Dal 1980 al 2000 il conflitto interno peruviano ha fatto quasi 70mila vittime tra morti e desaparecidos, soprattutto tra poveri e indigeni delle zone rurali presi tra i due fuochi di Sendero Luminoso e delle forze statali. La Commissione per la Verità e la Riconciliazione istituita nel 2001 ha affrontato il problema della memoria e della giustizia. Ma molto rimane ancora da fare.
Domenica, 10 del mattino. Ho appuntamento con i miei studenti dell’Università cattolica per visitare il «Lugar de la Memoria». Il grande edificio non è visibile dalla strada e si raggiunge con difficoltà scendendo scale piuttosto scomode. Quando arrivo trovo il posto pieno di visitatori, quasi tutti studenti, ma anche famiglie, suore e turisti stranieri.
Mentre spiego ai giovani la strage di Putis1 del 1984, l’assassinio di otto giornalisti a Uchuraccay2 del 1983 e il lavoro svolto dalle organizzazioni per i diritti umani, penso che senza il lavoro della Commissione Verità tutto ciò che stiamo visitando non esisterebbe.
Il contesto peruviano
Ci sono molte differenze fra la realtà peruviana e quelle di altri paesi dell’America Latina come il Cile, l’Argentina, il Brasile o l’Uruguay in cui furono istituite Commissioni per la verità.
Un primo fattore particolare è la proporzione della violenza: quanto accadde in Perù tra il 1980 e il 1993 non può essere ridotto alla categoria di incidenti di terrorismo o guerriglia urbana e repressione. In molte zone si raggiunse il livello di una guerra, con attacchi alle caserme, battaglie, stragi. Sendero Luminoso riuscì a operare su un territorio grande quasi come l’Italia (il Perù ha una superficie di circa quattro volte il nostro paese, ndr).
È vero che molti peruviani preferiscono parlare di terrorismo e di eccessi delle forze di sicurezza, ma questo succede perché è difficile accettare che sia stata una vera e propria guerra.
Una seconda particolarità del conflitto peruviano riguarda i due gruppi insorgenti, Sendero Luminoso e il Movimiento Rivoluzionario Túpac Amaru (Mrta), i quali furono molto violenti contro la popolazione civile, specialmente i contadini più poveri. I senderistas ammazzavano villaggi interi, compresi i bambini. Disprezzavano le comunità più fedeli alle proprie tradizioni come se fossero state composte da primitivi. Per questo motivo anche tra gli indigeni asháninka dell’Amazzonia soffrirono in tantissimi. Il Mrta assassinava omosessuali e tossicodipendenti in diverse città dell’Amazzonia.
Un terzo elemento specifico del caso peruviano è il fatto che, sul versante delle istituzioni, il maggior responsabile delle desapariciones, degli stupri di massa, delle esecuzioni extragiudiziali e delle torture non fu una dittatura militare ma un governo democratico, quello di Fernando Belaúnde (1980-1985). Belaúnde lasciò ai militari la responsabilità di lottare contro i sovversivi e, quando essi compirono le atrocità poi documentate dalla Commissione Verità, ne diventò complice proteggendoli tramite leggi ad hoc.
Infine, un’altra differenza sta nel fatto che negli altri paesi del Sud America molte delle vittime dei militari furono persone residenti in città, normalmente gente di sinistra appartenente alla classe media, in Perù, invece, le principali vittime furono indigeni poveri che abitavano in campagna e non parlavano spagnolo. I senderisti li uccidevano per rappresaglia e i militari seguivano la politica della tierra arrasada, «terra bruciata» (la repressione indiscriminata contro la popolazione sospetta di appartenere o fiancheggiare la guerriglia, ndr), uccidendo contadini innocenti.
I crimini commessi contro le comunità indigene avvennero in un contesto di forte odio razziale: i militari erano convinti dell’inferiorità degli indigeni ed erano sicuri di rimanere impuniti. Un razzismo, comunque, presente non solo tra i militari, ma diffuso tra la popolazione ancora oggi: un’eredità coloniale che continua a essere forte e viva due secoli dopo l’indipendenza (in un paese nel quale si stima che la popolazione indigena raggiunga il 45% dei quasi 31 milioni di abitanti; un altro 31% sarebbe composto da meticci, ndr). Molti peruviani di ascendenza europea, ad esempio, considerano gli indigeni i responsabili dell’arretratezza del paese. L’indifferenza è l’attitudine più comune nei confronti dei loro problemi: la povertà, lo sfruttamento e l’inquinamento dei loro territori.
Sconfitta e memoria
La violenza del governo di Belaúnde contro i contadini contribuì a fare crescere Sendero Luminoso. Il successore di Belaúnde, Alan García (presidente del Perù dal 1985 al 1990, e poi nuovamente dal 2006 al 2011, ndr) fermò la politica della «terra bruciata», ma le sparizioni e le violenze continuarono. Le stragi nei villaggi di Accomarca3 e Cayara4, o nelle carceri di Lima5, in cui ci furono più di duecento morti tra i detenuti, avvennero durante il suo governo. I seguenti governi di Alberto Fujimori (dal 1990 al 2000) furono caratterizzati da uno stile autoritario di cui è un esempio l’auto-golpe del 1992 tramite il quale il presidente fece sciogliere il parlamento e proclamò la legge marziale. Poco dopo, quando il leader di Sendero Luminoso, Abimael Guzmán, fu arrestato e imprigionato Fujimori, fu considerato il grande pacificatore. Il movimento terrorista andò in crisi e il governo riuscì a sbaragliarlo. Oggi resiste in alcuni luoghi isolati ed è molto vicino ai narcotrafficanti.
La sconfitta di Sendero Luminoso permise ai peruviani di recuperare la fiducia nella possibilità di continuare a vivere nel loro paese e di progettare il loro futuro: farsi una famiglia, studiare, costruire una casa. La gente cercò di dimenticare gli anni della violenza.
Il Perù incominciò a ricevere grandi investimenti. Aprirono nuovi negozi, grandi shopping center, ditte straniere. Si potrebbe dire che il lusso e il consumismo accecarono chi voleva essere abbagliato per dimenticare la violenza e le sue cause. I più poveri non potevano permettersi di acquistare nuove macchine o vestiti ma ricevevano dal governo fujimorista cibo e altre donazioni. E loro, cioè la parte di popolazione che maggiormente aveva sofferto nel conflitto, ringraziavano Fujimori per la pace.
Convocando la Commissione nel mezzo di una crisi
Otto anni dopo la cattura di Guzmán, nel 2000, pochi ricordavano il tempo della violenza e Fujimori, al suo terzo, contestato, mandato, era stato travolto da molti scandali di corruzione che lo avevano costretto a scappare in Giappone. Quando nel governo provvisorio di Valentín Paniagua si volle fare un’inchiesta sulla corruzione al tempo di Fujimori, gli organismi per i diritti umani ne approfittarono per proporre l’istituzione di una commissione sulle violazioni dei diritti umani.
Non solo convinsero Paniagua, ma riuscirono a fare in modo che l’inchiesta riguardasse un lasso di tempo che andava indietro fino al governo di Belaúnde durante il quale Paniagua era stato presidente della Camera di Deputati.
Ufficialmente Paniagua e poi il suo successore Alejandro Toledo*, volevano una commissione il più possibile plurale, e scelsero i commissari per il loro valore morale: un vescovo, un pastore evangelico, un militare, una imprenditrice. Fra i dodici membri c’erano anche Sofía Macher che era stata Segretaria esecutiva della Coordinadora Nacional de Derechos Humanos, il sacerdote Gastón Garatea*, il sociologo Rolando Ames che nel primo governo di García aveva partecipato come senatore di sinistra all’inchiesta sul massacro delle carceri, e Carlos Iván Degregori, antropologo che aveva lavorato ad Ayacucho ed era uno dei più grandi ricercatori su Sendero Luminoso. Come osservatore per la Chiesa Cattolica c’era il vescovo Luis Bambarén*. Questi cinque personaggi avevano lavorato molto per i diritti umani al tempo del conflitto, denunziando i crimini dei senderisti e dei militari.
Mi causò una certa sorpresa il fatto che, all’interno di questa pluralità, non si fosse nominato nessun rappresentante delle vittime. E la situazione più curiosa fu che, pur essendo il razzismo il fattore che causò strage tra molti innocenti, non si pensò di includere persone dai tratti indigeni fra i commissari: quasi tutti erano uomini bianchi che abitavano a Lima, nessuno parlava quechua, la lingua indigena predominante in Perù. La stessa Commissione avrebbe poi scoperto che il 75% delle vittime della violenza parlava quechua. In una società con tante divisioni etniche e sociali non fu la partenza migliore.
Un altro punto problematico fu il fatto che la Commissione, inizialmente, non capì che il suo lavoro non era nato da una domanda della società: per i crimini commessi da Sendero Luminoso e Mrta, i responsabili erano già in prigione e la gente non sentiva il bisogno di fare nuove ricerche. Nel caso dei crimini delle forze di sicurezza statali, era molto diffusa l’idea che fossero stati il prezzo da pagare per la pace.
Anche i contadini sentivano molto lontana la Commissione. Quando essa organizzò udienze pubbliche – ad esempio ad Ayacucho, uno dei posti in cui più aveva sofferto la popolazione indigena – nelle quali le vittime raccontavano le violenze subite, la gente pensò che i commissari volessero ascoltare i testimoni per semplice sadismo, perché ai bianchi piaceva vedere soffrire gli indigeni.
In più, alcune decisioni importanti della Commissione erano state prese senza valutarne le conseguenze sociali.
Informe final e conseguenze politiche
Nonostante i problemi menzionati, dopo mesi di lavoro intenso in tutto il Perù, sistemando e ordinando centinaia di testimonianze, la Cvr produsse un documento molto corposo e completo: l’«Informe Final», in nove volumi, un lavoro di ricerca che approfondiva molti aspetti della violenza e del suo contesto.
La difficoltà maggiore per la Commissione durante il suo lavoro non era stata tanto quella di scoprire i crimini del tempo de Belaúnde, quanto piuttosto quella di mostrare come la gente avesse accettato la situazione. Più difficile che mostrare l’orrore commesso da terroristi e militari, era stato mostrare la sua accettazione nell’opinione pubblica.
L’Informe Final ricevette quasi unanime rifiuto da parte della classe politica: i partiti di Belaúnde, García e Fujimori e i loro alleati non volevano nessuna responsabilità: dicevano che nel lavoro della commissione aveva pesato un preconcetto antimilitarista. Soltanto la sinistra riconobbe il valore del documento.
Anche il capo della Chiesa peruviana del tempo, il cardinale Cipriani*, fu contro l’Informe, specialmente perché si era sentito chiamato in causa nei passaggi in cui esso parlava di un ruolo negativo della Chiesa nella zona del conflitto. Va notato che nel periodo più cruento, Cipriani non era ancora vescovo ad Ayacucho.
Data la resistenza nell’accoglienza del documento, alcuni settori numericamente piccoli della società civile (i cattolici legati alla teologia della liberazione e le Ong che si occupavano dei diritti umani) lavorarono per promuoverne la diffusione e la conoscenza. Al loro impegno si devono i risultati positivi di questi anni.
Giustizia. L’Informe final continua a essere uno strumento per tutti quelli che cercano giustizia. Le Ong per i diritti umani hanno avviato processi giudiziari per molti casi. Il più conosciuto è quello contro Fujimori, il quale, arrestato in Cile dopo gli anni di autoesilio in Giappone, ed estradato in Perù, è stato condannato al carcere per violazioni dei diritti umani, soprattutto per le vicende legate al Gruppo Colina6 che rapì e ammazzò gli studenti dell’università La Cantuta7 e fece stragi come quella di Barrios Altos8. Altra condanna importante è stata quella relativa alla strage di Accomarca9 accaduta nel 1985.
Purtroppo i processi sono molto lenti e diverse vittime muoiono senza ottenere giustizia. Migliaia di desaparecidos non sono ancora stati rintracciati e le famiglie probabilmente moriranno senza sapere dove si trovano.
Riparazioni. Molte vittime hanno ricevuto riparazioni individuali e collettive sotto forma di opere di sviluppo delle comunità più povere. C’è un Registro Central de Víctimas che ha funzionato con molta attenzione per consegnare la riparazione a chi veramente aveva sofferto nel conflitto.
Memoria. In questo ambito le difficoltà continuano a essere grandi. I militari e i fujimoristi sono stati molto abili nel manipolare il ricordo di quegli anni allo scopo di minare la credibilità della Commissione presentando ogni denuncia a carico loro come un attentato dei terroristi e dei loro alleati. Il presidente Belaúnde, ad esempio, continua a essere ricordato come un uomo gentile e innocuo: in pochi sanno che durante quegli anni migliaia di contadini furono assassinati.
Per coltivare la memoria, in un primo momento si è formato il gruppo «Para que no se repita», il quale però non legava la violenza dei decenni passati a problemi permanenti del paese come il razzismo, o ai crimini contro i diritti umani più recenti, come quelli contro molti contadini uccisi negli ultimi anni.
Nel 2005 è stato aperto il memoriale «El ojo que llora» (l’occhio che piange), opera di una scultrice olandese, Lika Mutal, fatta secondo la logica di uno spazio buddista di meditazione. Sarebbe stato meglio in Perù un memoriale più vicino alla tradizione cristiana, alla quale apparteneva la maggioranza delle vittime, o laica. Comunque, l’assenza di altri spazi ha motivato i famigliari delle vittime a andare lì.
Alla fine del 2015 è stato aperto il Lum «Lugar de la Memoria, la Tolerancia y la Inclusión Social», grazie al finanziamento del governo tedesco. Si trova in un quartiere benestante ed è difficile da raggiungere, come «El ojo que llora», ma è sempre pieno di gente. Sembra che molti abbiano capito che questo spazio è fondamentale per ricordare ciò che ha vissuto il Perù nel conflitto.
Ultimamente, pare che alcuni cambiamenti possano avvenire con il nuovo governo di Pedro Pablo Kuczynski. La ministra della Giustizia Marisol Pérez Tello pare intenzionata a fare in modo che lo stato accetti le sue responsabilità: è andata al «Ojo que llora» a chiedere perdono alle vittime della violenza. In più il governo sta per iniziare un programma per cercare i desaparecidos.
La via peruviana ha le sue caratteristiche e difficoltà, ma lo sforzo della Commissione e della gente impegnata nella costruzione di una società più giusta può lentamente ottenere risultati.
Wilfredo Ardito Vega
L’autore
Avvocato, insegnante universitario e scrittore. Ha conseguito il master in Diritto Internazionale dei diritti umani all’Università di Essex, in Inghilterra, il dottorato in Legge alla Pontificia Università Cattolica del Perù (Pucp). È docente alla Facoltà di Legge della Pucp, all’Università del Pacifico e all’Università Nazionale San Marco. Eletto a difensore universitario della Pucp. Ha pubblicato diversi volumi sui diritti umani, la discriminazione e i popoli indigeni, e tre romanzi di cui il primo tradotto in italiano nel 2011 per Emi con il titolo Cercando Almuneda.
Archivio MC
Sul Perù MC ha pubblicato numerosi articoli, ne segnaliamo solo alcuni:
- Paolo Moiola, Le sbarre dell’ingiustizia, dossier MC, marzo 1999.
- Gabriella Guarino, Le carceri-tomba del presidente, MC ott-nov 1999.
- Paolo Moiola, La Chiesa tra potere e gente comune, dossier MC, maggio 2000.
- Lorenzo De Ambrosis, I «terroristi» di San Tommaso, MC, giugno 2000.
- Paolo Moiola, La bianca che voleva farsi Ashaninka, MC, settembre 2008.
- Paolo Moiola, Carlo e Gery, cuore ashaninka, MC, gennaio 2013
Sul web
http://www.cverdad.org.pe/ifinal/index.php
Note
1- Nel dicembre del 1984, 123 persone, tra cui 19 bambini e ragazzi, furono assassinate dai militari della base di Putis, provincia di Huanta, Ayacucho, zona con forte presenza di Sendero Luminoso. I militari, dopo aver violentato alcune donne, uccisero i contadini buttandone i corpi nelle fosse che le vittime stesse avevano scavato (ndr., cfr. Cvr, Informe Final, Tomo VII, cap 2, 14).
2- Nella località quechua di Uchuraccay, Ayacucho, il 26 gennaio 1983 furono assassinati otto giornalisti, la loro guida e un membro della comunità per mano dei membri della comunità di Uchuraccay stessa costituiti in un gruppo di autodifesa contro i Sendero Luminoso. Essi credevano che i giornalisti fossero parte della guerriglia. Uchuraccay si spopolò completamente nel giro di pochi mesi in seguito alle 135 morti provocate da Sendero Luminoso e dalla repressione dell’esercito (ndr., cfr. Cvr, Informe Final, Tomo V, cap 2, 14).
3 e 9- Il 14 agosto 1985 una pattuglia dell’esercito uccise 62 persone, tra cui donne, anziani e bambini, di Accomarca, provincia di Vilcashuamán, Ayacucho (ndr., cfr. Cvr, Informe Final, Tomo VII, cap 2, 15).
4- In seguito a un attacco di Sendero Luminoso contro l’esercito il 13 maggio 1988, ci fu una violenta risposta delle forze armate che nei giorni seguenti, nelle comunità di Cayara, Erusco e Mayopampa, dipartimento di Ayacucho, provocò la morte o la sparizione di 39 persone accusate di far parte della guerriglia (ndr., cfr. Cvr, Informe Final, Tomo VII, cap 2, 27).
5- Il 19 giugno 1986 più di 200 detenuti nel carcere di San Pedro (Lurigancho) e nell’ex carcere di San Juan Bautista sull’isola El Fronton, accusati di terrorismo o già condannati, furono assassinati da agenti dello stato nel contesto di alcuni disordini scoppiati nei penitenziari (ndr., cfr. Cvr, Informe Final, Tomo VII, cap 2, 67).
6- Il Grupo Colina era lo squadrone della morte, costola dei servizi segreti, che operò durante il periodo di governo di Fujimori, catturando, arrestando e assassinando chi fosse sospettato di sovversione (ndr., cfr. Cvr, Informe Final, Tomo III, cap 2, 3).
7- Per Sendero Luminoso, l’università La Cantuta fu la principale fonte di reclutamento e base per la trasmissione della sua ideologia. Nel luglio del 1992 furono sequestrati e uccisi 9 suoi studenti e il professore Hugo Muñoz (ndr., cfr. Cvr, Informe Final, Tomo VII, cap 2, 22).
8- Il 3 novembre 1991 il Grupo Colina assassinò 15 persone (compreso un bimbo di 8 anni) nella zona centrale di Lima, Barrios Altos (ndr., cfr. Cvr, Informe Final, Tomo VII, cap 2, 47).
[*] I personaggi segnati con l’asterisco sono stati tutti, in diversi momenti, intervistati da MC.