Etty Hillesum nasce ad Amsterdam, in Olanda, nel 1914 da una famiglia della buona borghesia ebraica. Ragazza vivace, brillante, fin dagli studi giovanili rivela un’intensa passione per la letteratura e la filosofia.
Dopo la laurea in giurisprudenza si iscrive alla facoltà di lingue slave e intraprende lo studio della psicologia. Gli anni in cui frequenta l’università sono quelli in cui divampa la seconda guerra mondiale e con essa la persecuzione del popolo ebraico. Negli ultimi anni della sua esistenza scrive un diario personale, undici quadei fittamente ricoperti da una scrittura minuta, quasi indecifrabile, che narrano gli eventi degli anni 1941 e 1942, anni di guerra e di oppressione, non solo per l’Olanda, ma per l’Europa intera, per Etty un periodo di crescita e paradossalmente di liberazione individuale. Proveniente da una famiglia in cui le relazioni tra i suoi membri erano segnate da diverse incomprensioni, Etty vive un’amara adolescenza con degli sfibranti malesseri fisici, ma non tarda molto a scoprire che essi sono legati a tensioni di ordine spirituale che la lasciano: «Lacerata interiormente e mortalmente infelice».
In quel periodo ha un incontro decisivo con uno psicologo ebreo, Julius Spier, di molti anni più anziano di lei, che nei suoi confronti si rivela ben più di un terapeuta. Attraverso le contraddizioni di una relazione particolarmente complessa, per certi versi anche ambigua, egli la guida in un percorso di realizzazione umana e spirituale.
Etty, prova a raccontarci come si sviluppò la tua storia di ebrea olandese che i tedeschi deportarono nei campi di sterminio.
Dopo aver invaso la Polonia nel settembre 1939, le armate di Hitler irruppero in Olanda il 10 maggio 1940. Da piccola nazione libera e indipendente quale eravamo, diventammo un piccolo satellite nell’orbita nazista.
In un primo tempo la comunità ebraica non pensò che le cose sarebbero volte al peggio come invece avvenne pochi mesi dopo.
Assolutamente no, nonostante con il passare dei mesi venisse rapidamente portata a compimento l’attuazione delle leggi di Norimberga che vietavano agli ebrei, tra le altre cose, di usare trasporti pubblici, telefonare, sposarsi con persone non ebree.
Ma i nazisti non si limitarono a quelle misure.
Nel 1939 venne creato il campo di Westerbork, dove il governo olandese, in accordo con la principale organizzazione ebraica presente in Olanda, decise di riunire i rifugiati ebrei, tedeschi o apolidi, che vivevano nei Paesi Bassi.
Nonostante il cataclisma che stava abbattendosi sull’Europa tu trovasti il modo di non perdere la testa e di mantenerti serena.
Fu il 3 febbraio 1941 che avvenne l’incontro più importante della mia vita, l’incontro con lo psicologo Julius Spier, allievo di Carl Gustav Jung, inventore della psicochirologia, la scienza che studia la psicologia di una persona partendo dall’analisi delle mani.
Che tipo era Julius Spier?
Ebreo tedesco, fuggito da Berlino nel 1939, Spier tenne ad Amsterdam dei corsi serali particolarmente apprezzati e molto frequentati. Nel frattempo, a causa della mancanza di personale tedesco, era giunta un’informativa che permetteva a dei prigionieri di svolgere un lavoro di segreteria. Un giovane studente di biochimica che frequentava i suoi corsi propose a Spier di assumermi come segretaria.
Il vostro incontro fu folgorante e tu decidesti subito di prendere un appuntamento privato per cominciare una terapia.
Subito fin dall’inizio diventai la prima segretaria di Spier e successivamente una sua allieva. Il problema fu che tra noi scoppiò un’attrazione reciproca molto forte, nonostante la notevole differenza di età, 54 anni lui e 27 io. Ma la complicazione peggiore stava nel fatto che entrambi eravamo già impegnati in altre relazioni.
Anche se lavoravi da lui non ti fermavi a dormire per la notte?
No, tornavo al campo dove, attraverso una radio clandestina che i prigionieri avevano costruito, appresi la notizia che i tedeschi si preparavano ad annientare totalmente tutti gli ebrei dal continente europeo.
Nello stesso periodo il campo di Westerbork passò sotto comando tedesco diventando così un «campo di transito di pubblica sicurezza».
I tedeschi volevano fare di quel campo un luogo di raccolta e di smistamento per gli ebrei prigionieri diretti ad Auschwitz. Fu necessario trovare qualcuno che mandasse avanti l’organizzazione a livello amministrativo-burocratico.
Quindi anche per te fu dilatato il tuo campo di azione?
È vero, a Westerbork godevo di una certa libertà e questo mi permise di mantenere contatti con l’esterno e di scrivere delle lettere che si diffusero ovunque in Olanda. Il 15 settembre 1942 Julius Spier morì per un tumore al polmone e, cosa abbastanza strana, le autorità tedesche mi diedero il permesso di andare ad Amsterdam per partecipare al suo funerale.
La relazione con Julius Spier è alla base della tua sensibilità religiosa e, attraverso i tuoi scritti, intuiamo che c’era tra voi una grande tensione spirituale.
Pur proveniente da una famiglia ebraica, io ero per nulla osservante delle leggi della Sinagoga. L’incontro con Julius fu per me come uno squarcio di sereno in una giornata carica di nubi e di dubbi. Con lui posso dire di essermi aperta alla trascendenza e al divino. Mi insegnò a pregare e finalmente riuscii a raccogliermi e a concentrarmi su me stessa. Imparai a ritirarmi nella mia cella personale della preghiera, che diventava ogni giorno una realtà sempre più grande.
Anche la situazione che stavi vivendo imparasti a vederla con occhi diversi?
I nazisti potevano renderci la vita più dura, privarci della nostra libertà di movimento, ma io mi rendevo conto che eravamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori, con un atteggiamento del tutto sbagliato, col sentirci perseguitati, umiliati ed oppressi, col nostro odio e con la millanteria che mascherava la paura.
In un certo senso si può dire che anche attraverso le situazioni più drammatiche possiamo mantenere la nostra dignità, nessuno ce la può portare via.
Se ho imparato qualcosa dalla mia terribile esperienza è che quel Dio che vive in noi soffre con noi. Egli non può fare molto per modificare le circostanze in cui mi trovo, ma io sono sicura che a ogni battito del nostro cuore tocca a noi aiutare Lui, difendere fino all’ultimo la Sua Casa che è in noi. Non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle braccia di Dio.
Anche se non vedevi all’orizzonte la fine dei tuoi tormenti, la scoperta di Dio dentro di te ti spinse a vivere per aiutare altre persone a preparare tempi nuovi.
Ero sicura che i «tempi nuovi» sarebbero venuti e sentivo che stavano crescendo in me con una forza irresistibile ogni giorno di più. Alla sera tardi, quando il giorno si era inabissato dentro di me, mi capitava spesso di camminare lungo il filo spinato e di sentire che dal mio cuore si innalzava una voce, anzi una forza elementare che diceva che la vita è una cosa splendida e grande. Per questo abbiamo il dovere, nonostante tutto, di costruire un mondo completamente nuovo.
Anche quando capisti che Hitler e i suoi sgherri nazisti volevano lo sterminio del tuo popolo.
Per ogni crimine od orrore che si consuma sulla Terra dovremmo essere capaci di opporre un nuovo pezzettino di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere. E se sapremo sopravvivere intatti a questo tempo, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita.
Etty, la tua testimonianza lascia un messaggio sconvolgente e allo stesso tempo meraviglioso.
Sul mio diario scrissi così: «Se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, quel pezzettino di eternità che ci portiamo dentro ci spalancherà un orizzonte nuovo. Sono una persona felice, nonostante la detenzione, lodo questa vita nell’anno del Signore 1942 e combatto la mia battaglia contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la nostra fine».
Nonostante tutto riesci a dare a tutti un po’ del tuo amore cristallino e sconfinato.
Pur essendo vissuta in un mondo sbagliato, senza dignità, io non odio nessuno, non sono amareggiata perché ho la consapevolezza che, una volta che l’amore per tutti gli uomini comincia a crescere e svilupparsi, in noi questo amore diventa infinito.
Dall’estate del 1943 si moltiplicano i treni carichi di prigionieri che dal campo di raccolta di Westerbork, in Olanda, si dirigono verso Auschwitz. Il 7 settembre 1943 la famiglia Hillesum sale su un convoglio diretto in Polonia. I genitori muoiono di stenti lungo il tragitto, mentre Etty e il fratello Mischa muoiono nel marzo del 1944 entrambi nel campo di sterminio. Il fratello Jaap, deportato nel campo di Bergen Belsen, muore il 27 gennaio 1945 sul treno che evacua i sopravvissuti del campo, da pochi giorni liberato dall’Armata Rossa.
I quadei di Etty con la sua calligrafia minuta vengono da lei affidati a una sua amica che solo nel 1981 riesce a trovare un editore per pubblicarli. Essi diventando immediatamente un grande successo editoriale. La storia di Etty colpisce per la lucidità con la quale questa giovane donna olandese affronta le vicende tragiche del suo tempo opponendo una grande resistenza interiore al male e ricercando con tenacia e fede in Dio tracce di bene anche là dove Egli sembra assente. L’insegnamento che ci lascia è l’unica strada per contrastare l’odio, è un atteggiamento d’amore con cui guardare – nonostante tutto – anche chi ci sta facendo del male.
Don Mario Bandera