Convivere con l’autismo


È un disturbo del cervello e della mente che può manifestarsi in forme molto diverse. Si stima che nel mondo le persone autistiche siano 60 milioni. Per le famiglie dei 500 mila autistici italiani le difficoltà sono tante.

Nel 2007 le Nazioni Unite hanno indetto per il 2 aprile la Giornata Mondiale della consapevolezza sull’autismo. Questa celebrazione annuale ha lo scopo di sensibilizzare la popolazione su una sindrome in aumento e ancora difficile da comprendere e nel contempo di sollecitare le istituzioni a migliorare i servizi e l’assistenza alle persone colpite e alle loro famiglie. In questo numero di MC parleremo delle caratteristiche note della malattia, mentre nel prossimo articolo vedremo quali possibili implicazioni può avere l’inquinamento ambientale sulla sua insorgenza e, più in generale, sullo sviluppo del cervello umano.

Il disturbo autistico

Fino a qualche decennio fa si pensava che l’autismo fosse una conseguenza del rifiuto del figlio da parte della madre in sua attesa, per cui si sottoponevano a inutili sedute psicologiche sia la madre che il bambino. Le conoscenze attuali ci permettono di dire invece che l’autismo è un disturbo dello sviluppo biologicamente determinato, i cui sintomi compaiono nei primi tre anni di vita. È provato che questa patologia è associata a un disturbo dello sviluppo tanto del cervello (con alterazione delle strutture e delle funzioni nervose) che della mente (con alterazioni dello sviluppo psico-cognitivo ed emozionale).

Secondo il DSM IV-TR (Diagnostic Statistical Manual IV, redatto dall’American Psychiatric Association), il manuale dei disturbi mentali in uso presso gli specialisti, si tratta di una disabilità permanente, che perdura per tutta la vita. Le caratteristiche del deficit variano nel corso dello sviluppo di ogni individuo ed inoltre le manifestazioni della malattia possono essere molto diverse da bambino a bambino, andando da una lieve a una grave sintomatologia, tanto che si preferisce parlare di «Disturbi dello spettro autistico» o di «Disturbi pervasivi dello sviluppo». In realtà in questa categoria i clinici comprendono anche la sindrome di Asperger (che qualcuno considera una forma di autismo ad alto funzionamento, senza ritardo mentale), la sindrome di Rett, o altri disturbi (si veda la tabella). Circa il 50% degli autistici presenta ritardo mentale e il 30-40% epilessia.

Le principali aree di compromissione sono tre e riguardano l’interazione sociale, la comunicazione verbale e non verbale e il comportamento.

L’interazione sociale del soggetto autistico è caratterizzata dalla compromissione, dal ritardo o dall’atipicità dello sviluppo delle competenze sociali soprattutto nelle relazioni interpersonali. Il bambino mostra scarso interesse a relazionarsi con gli altri, tende all’isolamento e può mostrare un’apparente indifferenza emotiva agli stimoli o, al contrario, ipereccitabilità. Inoltre può esserci difficoltà a instaurare un contatto visivo.

La comunicazione dell’autistico è compromessa sia a livello verbale che non verbale. Si stima che circa il 25% degli autistici non sia in grado di comunicare verbalmente, mentre coloro che riescono a utilizzare il linguaggio spesso si esprimono in modo bizzarro, ad esempio con parole fuori contesto o con ecolalia, cioè con molteplici ripetizioni della stessa parola.

L’immaginazione risulta povera e stereotipata. Il bambino autistico difficilmente riesce a fare un gioco simbolico o di immaginazione. I suoi comportamenti sono ritualistici e ripetitivi e caratterizzati da scarsa flessibilità ai cambiamenti della routine quotidiana e dell’ambiente circostante, al punto da avere reazioni abnormi, come perdita di controllo, rabbia, aggressività nel caso in cui qualcosa cambi. Anche le posture e certe sequenze di movimenti possono risultare stereotipati.

Oltre alle tre principali aree di compromissione, la cui osservazione permette di porre la diagnosi di autismo, ci sono altri sintomi che da soli non bastano per fare questa diagnosi, ma che spesso sono presenti come la ipersensibilità agli stimoli sensoriali, le condotte autolesive e le aree di abilità. Ad esempio la capacità di contare un impressionante numero di oggetti in pochissimo tempo o di memorizzare l’elenco telefonico, come faceva il protagonista di Rain Man, film del 1988, che per la prima volta portò il problema dell’autismo sul grande schermo, mirabilmente interpretato da Dustin Hoffman nella parte del malato di autismo e da Tom Cruise, il fratello minore che se ne prendeva cura (in foto).

Più maschi che femmine

Per quanto riguarda la diffusione dell’autismo, non ci sono prevalenze geografiche o etniche, ma si tratta di una patologia ubiquitaria. C’è invece una prevalenza di sesso, poiché i maschi sono colpiti circa quattro volte più delle femmine. La stima di prevalenza più attendibile attualmente sembra essere di 10 casi su 10.000 bambini in età scolare. Secondo il Centers for disease control and prevention (cdc.gov), su dati 2012 riferiti a bambini di 8 anni, 1 su 68 è affetto da disordine autistico (aprile 2016). Confrontando questi dati con quelli del passato, si può dire che attualmente l’autismo è 3-4 volte più frequente di 30 anni fa. Molti studiosi pensano però che, più che un reale incremento della malattia, questa disparità di dati con il passato sia dovuta alla migliore capacità diagnostica di oggi, all’allargamento dei criteri diagnostici, all’abbassamento dell’età alla diagnosi, alla maggiore sensibilizzazione degli operatori e della popolazione in generale verso questo disturbo. Attualmente negli Stati Uniti le persone interessate sono circa 3,5 milioni. Nel mondo le persone autistiche sono circa 60 milioni e si stima che, in Italia, siano circa 500.000 (0,86% circa della popolazione), anche se tuttora nel nostro paese non esistono dati ufficiali.

Oltre al miglioramento della capacità di diagnosticare l’autismo, molti esperti imputano l’aumento del numero dei casi registrati negli ultimi trent’anni a cause genetiche ed epigenetiche. In NPJ Genomic Medicine sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto da S. Scherer all’Hospital for Sick Children di Toronto, in cui sono stati esaminati i campioni di Dna di 200 famiglie con un figlio autistico. In particolare sono state ricercate le mutazioni de novo, cioè quelle non ereditate dai genitori, ma insorte casualmente nel corso della vita nelle cellule germinali. È stato osservato che il 75,6% di tali mutazioni interessa gli spermatozoi e che la loro frequenza subisce un notevole incremento con l’aumentare dell’età del padre. Per quanto riguarda gli ovociti materni, le mutazioni de novo si presentano sotto forma di ammassi (cluster) dovuti a polimorfismi del Dna (variazioni nel numero delle copie di geni), che di solito vengono eliminati spontaneamente dal cromosoma materno. Le mutazioni de novo correlate allo spettro autistico riguardano in particolare geni coinvolti nella trasmissione sinaptica, nei meccanismi dell’espressione dei geni e nell’organizzazione della cromatina. Un’altra interessante ricerca condotta dagli scienziati del Centre national de la recherche scientifique di Marsiglia, mediante la risonanza magnetica nucleare effettuata su bambini di due anni di età, ha evidenziato nell’«area di Broca» del cervello (l’area che presiede alle funzioni del linguaggio e della comunicazione) una minore presenza di materia grigia nei cervelli dei bambini autistici, rispetto ai controlli normali. Questa ricerca ha il merito di avere dimostrato che un marcatore specifico dell’autismo è presente nel cervello già in tenerissima età. Da qui l’importanza fondamentale di una diagnosi precoce, che permetta l’avvio di interventi mirati capaci di sfruttare la neuroplasticità del cervello del bambino, in modo da attivarne le potenzialità, che rimarrebbero sopite con interventi tardivi.

Diagnosi e terapie

Fino a non molto tempo fa la diagnosi di autismo veniva posta tra i due e i quattro anni, ma attualmente gli specialisti ritengono che già intorno ai 18 mesi, quando i genitori si rendono conto che qualcosa non va, sia fondamentale sottoporre il bimbo a visita specialistica. Un esempio di grande recupero dalla malattia è rappresentato dalla dottoressa Temple Grandin, che – pur essendo autistica – è riuscita a conseguire un dottorato in zootecnica presso l’Università dell’Illinois e ha una carriera internazionale nell’ambito delle apparecchiature zootecniche. La Grandin, autrice di Emergence: Labeled Autistic (1986), sostiene che il suo recupero è avvenuto grazie all’intervento di insegnanti esperti a partire dai due anni e mezzo.

La scarsa conoscenza dei meccanismi biologici alla base dell’autismo è chiaramente un grosso limite per una terapia mirata, soprattutto in considerazione dei diversi gradi di disturbo dello spettro autistico. Questo implica l’indispensabilità di espandere la ricerca. Attualmente gli interventi a disposizione per migliorare la qualità della vita dei soggetti autistici sono di tipo farmacologico (limitati di solito ai momenti di maggiore instabilità) e di tipo abilitativo comprendenti diverse metodologie come le tecniche di analisi del comportamento, le tecniche di apprendimento basate sul rinforzo per migliorare le capacità cognitive e adattative, il gioco come tecnica di apprendimento, per migliorare gli aspetti emotivi relazionali. È fondamentale che i piani d’intervento siano personalizzati, così come lo è una stretta collaborazione e cornordinazione tra la famiglia del soggetto autistico, il servizio di neuropsichiatria infantile e la scuola.

L’Italia e la legge 134

Come si affronta il problema dell’autismo in Italia? Pur essendo noto da anni alla scienza, alla medicina e alla società, in Italia la prima legge dedicata specificamente a questo problema è la n. 134 emanata il 18 agosto 2015, contenente «Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie». Questa legge, che stabilisce le linee guida per i servizi, la formazione degli operatori sanitari, la definizione di équipe territoriali, la promozione dell’informazione e della ricerca, le buone pratiche terapeutiche ed educative e la cornordinazione dei vari interventi, rischia di rimanere però solo sulla carta poiché all’art. 4 si dice che «Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate alla relativa attuazione vi provvedono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente». In tal modo spesso solo le famiglie più abbienti possono fare curare efficacemente i propri figli autistici, rivolgendosi a centri privati. Oltretutto non sempre l’offerta privata è sicura poiché il rischio di incorrere in terapeuti improvvisati, in questo campo, è elevato. Inoltre la legge si disinteressa degli autistici adulti, che al compimento dei 18 anni perdono ogni diritto ad essere seguiti gratuitamente da medici specializzati e da insegnanti di sostegno, rischiando di retrocedere nelle abilità acquisite. Per loro è prevista al massimo l’indennità di accompagnamento. Insomma, l’autismo è per sempre, ma la legge italiana non lo sa. Anche se forse qualcosa si muove. I nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), varati lo scorso 12 gennaio, recepiscono la citata legge n. 134 del 2015, per la diagnosi precoce, la cura e il trattamento individualizzato dei disturbi dello spettro autistico. Speriamo sia la volta buona.

Rosanna Novara Topino
(seconda puntata – continua)