Missione … e malaria

Gigi Anataloni

In una valle delle nostre splendide Alpi un gruppo di giovani di una parrocchia di città, a fine agosto, sta facendo il campo estivo. Accanto alla casa che li ospita cresce una alberello di prugne, che, ormai mature, dolcissime e assolutamente bio, cadono sul sentiero che i giovani percorrono più volte al giorno. In terra prugne calpestate. In alto rami carichi di blu profondo. Passano i ripassano i giovani. Non vedono le prugne. Non allungano la mano per cogliere quella bontà fresca e gratuita.

Un’altra storia. Da un altro mondo. Africa, Tanzania. Un missionario scrive entusiasta ad amici e benefattori delle meraviglie che il Signore sta operando: le ordinazioni di tre nuovi missionari, dieci giovani che hanno completato il loro periodo di noviziato e iniziano gli studi di teologia, e molti altri che finita la scuola secondaria entrano in seminario per iniziare il cammino di formazione per essere un giorno testimoni di Gesù nei più remoti angoli del mondo.

Due storie apparentemente slegate tra loro, da due mondi molto diversi.

Missione, gioia contagiosa

Ho pensato a questi due fatti leggendo il messaggio di papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale del 22 ottobre. «La missione della Chiesa, destinata a tutti gli uomini di buona volontà, è fondata sul potere trasformante del Vangelo. Il Vangelo è una Buona Notizia che porta in sé una gioia contagiosa perché contiene e offre una vita nuova: quella di Cristo risorto», scrive papa Francesco. Un messaggio trasformante, realizzato attraverso l’annuncio del Vangelo, nel quale Gesù si fa «sempre nuovamente nostro contemporaneo».

Leggendo queste parole ho pensato a quei ragazzi di città talmente abituati alla frutta del mercato o del frigo di casa da non accorgersi di quella ancora sull’albero. Forse ci rappresentano un po’, abituati come siamo a lasciarci saziare da social, televisione, giornali, fake news, opinione pubblica, guru, politicanti e specialisti vari che ci sommergono di «ricette» per vivere felici senza problemi, al punto da trascurare l’ascolto di quella Parola di Vita che è Gesù stesso, Parola spesso relegata a una frettolosa oretta domenicale – ferie, ponti e settimane bianche permettendo -.

Ho pensato anche ai giovani del Tanzania, più poveri e con meno mezzi di noi, perché sono ancora capaci di «arrampicarsi sugli alberi per cogliere la frutta fresca» della Parola di Dio che li apre alla gioia contagiosa e trasformante dell’incontro con il Cristo risorto e con gli altri.

Beati noi, però, perché Dio non si stanca mai di offrirci la sua «frutta fresca e gratuita».
Beati noi, perché Dio crede nell’uomo più dell’uomo stesso.

Malaria e manipolazione della verità

Malaria. Cambio argomento, provocato dalle assurdità che vedo, leggo e sento in questi giorni a proposito di malaria. Comincio autodenunciandomi come suo possibile «portatore sano» e potenziale fonte di contagio (cfr. articolo pag. 62) per chi mi sta vicino con zanzara anofele di mezzo. Questo perché dopo 21 anni di Kenya e un po’ di Tanzania, di punture di zanzare portatrici del parassita ne ho prese a volontà, anche se la malaria vera e propria non l’ho mai avuta. Mi vergogno come italiano della strumentalizzazione della morte di una bambina e del dolore della sua famiglia per diffondere notizie false che alimentano odio e razzismo, sfruttando buon cuore, ignoranza e paure della gente. Certo la malaria non è una bella malattia. L’ho visto di persona. Ricordo che all’ospedale di Wamba nel Nord del Kenya, durante i periodi di siccità e fame moriva almeno un bambino al giorno di malaria. Inoltre so bene che più di un missionario ha perso la vita per lo stesso motivo, tra di essi alcuni cari amici. Ma usare il pretesto della malaria per alimentare il razzismo e aumentare l’odio verso persone come i migranti dall’Africa che di dolore, violenze e sofferenze sono carichi, mi sembra ingiusto e indegno del nostro essere italiani.

Queste manipolazioni a scopi di politica elettorale non sono accettabili, né per i migranti che ne pagano il prezzo con ulteriori sofferenze, né per ogni italiano, perché come italiani ci meritiamo più rispetto di quello che certi nostri politici ci danno. Solidarietà e volontariato sono due impagabili caratteristiche del nostro paese che noi missionari conosciamo bene. Due forze di vita che si manifestano sia sul nostro territorio sia nella miriade di associazioni e gruppi che aiutano a livello internazionale. Solo che non fanno rumore, come la foresta che cresce. «L’italiano qualunque», quello che ama la pace, quello dal cuore grande, ha gli anticorpi al plasmodio dell’intolleranza e del razzismo. Usiamo l’insetticida della fraternità, della compassione e della vera umanità contro le zanzare dell’odio e del razzismo che si nutrono delle nostre paure.

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Gigi Anataloni

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