Un bimbo è nato. «È il Salvatore», è quello di cui ha parlato il profeta: «La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Dio con noi)» (Is 7,14).
È nato un bimbo, ed è nato privo di un luogo «dove posare il capo» (Lc 9,58), mentre il suo paese subiva la dominazione straniera, sotto un governante che non esitava a massacrare i suoi concittadini, primi tra tutti i bambini, in un popolo vessato da secoli di conquiste, deportazioni, violenze.
Altri bimbi nascono oggi. Ciascuno di loro è immagine di Dio, come, ad esempio, quelli siriani cui pensava papa Francesco quando, a metà ottobre, ha detto: «È con un senso di urgenza che rinnovo il mio appello, implorando, con tutta la mia forza, i responsabili, affinché si provveda a un immediato cessate il fuoco, che sia imposto e rispettato almeno per il tempo necessario a consentire l’evacuazione dei civili, soprattutto dei bambini, che sono ancora intrappolati sotto i bombardamenti».
Nascono e vivono bimbi oggi. Privi di un luogo sicuro in cui posare il capo, in un paese che subisce la guerra, sotto un governante che non esita a massacrare anche loro. Vivono stretti in una morsa di violenze senza volto.
Nasce un bimbo oggi: il Salvatore. E la sua venuta assomiglia a quell’avverbio «almeno» usato dal papa nel suo appello: una parola che nella frase fa a pugni con l’«urgenza», con «l’immediato cessate il fuoco» e con l’«imposto e rispettato», ma che fa il paio perfettamente con il verbo «implorando». C’è un papa che chiede, con forza e allo stesso tempo in punta di piedi, a chi fa guerra e strage di fermarsi, almeno il tempo necessario a salvare dei bimbi con le loro famiglie. C’è un Dio che, nascendo in una mangiatornia, implora l’uomo di tornare alla sua umanità.
«Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue [vengano] bruciati», «un bambino è nato per noi» (Is 9,4-5).
Buon Avvento e buon Natale da amico.
Luca Lorusso