Storia del Giubileo 9. Il giubileo dei papi di Avignone
Se consideriamo complessivamente il suo pontificato nel contesto reale del suo tempo e liberi dai condizionamenti danteschi e dalle esemplificazioni superficiali, Bonifacio VIII (1235-1303, pontefice dal 1294, ndr) fu un papa di grande spessore politico e, dal suo punto di vista, anche religioso. Affrontò la modeità, che ormai si apriva inesorabile, con una visione della propria funzione molto teocratica, e questo, probabilmente, gl’impedì di essere l’anello di passaggio tra il Medio Evo e l’era modea. Ci vorranno quasi due secoli di transizione e di assestamento fragile e complesso prima di entrare nel vortice del secolo d’oro che darà sfogo e splendore all’umanesimo come oscuramento della teocrazia. Il papato, dopo Bonifacio, ridusse sempre di più la propria autorità e la propria sfera d’influenza, con altee vicende, ma inesorabilmente.
Chi volesse approfondire la conoscenza di Bonifacio VIII, anche in rapporto a Dante e Petrarca, al di là delle valutazioni stereotipe e scontate imparate sui banchi di scuola, basate sul giudizio superficiale di Francesco De Sanctis, può ascoltare in mp3 le due conferenze del prof. Enrico Fenzi, tenute, appositamente in vista di questa ricerca, nella chiesa di San Torpete in Genova, con i seguenti titoli e date: 1. «Petrarca alle origini dell’Europa» (08-03-2016) e 2. «Dante e Bonifacio VIII, Religione e potere, ieri e oggi» (22-03-2016), reperibili nel sito www.paolofarinella.eu, cliccando su Blog e poi su Audio, scorrendo la pagina fino al titolo interessato.
L’esilio dei papi: Avignone
A Bonifacio VIII, succedette Benedetto XI che campò solo nove mesi da papa, per cui non lasciò traccia. Alla sua morte il conclave si riunì a Perugia e, dopo undici mesi di trattative serrate (quando si dice che è lo Spirito Santo a eleggere i Papi!), fu eletto il francese Bertrand de Got, col nome di Clemente V. Questi, succube del re di Francia, Filippo IV (detto il Bello), nel 1313 trasferì la sede del papato in Francia, nella cittadina di Carpentras, da cui nel 1316 il suo successore, Giovanni XXII, la trasferì definitivamente ad Avignone. Ebbe inizio così quella che Francesco Petrarca, fine diplomatico e per questo ambasciatore di Firenze ad Avignone, definì «la cattività avignonese», durata 70 anni e contro la quale si schierò, in modo particolare, Santa Caterina da Siena.
Per la cronaca, se Bonifacio VIII aveva trasformato il copricapo papale in «tiara», oandola con due corone regali, simbolo del potere spirituale e terreno, ambedue nelle mani del successore di Pietro per volontà divina. Clemente V, da parte sua, aggiunse le due infule posteriori, cioè le due strisce di stoffa pregiata poste dietro la nuca, cadenti dalla tiara sulle spalle, con l’effetto plastico di trasformare il papa in un faraone fuori tempo massimo.
Dal 1348 al 1353 in Europa imperversò la peste, dovuta al trasferimento della pulce da topo a uomo (Yersinia pistis), che fece in tutto il mondo 100 milioni di morti su un totale di 450. L’Europa si spopolò passando da un totale di 70 milioni di abitanti a 45 (ne morirono il 35,71%). Una delegazione romana, guidata da due delle più importanti famiglie, Colonna e Orsini, si recò ad Avignone per consegnare al papa l’omaggio della città eterna e le insegne cittadine. Nel comitato era presente anche un giovane romano, Cola di Rienzo, che fece impressione al pontefice per il modo formale di trattare, da vero diplomatico, ma anche per i contenuti e le ragioni addotte a favore di Roma.
Tra le richieste al papa vi era anche l’indizione di un Giubileo per il 1350. Clemente VI, che prese tutte le precauzioni del caso riguardo alla peste, si guardò bene dal mettersi in viaggio per ritornare a Roma, ma benevolmente concesse il Giubileo con la bolla «Unigenitus Dei Filius», accompagnandola con una lettera in cui spiegava perché avesse deciso di accorciare l’intervallo tra un giubileo e il successivo, portandone la scadenza da 100 anni a 50 e dilungandosi nella spiegazione del significato delle indulgenze, nel tentativo di giustificarle dal punto di vista teologico.
Nasce la devozione del Volto Santo della Veronica
Il 2° giubileo della Chiesa, svoltosi nel 1350, non fu inaugurato dal papa, ma da un suo delegato che non attraversò porte sante, ma impose di aprire, nel giorno stabilito, le porte delle chiese di Roma. Dicono le cronache dell’epoca che tra il popolo e i vari quartieri girassero «bolle papali false» per accreditare questa o quella chiesa, come Santa Maria Maggiore o San Lorenzo fuori le mura, che non erano nel circuito delle chiese giubilari. Nel 1349, quasi come un presagio nefasto sulla Chiesa, Roma fu colpita da un terremoto che però non impedì un afflusso di pellegrini tale da far dire a un testimone, il giullare Duccio (Jacobuccio da Ranallo), che vi era ressa «sanza romori o zuffe», quindi devota e ordinata. Come in ogni evento di massa, anche in occasione del giubileo, si mise in moto l’astuzia truffaldina dei romani che ne approfittarono spennando i pellegrini incauti, cui vendevano posti per dormire che avevano già venduto ad altri e gonfiavano i prezzi.
Vi furono pure tentativi di speculazione, anche simoniaca (vendere cose spirituali, sacramenti o assoluzioni in cambio di denaro), tanto che il papa arrivò a fare «assoluto divieto di esigere, chiedere o ricevere, per sé o per un altro, a motivo della confessione, dell’assoluzione o di qualsiasi altro officio, del denaro, anche se offerto spontaneamente, o sotto forma di elemosina o in qualsiasi altro modo» (Mezzadri, 52). Logicamente vi furono contrasti e resistenze che portarono a una dura repressione, con la revoca delle nomine anche a personaggi di rilievo e in alcuni casi arrivando all’arresto. Lo stesso capitolo dei canonici di San Pietro che avevano bisogno di denaro per riparare i danni del terremoto, si opposero al papa fino al punto di assaltare fisicamente «l’altarario» (tesoriere delle offerte lasciate all’altare dai fedeli) della Basilica, Giovanni Castellani, ferendolo gravemente. Da quel momento, per impedire altri episodi di questo genere, il papa emanò un decreto con cui riformò minuziosamente tutta la pratica delle offerte lasciate dai pellegrini e dai fedeli.
Durante giubileo del 1350 iniziò una «tradizione giubilare» che proseguì con enorme successo nei giubilei successivi: l’esposizione del sudario del Santo Volto della Veronica, con l’effige del Signore durante la via crucis. Questa esposizione diventò quasi un «sigillo» giubilare, perché invitò i pellegrini a rispecchiarsi nel volto sofferente di Cristo (cf Dante, Par. 31,108), come magistralmente illustrò Petrarca nel celebre sonetto sedicesimo del Canzoniere dal titolo «Movesi il vecchierel canuto et bianco», dedicato al pellegrino tipo che «viene a Roma, seguendo ‘l desio, / per mirar la sembianza di Colui / ch’ancor lassù nel ciel vedere spera». Una testimone d’eccezione di questo giubileo fu Brigida di Svezia (canonizzata nel 1391, ndr) che giunse a Roma nel 1349 con un numeroso seguito, ricevendo un’immagine negativa della città, e in modo particolare del clero romano. Ella fondò una congregazione religiosa, detta delle Brigidine, con l’obbiettivo di accogliere e dare ospitalità ai pellegrini svedesi giunti a Roma.
Come in ogni evento importante, anche in questo giubileo si crearono le condizioni per fare «figli e figliastri», e, infatti, il papa concesse a sovrani, politici e ordini religiosi il privilegio di lucrare le indulgenze senza doversi mettere in viaggio per Roma, e quindi senza fatica e, cosa più importante, senza rischi di viaggi pericolosi nelle condizioni del tempo. Per tacitare le proteste contrarie, il papa escogitò il sistema dell’indulgenza «ex post»: coloro che non avevano potuto partecipare al pellegrinaggio, potevano averla «a posteriori» con gli stessi effetti di quella ricevuta nella città di Pietro.
Il ritorno del Papa a Roma con papi e antipapi
Tra il 2° e il 3° giubileo, avvenne un fatto determinante per la vita della Chiesa, dietro impulso non solo della popolazione romana, ma particolarmente di Caterina da Siena. Il 13 settembre 1376 papa Gregorio XI attraversò il ponte sul Rodano per tornare a Roma ponendo fine definitivamente alla «cattività avignonese». Da Marsiglia fece scalo a Genova, dove per poco non si pentì, tentato e istigato dai cardinali del sacro collegio che non avevano alcuna intenzione di tornare a Roma, anche a causa delle notizie di disordini che giungevano da quella città e della notizia della sconfitta delle truppe pontificie da parte dei fiorentini. Caterina seppe convincere il papa, rassicurandolo che ritornare nelle sede di Pietro fosse la volontà di Dio che lo avrebbe assistito con certezza e preservato da ogni pericolo.
Alla morte di Gregorio XI, il conclave del 27 marzo del 1378 fu assediato dal popolo romano che gridava: «Romano lo volemo, o almanco italiano». Il collegio dei cardinali, temendo per la propria incolumità, elesse il cardinale Bartolomeo Prignano che prese il nome di Urbano VI. I cardinali francesi, però, il 20 settembre dello stesso anno, ci ripensarono e dichiararono non legittima l’elezione di Urbano. Riunitisi a Fondi, presso Latina, elessero un altro papa col nome di Clemente VII che però, con i cardinali suoi elettori, fu costretto a fuggire ad Avignone, dando origine allo «scisma d’occidente» con due papi. Caterina da Siena si schierò con Urbano VI.
In questo clima giunse il giubileo del 1390 che nell’intenzione di papa Urbano avrebbe dovuto favorire la fine dello scisma e l’unità della Chiesa. Egli introdusse una novità di rilievo: ridusse ancora gli anni che intercorrevano tra un giubileo e l’altro. Con la bolla «Salvator noster unigenitus» (aprile 1389), in memoria degli anni di Cristo Signore, portò il tempo a 33 anni. Partendo, però, dal 2° giubileo del 1350, l’anno computato con il nuovo sistema sarebbe stato il già passato 1383. Il papa, in via eccezionale, concesse che si celebrasse nel 1390, confermando l’inclusione della Basilica di S. Maria Maggiore tra le Basiliche giubilari. Urbano VI non fece in tempo a celebrare il suo giubileo perché morì il 15 ottobre 1389.
Gli succedette Pietro Tomacelli che, assumendo il nome di Bonifacio IX, volle proseguire nella stessa linea del papa del 1° giubileo per affermare l’autorità della Chiesa e la sua totale indipendenza dal regno di Francia. Bonifacio fu l’unico papa che celebrò ben due giubilei: quello indetto dal suo predecessore, nel quale introdusse un’innovazione che avrà successivamente molto successo: la canonizzazione di santa Brigida, la pellegrina del giubileo del 1350, e il «suo», perché egli, smentendo la bolla di Urbano VI che cadenzava i giubilei ogni 33 anni, non volle rinunciare a celebrare quello secolare del 1400.
Questo gesto fu fortemente «politico» perché con esso il papa intese mostrare al mondo intero la pienezza della sua potestà in contrapposizione con l’antipapa avignonese che però non desistette e non intense rinunciare alla sua nomina, per altro discussa. Bonifacio IX, che pure fu accusato di simonia e nepotismo, favorì la nascita e lo sviluppo di molte opere di assistenza per i pellegrini, come l’Ospizio Boemo e quello tedesco di Santa Maria dell’Anima, approvata personalmente dal papa.
Avanti, si entra nella modeità
Con il sec. XIV, come abbiamo già accennato, ci si avviò velocemente all’uscita dal Medio Evo per entrare nell’età modea, il cui apice fu l’umanesimo del sec. XV, detto per questo «secolo d’oro». Dopo meno di cento anni, nel 1492, Colombo sarebbe salpato da Palos in Portogallo, e la scia delle sue tre piccole navi avrebbe formato uno spartiacque straordinario tra «il prima» (medio Evo) e «il dopo» (la modeità) oltrepassando per la prima volta e per sempre i confini dell’Europa che già era entrata in un lungo processo di transizione e di secolarizzazione. Quasi a fare da contraltare, come avviene sempre nei tempi di passaggio e d’instabilità, in genere tra un secolo e un altro e, a maggior ragione, tra un millennio e un altro, si realizzarono due eventi: da una parte la Chiesa assunse una struttura «statale» nel tentativo di gestire il nuovo che avanzava con velocità impressionante, e dall’altra si formarono gruppi devozionali e penitenziali spontanei, non rassegnati a cedere il passato, la cui fine veniva interpretata, in chiave millenaristica, come fine del mondo.
Nacquero «i penitenti flagellanti» che si diffusero come il vento per l’esigenza di una profonda purificazione presente tra il popolo cristiano e avvertita anche da qualche membro della gerarchia. Nel 1399, alla vigilia del nuovo giubileo secolare del 1400, un gruppo di flagellanti partì da Genova col nome di «Bianchi», perché vestivano una tunica di quel colore, pellegrinando verso Roma per il perdono dei peccati. Si diffusero in Toscana, in Umbria e nel Lazio, riscuotendo enorme successo.
Il giubileo del 1400, segnando il passaggio tra due secoli e la transizione tra due mondi, dal Medio Evo all’Età Modea con tutto quello che comportava d’insicurezza e di trapasso culturale, assunse i contorni del «millenarismo» che esprime sempre connotazioni apocalittiche, accettati dalle nuove confrateite come caratteristiche proprie. La corsa alla penitenza e alle indulgenze era assicurata. Lo stesso Bonifacio IX fu molto impressionato dalla devozione dei flagellanti e – si dice – anche dai miracoli che accompagnavano il loro passaggio, tanto da partecipare personalmente ad alcune loro manifestazioni.
Come si evince da queste notizie molto approssimative e frammentarie, con il 1400 il giubileo diventò «un’altra cosa» da quelli descritti nella Bibbia. Si perse del tutto lo spirito e la prospettiva biblica, mai per altro realizzati anche presso gli Ebrei, e prese forma una celebrazione nemmeno evocativa di qualche evento, ma divenne una celebrazione programmatica funzionale al momento storico o all’ideologia, non tanto del papato in sé, quanto di ciascun papa che si serviva dell’evento per rafforzare se stesso e la propria visione di «potestas».
Paolo Farinella, prete
[Storia del Giubileo-9, continua].