I Perdenti 28:

Sarajevo: Admira e Bosko

Bornia
Mario Bandera

Admira Ismic e Bosko Brkic entrarono per caso nella cronaca di quella sporca guerra che sconvolse l’ex Jugoslavia negli anni Novanta del secolo scorso per divenire i «Giulietta e Romeo di Sarajevo». Essi furono uccisi, mano nella mano, dai cecchini serbi nella «terra di nessuno» che separava la zona musulmana da quella serba nella capitale bosniaca. Era il 19 maggio 1993, la violenza durava già da un anno. Admira era musulmana, Bosko cristiano ortodosso. Entrambi venticinquenni, erano legati da un amore intenso e sincero da quando ne avevano diciassette, nonostante l’odio etnico e confessionale presente in città.

Dopo aver resistito diverso tempo, alla fine Admira e Bosko, che abitavano nella zona musulmana insieme ai genitori di lei, avevano deciso di fuggire trasferendosi provvisoriamente nel sobborgo serbo di Grbavica, per salutare i genitori di Bosko e con l’intento di abbandonare poi la Bosnia.

I loro corpi abbracciati nei pressi del ponte di Vrbanja che unisce le sponde del torrente Miljacka, abbandonati al sole per otto giorni, perché non si riusciva a ottenere l’assenso dei belligeranti a un cessate il fuoco che ne consentisse il recupero, divennero il simbolo della tragedia bosniaca.

Una volta recuperati dai serbi, i loro corpi furono seppelliti sbrigativamente sulle colline. Soltanto tre anni dopo trovarono riposo fianco a fianco nel cimitero di Sarajevo.

Proprio di fronte alle loro tombe, al di là del muro di cinta del camposanto, c’è il caffè dove i due si erano incontrati e avevano trascorso ore sognando un amore lontano dalle bombe e dall’odio.

La loro storia continua a ricordarci come l’amore sia più forte della morte.

Bosko, come mai, mentre tutti scappavano, tu hai deciso di andare a vivere nella parte musulmana di quella città dilaniata dall’odio?

Bosko: lo decisi per stare accanto a lei, la ragazza che amavo più della mia vita. Se me ne fossi andato anche io, non so se l’avrei ritrovata al mio ritorno, e chissà quando sarebbe avvenuto un ritorno.

Tu serbo-bosniaco, tu bosniaca. Tu cristiano ortodosso, tu musulmana. Come vi siete conosciuti?

Bosko e Admira: nella maniera più semplice, comune a tanti giovani del mondo, ovvero incontrandoci in un bar della nostra città. Tra una bibita e una chiacchierata avevano cominciato una relazione d’amore molto bella benché impossibile in un paese che cominciava ad essere percorso dall’odio etnico.

E pensare che Sarajevo, comunità cosmopolita da secoli, era famosa per la sua capacità di integrare le varie componenti etniche creando le condizioni per una tolleranza che era d’esempio a molte altre città…

Bosko e Admira: fino all’inizio dei conflitti che hanno messo una contro l’altra le varie nazionalità che componevano l’ex Jugoslavia, le diverse comunità etniche erano abituate da tempo a vivere una acconto all’altra. Forse la forte personalità, anche in campo internazionale, del maresciallo Tito aveva contribuito a fare da collante in un paese sorto dalle ceneri della guerra, assemblando popoli di lingua, religione e cultura diverse.

Difatti i guai cominciarono dopo la sua morte…

Bosko e Admira: proprio così, la nostra società incubava da tempo i germi del nazionalismo e del razzismo, basati su una presunta superiorità culturale di una sola componente etnica a scapito delle altre. In un paese attraversato da una crisi economica che si trascinava da tempo, con la morte del maresciallo Tito, venuto meno l’uomo che con mano ferma aveva guidato la lotta di resistenza al nazifascismo e garantito il distacco dall’Unione Sovietica, questi germi attecchirono fra la gente, specialmente negli strati più emarginati della popolazione.

E così da modello di convivenza fra popoli diversi, la vostra terra divenne un campo di battaglia.

Bosko e Admira: la cosa che più fece impressione, fu che dall’oggi al domani nessuno più si fidava dell’altro, meno che meno se apparteneva a un gruppo etnico-religioso diverso dal proprio, cominciò a serpeggiare fra la gente una specie di ostilità verso coloro che non appartenevano al proprio «clan», e ben presto gli eserciti dei vari stati cominciarono a spararsi contro per delimitare i «propri» confini e proibire così ad altri di entrare.

Per voi una cosa del genere era inaccettabile, vero?

Bosko: sì, e per uscire da quella situazione avevo preparato tutte le carte necessarie a partire. Insieme ad Admira avevamo deciso di lasciare Sarajevo.

Vivevamo nella casa dei genitori di Admira, nel settore musulmano. Il progetto era di andare dai miei, nel quartiere serbo, stare un po’ con loro e poi finalmente partire. Ma bisognava passare il torrente Miljackail, che divide la città, passando sul ponte Vrbanja, una vera strozzatura e passaggio obbligatorio. Decidemmo di tentare il tutto per tutto, il 18 maggio 1993. Ma un cecchino mi colpì con una pallottola alla testa, ponendo fine alla mia vita. Anche Admira fu colpita, ma non morì subito. Con le ultime forze, Admira si trascinò fino a me e mi abbracciò. Restammo otto lunghi giorni in quel tragico abbraccio d’amore.

Un abbraccio pieno d’amore scambiato sulla soglia dell’eternità…

Bosko e Admira: colpiti dalla violenza cieca dei nostri compatrioti, ce ne andammo da questo mondo pieno di odio e, abbracciati come due semplici innamorati, entrammo insieme nel Regno della Pace.

Ci piace immaginare che gli Angeli e i Santi vi abbiano accolto in Paradiso con le parole conclusive del Cantico dei Cantici, dove l’amata dice all’amato: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore».

Bosko e Admira: proprio così, il Dio della tenerezza e dell’amore ci accolse fra le sue braccia e ci coprì con il mantello della sua misericordia.

 I corpi esanimi dei due moderni Giulietta e Romeo rimasero sotto il sole di maggio per otto lunghi giorni prima che una tregua concordata tra le parti belligeranti ne potesse consentire il recupero e dare loro una degna sepoltura. Alla cerimonia funebre di tre anni dopo erano presenti i membri delle due comunità, musulmani e serbo-bosniaci uniti dalla testimonianza d’amore dei loro figli.

«Se avessero avuto una visione fanatica della religione, non si sarebbero mai messi insieme», disse in quell’occasione il padre di Admira. Il loro resta un prezioso messaggio della religione dell’amore che quando è vissuta coerentemente fino in fondo sconfigge l’odio e fa trionfare sempre la pace. L’immagine dei due corpi abbracciati a terra fece il giro del mondo, e ancora oggi rappresenta un’icona dell’amore che va oltre alle differenze di razza e di religione. Un insegnamento per tutte le nazioni del mondo sempre più vittime di nazionalismi emergenti ed egoismi locali, che poi sono le stesse ragioni che hanno disintegrato lo stato jugoslavo.

La guerra è terminata da tempo e l’autodeterminazione dei popoli balcanici ha favorito la nascita di ben sei nuovi stati sovrani sul territorio della ex Jugoslavia. L’insegnamento e la testimonianza dei due giovani innamorati di Sarajevo appare oggi più significativa ed attuale che mai.

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