Nata a Nueva Loja nel 1992, Radio Sucumbíos ha una forte connotazione sociale e interculturale. Dopo aver superato le difficoltà causate dai cambi e dalle incertezze nella direzione del Vicariato apostolico della locale provincia, oggi l’emittente è alle prese con una grave crisi economica. Come accade per molti altri media comunitari torna un dilemma: è possibile fare un lavoro informativo ed educativo al di fuori delle logiche mercantili?
Nueva Loja. A lato dell’entrata principale, davanti a un piccolo prato, campeggia un grande murale a colori con sette volti: ci sono quelli delle etnie native (Kichwa, Siekopai, Cofán, Shuar, Siona), un volto afro e uno in rappresentanza dei contadini meticci. Lo slogan dà il senso della filosofia e dell’obiettivo di Radio Sucumbíos: «Lavoriamo per l’interculturalità». L’emittente, nata su impulso di mons. Gonzalo López Marañón, carmelitano scalzo, al tempo Vicario apostolico dell’omonima provincia, ha visto la luce nel 1992. Era, quella, un’epoca in cui Sucumbíos aveva poche vie di comunicazione e i suoi abitanti – popoli indigeni e gente venuta da fuori – scarse possibilità di interazione.
Nel corso degli anni molto è cambiato. L’economia petrolifera ha trasformato – spesso in peggio – tutta la regione amazzonica. Oggi nella provincia ci sono una trentina di emittenti, ma Radio Sucumbíos copre un territorio più ampio delle concorrenti. Fa parte delle reti Aler e Corape, in cui confluiscono molte emittenti accomunate da tre caratteristiche: sono comunitarie, sono popolari, sono educative. Nel 2016 la radio del Vicariato ha compiuto 25 anni. Anni di soddisfazioni, ma anche di aspri conflitti.
Una radio inclusiva
A guidarci nella visita dei locali dell’emittente è Marilú Capa Galarza, giornalista, cornordinatrice del settore informativo e conduttrice del radiogiornale (El comunicador).
Marilú, che indossa una maglietta della radio, parla con coinvolgente entusiasmo. Ci conduce subito negli spazi dell’area giornalistica.
Su una grande lavagna sono segnati gli appuntamenti della settimana: la fiera dell’artigiano, il servizio trasporto sicuro, l’acqua potabile a Nueva Loja. Nella stanzetta a fianco un’altra lavagna riporta l’elenco delle interviste. Sulle sedie davanti ai computer sono appoggiati dei giubbotti a maniche corte con la scritta «prensa Sucumbíos» stampata sulle spalle. «Siamo 3 giornalisti fissi più altri due collaboratori dai vicini cantoni di Shushufindi e Orellana». Oggi a Radio Sucumbíos lavorano in tutto 14 persone, ma fino a pochi anni fa erano 23. Su una parete sono appese decine di foto e Marilú, con pazienza, ci racconta le più significative. «Questa radio – commenta – non appartiene a noi: è una radio della gente. Lo dimostra il fatto che in tutti i conflitti che abbiamo avuto la cittadinanza ci ha difesi». La nostra guida ci conduce quindi nel grande archivio storico: vi sono raccolti, in splendido ordine, dischi in vinile, Cd, Vhs, cassette, strumenti tecnici oramai datati.
Entriamo in una sala di registrazione dove sta lavorando Pilar Guaizo, conduttrice di Rostros y Rastros (volti e tracce), un programma del sabato. «Parliamo di personaggi della storia e persone di oggi che hanno fatto un lavoro importante nel campo dei diritti umani e della difesa ambientale. In sostanza, è una trasmissione educativa».
Passiamo in un altro studio dove si sta trasmettendo La trocha, un programma d’intrattenimento. Il conduttore, Miguel Angel Rosero, è un concentrato di energia ed entusiasmo.
Accanto alla consolle spicca un cartello in kichwa: «Allì Shamushka Kai Anki Sucumbiosma». «Benvenuti a Radio Sucumbíos», ci traduce Marilú. La ricerca dell’interculturalità è certamente un punto di merito dell’emittente di Nueva Loja.
Incontriamo German Tapuy, giovane indigeno di etnia kichwa che si occupa del programma in kichwa, trasmesso dal lunedì al sabato dalle 4 alle 5,30 del mattino. La sua trasmissione si chiama Jatarishunchik, che significa «Alziamoci». «Affronto gli argomenti più vari – ci spiega lui con un po’ di timidezza -. Tutto ciò che interessa le cinque nazionalità indigene che vivono in questa provincia».
Nel fine settimana c’è anche un programma destinato al popolo afro dal titolo di Voces y Jolgorio (voci e baldoria), condotto da Antonia Guerrero. «Anche se ci sono poche migliaia di afrodiscendenti, abbiamo deciso che era importante dare spazio anche a loro», spiega Marilú.
«Siamo una radio inclusiva», conferma Amado Chavez, direttore della programmazione. Che vuole anche ricordare il suo programma, Machetes y Garabatos: «Trattiamo argomenti molto pratici: coltivazioni agricole, allevamento, pescicoltura».
Per non essere come le altre
Victor Gómez Barragán è direttore di Radio Sucumbíos dal giugno del 2015. Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2012, con il cambio alla guida del Vicariato, gli Araldi al posto dei Carmelitani scalzi (leggere riquadro a pag. 53), l’emittente è al centro di aspre polemiche che ne mettono in forse la stessa sopravvivenza. All’epoca Victor non era direttore, ma quelle vicende sono rimaste impresse nella sua mente.
«Gli Araldi volevano una radio che invece di seguire le marce contadine, le proteste civili, le manifestazioni popolari, le problematiche di genere seguisse soltanto le messe e trasmettesse soltanto preghiere. Senza cioè parlare di un Dio vivo che sta nei campi, accanto ai poveri e agli indigeni. Volevano licenziare tutto il personale e fare la radio con soltanto tre volontari».
L’emittente ha resistito, ma il prezzo pagato è stato molto alto. La contesa religiosa tra i Carmelitani (riuniti nel movimento Isamis) e gli Araldi si trasformò presto in lotta politica ed economica. Con schieramenti e divisioni, anche tra familiari e amici. «Molte di quelle ferite ancora adesso non sono rimarginate», ammette Victor, che oggi però ha altre preoccupazioni.
«Abbiamo sempre dovuto combattere – racconta – con le difficoltà economiche. Ma ora la situazione si è aggravata a causa della crisi che, a partire dal 2015, si è abbattuta sul paese. La prima conseguenza è stata la riduzione della pubblicità che proveniva dalle entità governative e dalle imprese private. Inoltre, essendo noi collocati in una zona petrolifera, a causa della caduta dei prezzi del greggio molte imprese locali hanno chiuso, il commercio è diminuito e con ciò anche gli investimenti pubblicitari».
In questo momento, confessa con visibile dispiacere Victor, l’emittente ha alcuni mesi di ritardo nel pagamento degli stipendi ai propri dipendenti.
«È diventato molto difficile sostenere un progetto di comunicazione come quello che offre Radio Sucumbíos. Se non arriverà l’appoggio di qualche entità non governativa, potremo sopravvivere soltanto riducendo il personale e i programmi. Questo non vogliamo che succeda perché ci trasformeremmo in una delle tante radio che offrono soltanto musica e qualche altro programma senza alcun interesse per le problematiche sociali e comunitarie».
E verrebbe meno il motto che ha guidato Radio Sucumbíos in questi suoi primi 25 anni di vita: fare un giornalismo con responsabilità sociale.
Quando occorre schierarsi
«Se c’è una perdita di petrolio, noi la denunciamo subito. Non abbiamo compromessi con il potere, sia esso quello politico che quello economico. Un mezzo di comunicazione non può sempre essere neutrale o imparziale. Quando c’è una violazione di un diritto umano, quando c’è un disastro ambientale, devi schierarti. E Radio Sucumbíos si è sempre schierata a fianco della gente, dei contadini, degli indigeni».
Paolo Moiola
(fine 7.a puntata – continua)