Malaria: Zanzare e plasmodium, una coppia pericolosa


Prevenibile, curabile ma mai debellata. È la malaria, una patologia che riguarda il 40% della popolazione mondiale. Si calcola che i morti da essa provocati, pur in diminuzione, siano ancora quasi 500 mila all’anno, la maggior parte in Africa e per due terzi bambini. In questi ultimi mesi di malaria si è tornato a parlare perché ha ucciso anche in Italia. Considerato il rapido cambio climatico e la crescente mobilità delle persone, il pericolo malaria (e non solo) ci accompagnerà a lungo.

Malaria, il nemico che abbiamo sempre avuto vicino ma non abbiamo mai voluto conoscere veramente, perché non ci riguardava. Interessava solo il 40% della popolazione mondiale, qualche miliardo di persone: «gli altri», tutti abbastanza lontani da noi. Sì, vedevamo tutte queste persone sofferenti ma erano solo foto su riviste missionarie o parole nei racconti dei missionari. Ci davano un po’ fastidio e, quindi, erano da rimuovere dal nostro orizzonte. Ma eccola qui – addirittura nella nordica Trento (settembre 2017) -, la malaria prepotentemente sulle prime pagine dei giornali nostrani, il nemico da distruggere senza sentire il bisogno di capire e scacciando l’idea che ormai c’è e la terremo a bada, ma non la elimineremo più con facilità. Chi scrive è un missionario portatore sano del plasmodium della malaria con cui convive da 42 anni.

La malaria (anche) in Italia

L’origine della parola «mal aria» lascia facilmente capire da dove deriva: la credenza che questa malattia fosse causata dai miasmi delle paludi. Col tempo tutto è stato provato ed il ciclo della malaria col suo agente patogeno – il plasmodium –  è stato ben compreso. Le tonnellate di Ddt sparse dagli americani con il piano della fondazione Rockefeller (1925-1950, in particolare in Sardegna, ndr) hanno effettivamente debellato la malaria ma certo non ha sterminato tutte le zanzare Anopheles che possono portare nuovamente la malattia.

Già nell’anno 1970 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) aveva dichiarato l’Italia «libera da malaria» di origine autoctona. Ecco perché – oggi – ci sono così tanti sforzi nel provare che l’origine di questi casi è esterna all’Italia. Tenendo conto che il periodo di incubazione è da una a due settimane, si può risalire facilmente al luogo di infezione senza doversi arrampicare sui vetri alla ricerca di ragioni fantascientifiche. Se viene appurato che l’origine è autoctona, perderemo lo stato di Malaria free zone. Il metodo del «rasoio di Occam» ci può aiutare anche qui: la spiegazione più semplice è quella vera.

Cosa ci portano le zanzare (le Anopheles e le altre)

Ma che cosa è la malaria? Su qualunque motore di ricerca di internet si trovano valanghe di informazioni, anche contrastanti, ma la realtà è molto semplice. La colpevole è sempre lei, la zanzara femmina del genere Anopheles, di cui esistono almeno 82 specie nel mondo. Se infettata dal plasmodium può procurare la malaria i cui segni clinici sono molto diversi a seconda degli individui, ma a tutti causa febbri alte a intermittenza, sudorazione, vomito, diarrea, tosse etc. Intanto, altre zanzare ci portano altri parassiti: la zanzara tigre ci porta la chikungunya, un virus abbastanza debilitante (che molti missionari già conoscono per esperienza diretta); la culex ci regala la filaria; la aedes porta la febbre gialla.

Cosa succede quando una zanzara infetta ci punge? Intanto la zanzara ci punge per succhiare il nostro sangue così ricco di elementi essenziali utili al suo organismo che deve produrre uova per continuare la propria specie, e non per darci la malaria di cui soffre comunque anch’essa.

La prima fase dell’operazione avviene così e spiega perché non ci accorgiamo della sua puntura fin dopo che abbia fatto il suo lavoro ed è proprio in questa fase che ci passa il plasmodio. Ecco il contatto zanzara-uomo in 4 fasi:

Fase 1: la zanzara non ci vede ma segue la traccia di anidride carbonica che ci lasciamo dietro.

Fase 2: la zanzara si posa sulla pelle e attraverso due palpi laterali allo stiletto sente la presenza dei vasi sanguigni.

Fase 3: la zanzara rigurgita un liquido anestetico che le permette di introdurre il suo stilo senza che sentiamo dolore fino ad operazione fatta.

Fase 4: lo stilo è in posizione e l’operazione pompaggio del sangue comincia fino a sazietà.

Una profilassi alla puntura sta nel- l’ingoiare vitamine del gruppo B6 che impartirebbe al corpo un odore che dispiace alla zanzara. Non si sa se funzioni o meno ma certamente questa idea non spiace all’industria farmaceutica.

Le fasi del plasmodio sono tre: fase schizogonica, gametogonica e sporogonica. A ognuna di queste fasi corrispondono delle caratteristiche che aiutano gli specialisti a diagnosticare quale sia il problema.

Il plasmodium in azione

Il plasmodium iniettato dalla zanzara entra nei globuli rossi e comincia a crescere e dividersi aumentando in numero e volume finché non causa la rottura della membrana del globulo rosso infestando il sangue, lo stesso sangue che sarà risucchiato da altre zanzare e verrà rimesso nel sangue di qualche altra persona (grafico a pag. 64).

Questa perdita di globuli rossi, portatori dell’ossigeno indispensabile a ogni cellula, causa una sua mancanza e quindi limita la produzione di energia, determinando un calo delle prestazioni fisiche. La presenza di globuli rossi deformati per la presenza del plasmodio (foto), causa anche un blocco della circolazione capillare, a volte nel cervello, causando il coma cerebrale. Inoltre la rottura della membrana dei globuli rossi ed il riversamento del plasmodio causa una reazione del corpo che produce febbre alta e altri sintomi. In una persona sana e senza problemi, qualche iniezione di norma non provocherà una malaria conclamata, ma molte infezioni successive su un soggetto debole, bambini o malati, può portare a malarie serie.

Le specie di plasmodium

Anche nel genere plasmodium vi sono diverse specie, se così si può dire, che vengono diagnosticate in laboratorio con metodologie differenti. Il falciparum è la specie più pericolosa e procura la malaria maligna o terzana maligna, seguito dalla specie vivax della terzana benigna, che è più clemente. Altre due specie sono la malariae e l’ovale.

Se non bastasse, a volte vi sono infezioni miste con i vari tipi. Le diverse specie sono poi individuate con strumenti di vario genere: alcuni noti da molto tempo come la colorazione a base di eosina e metilene, altri con le tecniche più evolute basate sulla immunologia e biologia molecolare.

In pratica, la diagnosi con coloranti viene fatta leggendo uno striscio di sangue del paziente a cui sono aggiunti i reagenti sotto un microscopio con illuminazione naturale o attinica.

Per le diagnosi rapide si usano strisce immunologiche di riconoscimento rapido, utilizzabili sul campo e senza microscopio, usabili da chiunque, anche dal paziente stesso.

Ultimamente si procede alla tipizzazione del ceppo di plasmodio con l’uso del Pcr (Polymerase chain reaction) che però richiede tempo, personale specializzato e ingenti risorse economiche.

Negli screening di massa si vogliono esaminare molti esemplari in poco tempo ed allora l’uso dell’acridina arancio con il microscopio a luce ultravioletta rende l’esame molto semplice anche se non molto accurato. L’acridina arancio è un colorante che si fissa agli acidi nucleici facendoli brillare di arancio sotto il microscopio come se si guardasse a un cielo stellato. La presenza di acidi nucleici nell’emoglobina è la spia che fa capire che qualcosa non funziona dal momento che l’emoglobina matura e funzionante è priva di nucleo e quindi di acidi nucleici. Se c’è del Dna o Rna appartiene a qualcun altro, ad esempio al plasmodio.

Altri strumenti di diagnosi

Nella diagnostica si è aggiunta un’altra tipologia di strumenti, gli immunoreagenti (Malaria Antigen Detection), una paletta intrisa di reagenti i quali, se c’è o c’è stata recentemente malaria, cambiano colore dopo una reazione col plasma del paziente. Il beneficio sta nel vedere subito il risultato senza bisogno di un microscopio ma il lato negativo sta nel fatto che anche una malaria già superata viene interpretata come malaria in atto.

Altro beneficio nei paesi malarici è che le strisce sono liberamente reperibili nelle farmacie o parafarmacie a basso prezzo e si possono usare da chi non ha alcuna preparazione, basta una goccia di sangue periferico posta in un pozzetto e – voilà – una riga rossa appare in caso di risultato positivo di malaria, o non cambia niente se non c’è malaria. Esame indiretto perché non cerca il parassita ma la sua reazione biochimica nel plasma, ma è parzialmente specie-specifico distinguendo tra falciparum e le altre.

Ultimo sistema che discrimina le varie forme specifiche, è il Pcr o «Reazione a catena della polimerase». Dopo avere ben frantumato in laboratorio una porzione di sangue del paziente, si aggiunge un «primer» con la sequenza del codice genetico proprio dell’organismo che si vuole rilevare, se c’è, allora le porzioni vengono moltiplicate all’inverosimile fino a fare diventare rilevabile da macchine la presenza del Dna del plasmodio. Procedura molto sofisticata e sicura ma non veloce ed ancora molto dispendiosa.

Riscaldamento globale e mobilità umana

In ogni caso, meglio evitare la malaria che curarla. Come fare? Mentre ai tropici politiche sanitarie stanno abbassando il numero di infezioni, nel nostro mondo appaiono le prime forme autoctone. Come è capitato? Ancora non si sa bene, ma tante sono le cause di questo fenomeno – ad esempio, il riscaldamento globale e la mobilità delle persone -, che ci metteranno davanti al fatto compiuto e cioè che abbiamo in casa la malaria, la chikungunya (tre casi ad Anzio a settembre, ndr), la filaria e magari la febbre gialla etc. e dovremo prendercene cura.

Nei paesi tropicali si sono avuti risultati immediati e incontestabili attraverso l’uso di zanzariere poste sui letti. Con meno punture ci sono meno infezioni della zanzara e quindi meno zanzare infette. L’eliminazione di pozze di acqua stagnante è di aiuto. La Anopheles, a differenza della Culex, depone solo in pozze di acqua pulita per cui è tassativo eliminare i terreni di deposizione delle loro uova. La lotta biologica è promettente. Questi insetti sono divorati da diversi volatili e chirotteri per cui eliminando uccelli insettivori, come le rondini e i pipistrelli, aumenterà la popolazione delle zanzare.

Dal chinino ad oggi: i farmaci in commercio

La cura della malaria ha avuto vicende alterne con un inizio in cui si usava il chinino, molto efficace ma molto tossico per gli effetti collaterali sulla vista e l’udito etc. I nostri vecchi ancora ricordano le insegne sulle tabaccherie ove si leggeva «Sale e Tabacchi e Chinino di Stato». Quelle pillole rosa che anche i nostri vecchi missionari si portavano dietro in caso di attacchi di malaria e quando questo finiva, c’era sempre un fusto di acqua in cui immergersi per abbassare la temperatura corporea. Favola? No. Questo me lo ha certificato il compianto padre Giovanni Borra, uno dei nostri primi missionari in Tanganyika (l’odierno Tanzania).

Dopo il chinino è arrivata la Clorochina che prendevamo in quantità industriale e che ci faceva diventare temporaneamente strabici o peggio. La clorochina per lo meno era un cloridrato, cioè solubile e fosfato, quindi passava la barriera intestinale per andare là dove ce ne era bisogno.

Ancora non avevamo tenuto conto dell’evoluzione del plasmodio che divenne immune alla clorochina. Vennero quindi usate le pirimetamine, Metakelfin e famiglia, a cui il plasmodio era suscettibile. Ma anche qui la festa non è durata molto perché la pirimetamina è tossica sul fegato dove per forza doveva agire per debellare anche le spore del plasmodio. Che fare?

Ora le Asl propongono il Malarone, un estratto purificato della pianta Artemisia annua coltivata anche nelle nostre missioni. Abbastanza efficace ma costosa e deve essere assunta ogni giorno senza peraltro continuare dopo i trenta giorni, data la lieve tossicità. In sostanza, una medicina per turisti. Altra molecola proposta è la Meflochina o Lariam. Usata in ragione di una pillola settimanale durante la permanenza in zone malariche. La si trova a costi mantenuti ed a quel dosaggio non dà molti effetti collaterali, ma in dosi terapeutiche … meglio la malaria, parola mia.

Nonostante tutto, le Asl si premurano di dire: «Non esiste un farmaco antimalarico che possa dare la certezza assoluta di non venire contagiati, ma un’assunzione regolare permette nella peggiore delle ipotesi di prevenire almeno gravi complicazioni». Alla luce di questa considerazione, oltre a usare i farmaci, occorre quindi prendere misure precauzionali personali (ad esempio: spray repellenti, maniche lunghe, pantaloni lunghi, dormire in un luogo protetto dagli insetti oppure usare una zanzariera trattata con insetticida).

No isterismi, sì prevenzione

Nella nostra esperienza abbiamo visto malarie contratte da ospiti e turisti che hanno seguito alla lettera le norme di prevenzione, ma al loro ritorno in patria hanno manifestato la malaria. La prima prevenzione è essere attenti senza giungere all’isterismo su cui le compagnie farmaceutiche fanno molto affidamento.

Altro consiglio ai nostri governanti: perché non possiamo fornire a tutti i centri di salute in Italia l’umile striscia per la ricerca veloce della malaria? Un piccolo passo non eccessivamente costoso che, oltre a portarci avanti sulla strada della prevenzione, ci darebbe anche un certo senso di sicurezza in più.

Spero che queste note, frutto dell’esperienza di 40 anni di continua permanenza in Africa, di cui 13 come direttore di una scuola di diagnostica e come insegnante di biologia molecolare, possano aiutare a dipanare questa matassa così confusa.

Se può essere di consolazione, è esperienza comune che, dopo 5 anni di permanenza e contatto con la malaria, si diventa quasi immuni e le ricadute malariche si manifestano come una fastidiosa influenza con caduta di tono e stanchezza da curarsi con il riposo. I fatti di queste settimane dimostrano quanto la mala informazione o la disinformazione siano pericolosi.

Angelo Dutto