C’è veramente da essere confusi di questi tempi. Dovessimo misurare il livello di felicità degli italiani in base alle notizie riportate da giornali, Tv e social, ci sarebbe da piangere. Evito di entrare nei particolari del catalogo di tristezze che insistentemente, ossessivamente, ogni giorno ci vengono buttate addosso. Un catalogo abbellito da «fatti alternativi» (alternative facts, come definiscono le menzogne gli uomini di Trump), che spopolano sui social perché piacciono tanto a chi cerca la conferma di quanto già pensa e non la verità spesso scomoda, e reso stuzzichevole dal collaudato sport nazionale che è la «caccia al colpevole». Uno sport interessante, perché ha il pregio di a) permetterti di rifiutare la realtà; b) dare la colpa a qualcun altro; c) assolverti dalle tue responsabilità; d) farti sentire dalla parte del «giusto».
Così come «giusti» si sono sentiti quelli che a Roma, nascondendosi nel buio e nell’anonimato, hanno tappezzato la città di manifesti per contestare papa Francesco che sta mettendo a nudo i «fatti alternativi» e le ipocrisie di un certo modo di dirsi cristiani e poi essere immanicati con giochi di potere, arrivismi economici, favori politici e stile di vita mondano. «Giusti» si sentono i paladini della «grandezza» che costruisce muri, esclude e schiavizza i poveri, rafforza i privilegi di chi è già ricco, sfrutta il pianeta come se fosse proprietà esclusiva di pochi, detta le regole su chi ha il diritto di vivere e su chi invece non deve neppure nascere, su chi può lavorare con dignità e chi può essere sfruttato e precario…
Nel messaggio per la Quaresima di quest’anno, papa Francesco prende ispirazione dalla parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31), affinché ci lasciamo «ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione». Le parole del papa sul ricco senza nome sono illuminanti per decodificare l’atteggiamento da «giusti» (chiedo scusa se abuso così di questa parola, che in altri contesti ha invece un significato molto positivo). Nel ricco, scrive il papa, «si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l’amore per il denaro, la vanità e la superbia».
Amore al denaro: «Dice l’apostolo Paolo che “l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali” (1 Tm 6,10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico. Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero a una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace».
Vanità: «La cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l’apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell’esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza».
Superbia, il «gradino più basso»: «L’uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale. Per l’uomo corrotto dall’amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo. Il frutto dell’attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità: il ricco non vede il povero affamato, piagato e prostrato nella sua umiliazione».
Lazzaro è invece il povero che ha un nome: «un nome carico di promesse, che alla lettera significa Dio aiuta. Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale». Anche se sembra «un rifiuto umano … Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita».
In un tempo nel quale la tentazione è quella di costruire muri per tener fuori chi è altro, diverso, povero, migrante; di credere ai «fatti alternativi» per non vedere ed essere obbligati a cambiare stile di vita; di mettere se stessi al centro del mondo e sentirsi vittime di un’aggressione continua; in questo tempo la Parola di Dio e la voce del papa ci invitano invece a «convertirci», a rivedere le nostre priorità, a creare relazioni, a lasciarci interpellare e coinvolgere dagli «scarti» del mondo. Finché sarà prioritario «l’io» sul «noi», continueremo ad alimentare gli stessi atteggiamenti di vanità, superbia e litigiosità che da sempre caratterizzano il nostro mondo europeo. L’occasione che ci viene invece offerta dalla presente crisi globale è quella di costruire relazioni nuove, diventando veramente cittadini del mondo e, soprattutto, vivendo davvero quella che è la nostra identità più profonda, quella di uomini e donne «figli e figlie di Dio», membri della famiglia umana.