’illustrare il fascino del continente dove era nato e cresciuto, quello a Sud del Texas, ma anche il narratore più sarcastico sulle esagerazioni che l’attuale mondo isterico ci sbatte ogni mattino in faccia, sia in America Latina sia nel resto del mondo.
Così ora mi commuove pensare all’attualità dei suoi ironici discorsi, specie pensando a quante parole stonate sono state spese dopo l’incontro fra Obama e Raul Castro (17 dicembre 2014) che avrebbe dovuto finalmente chiudere un’assurda «guerra fredda», mai dichiarata e mai terminata, fra l’America Latina e gli Stati Uniti d’America. Una guerra fredda che aveva costretto Obama, il presidente succeduto a Bush jr, a mettere da parte per un po’ la politica di ingerenza nordamericana nella terra scoperta da Cristoforo Colombo.
Galeano, qualche anno fa, polemizzando con Mario Vargas Llosa per la sua accusa alla maggior parte degli scrittori latinoamericani di essere troppo condiscendenti verso la rivoluzione cubana, è stato franco: «Vargas Llosa vede sorprendentemente l’America Latina come se fosse un viaggiatore nato in una contea inglese e non nel Perù del sottosviluppo e degli orrori. Amo molto Mario, uno dei più grandi scrittori viventi, per questo mi dispiace stia facendo una specie di gara con Octavio Paz (Nobel per la Letteratura nel 1990) per vedere chi corre più a destra». E poi, entrando nella contesa: «Io sono stato spesso critico con Cuba, ma lo faccio con amore e rispetto, non con odio e rancore, come sembra succedere a molti che, in altri tempi, si atteggiavano a rivoluzionari, e oggi vogliono cancellare ogni traccia del proprio passato a costo di ignorare che, se in questo continente la metà della gente vive sotto la soglia di povertà, è il libero mercato, quello che ora chiamiamo il neoliberismo, a fallire miseramente ancora prima del socialismo».
Certo Eduardo non le mandava a dire e per questo sono orgoglioso di aver lavorato 10 anni con lui per fare uscire 7 delle sue opere in Italia, dove era stata pubblicata, fino a quel momento, solo la trilogia di «Memorie del fuoco».

Eduardo Galeano  AFP PHOTO/PABLO PORCIUNCULA / AFP PHOTO / AFP FILES / PABLO PORCIUNCULA

Nel 1971 quando apparve il suo libro «Le vene aperte dell’America Latina», fu per molti una vera e propria folgorazione, tanto che Heinrich Boll, scrittore tedesco Premio Nobel per la Letteratura 1972, affermò: «Negli ultimi anni ho letto poche cose che mi abbiano commosso così tanto».
Galeano, in un libro-vangelo di un continente allora di moda, aveva inventato, a trentuno anni, un metodo per raccontare la storia partendo apparentemente dalla piccola quotidianità.
Un reportage, un saggio, una pittura murale, un’opera di artigianato mirabile, terminato di scrivere in esilio, lontano dal suo Uruguay, dopo che aveva dovuto lasciare il suo paese e poi l’Argentina per sfuggire alla ferocia di quelle dittature.
Le vene aperte, proposto per primo da Feltrinelli e poi tradotto in 18 lingue, ha avuto oltre 100 edizioni solo in spagnolo. È un’opera tuttora di straordinaria attualità che denuncia, analizza e spiega attraverso episodi apparentemente senza importanza e riferimenti storici spesso trascurati, il processo di spoliazione del continente latinoamericano, prima da parte dei conquistadores, poi delle potenze coloniali e infine degli Stati Uniti.
Forse è per questa incisività che nel 2009, al summit delle Americhe, a Trinidad e Tobago, l’ex presidente venezuelano Hugo Chávez non poté fare a meno di regalarlo a Barack Obama dicendogli, con la solita ironia: «Presidente, se vuoi capire qualcosa di America Latina, leggiti questo libro».
Abbiamo il dubbio che il presidente Barack Obama non abbia avuto il tempo di consultarlo. I rapporti con Cuba, il Venezuela e l’America Latina in generale non sono migliorati. E ora, con l’avvento di Trump, le speranze di cambiamento sono definitivamente tramontate.

Hugo Chavez offre a Obama il libro di Edoardo galeano «Le vene aperte dell’America Latina». Trinidad,  18/04/2009. AFP PHOTO/Jim WATSON / AFP PHOTO / JIM WATSON

I ricordi di un’amicizia sono tanti. Una volta ci ritrovammo a Buenos Aires per un omaggio alla memoria di Osvaldo Soriano. C’era anche la vedova Catherine Brucher. Tutti eravamo emozionati e per la prima volta anche il severo Eduardo, che aveva un senso dell’amicizia fortissimo, si asciugò gli occhi.
Come tutti i latinoamericani, Galeano adorava il calcio tanto che non obiettò nulla quando io gli dissi che la casa editrice avrebbe fatto uscire Le vene aperte in concomitanza con El fútbol a sol y sombra (tradotto in Italia con il titolo Splendori e miserie del gioco del calcio). «Sarà un successo», aveva detto, e ha avuto ragione.
Una volta si accorse che c’era una finale di Coppa Italia all’Olimpico: Roma – Inter. Mi chiese di andare con lui allo stadio. Ci avevano consigliato di uscire 5 minuti prima per evitare l’ingorgo. La Roma vinse 2 a 1, ma dovetti penare molto per trascinarlo via una manciata di secondi prima della fine.
Aveva anche il culto dell’impegno civile. Tanto che lui, così schivo nella vita, aveva accettato una volta perfino di partecipare con altri intellettuali al controllo delle elezioni in Venezuela, stravinte da Chávez. Si era adirato molto quando aveva letto le invenzioni che illustravano ogni giorno gli articoli dei cronisti del mondo occidentale, pur smentiti nel loro patetico tentativo di svalutare la credibilità delle elezioni stesse. D’altronde non c’è da stupirsi. Quei cronisti, infatti, sono gli stessi che ancora, quattro anni dopo la morte di Chávez, tentano di imporre le strategie informative da golpe mediatico nell’epoca di Nicolás Maduro. Tutto questo malgrado il risultato indiscutibile delle recenti elezioni sulla nuova Costituente, perse in modo clamoroso dall’opposizione, nonostante il sostegno delle varie agenzie dei servizi di intelligence nordamericani.
Eduardo amava la nuova America Latina progressista e nelle sue note non lo nascondeva, come non nascondeva la simpatia per il Subcomandante Marcos e l’Ezln (Esercito zapatista di liberazione nazionale) da cui andò un paio di volte.

Ha scritto di lui Isabel Allende nel prologo all’ennesima edizione di Le vene aperte dell’America Latina (pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer): «Galeano ha percorso l’America Latina ascoltando anche la voce dei reietti oltre che quella di leader e intellettuali. Ha vissuto con indios, contadini, guerriglieri, soldati, artisti e fuorilegge; ha parlato a presidenti, tiranni, martiri, preti, eroi, banditi, madri disperate, pazienti e prostitute. Ha patito le febbri tropicali, ha conosciuto la giungla e ha respinto anche un infarto. È stato perseguitato sia da regimi repressivi, sia da terroristi fanatici. Ha combattuto le dittature militari e tutte le forme di brutalità e sfruttamento correndo rischi impensabili in difesa dei diritti umani. Non ho mai incontrato nessuno che abbia avuto una conoscenza di prima mano dell’America Latina pari alla sua, che si adopera per raccontare al mondo i sogni e le disillusioni, le speranze e gli insuccessi della sua gente».
Ci manca molto.

Gianni Minà

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