Il giorno 9 novembre, presso la Sala del Consiglio del Comune di Torino, comunemente conosciuta come “Sala Rossa”, è stato firmato il Patto di Collaborazione fra il capoluogo piemontese e la città di Kharkhorin (Mongolia). Con questo atto pubblico, La Sindaca di Torino, Chiara Appendino, e il Sindaco della cittadina mongola, Enkhbat Lamzav, si sono impegnati, a nome delle due cittadinanze, a permettere un interscambio maggiore fra i due paesi, soprattutto nei campi della cultura e del turismo.
Negli antichi scranni in cui, in pieno Risorgimento, si sedette Cavour, è stata ospitata una piccola delegazione di amici, parenti e invitati vari, tra cui anche i Missionari e le Missionarie della Consolata.
Entrambi gli Istituti sono presenti in Mongolia dal 2003, nella capitale Ulaanbaatar e nella cittadina di Arvaikheer, capitale della Provincia di Uvurkhangai, ubicata nel centro del paese, a poche decine di chilometri dall’inizio dell’immenso deserto del Gobi.
Della stessa provincia fa parte anche Kharkhorin, l’antica Karakorum, prima capitale dell’impero mongolo per volere dello stesso Genghis Kahn. La città conserva oggi un’impareggiabile importanza culturale, religiosa (e di conseguenza, turistica) per chi vuole capire la storia di questo paese e, più in generale, dell’Asia centrale. Un interessante museo storico-archeologico guida il visitatore alla riscoperta di questo luogo che varie squadre di archeologi stanno cercando di riportare alla luce, con difficoltà, ma anche con interessanti risultati. Una delle principali fonti di riferimento è il diario scritto da un frate francescano italiano, Giovanni di Pian del Carpine che visitò la zona come legato papale in missione presso la corte del Khan mongolo. Il racconto dettagliato di questa impresa, che risale al XIII secolo, parla della compresenza pacifica e tollerante in Kharkhorin di un grande tempio buddhista, di una moschea islamica e di una chiesa cristiana nestoriana. Questo mirabile esempio del passato ha molto da dire anche al tempo presente, in cui le religioni sono usate sovente per dividere anziché unire i popoli nella ricerca della pace.
Sin dall’inizio della loro presenza in Asia, i Missionari e le Missionarie della Consolata hanno ritenuto che il dialogo, alimentato dalla conoscenza delle tradizioni religiose presenti sul territorio, sia fondamentale per l’evangelizzazione, ma anche per una vera collaborazione nel quotidiano, in vista del bene comune. A questo scopo, studio e ricerca a tavolino sono molto importanti; ciò che tuttavia conta maggiormente sono le relazioni fratee di rispetto e amicizia, che nascono da una frequentazione reciproca protratta nel tempo. In Mongolia è quanto essi cercano di fare, sia con gli amici buddhisti (monaci e semplici fedeli) sia con chi segue altre forme religiose, come lo Sciamanesimo (che appartiene all’identità’ più ancestrale della Mongolia) e l’Islam (praticato soprattutto nell’ovest del Paese), sia con chi non aderisce a nessun credo religioso.
Il tentativo di assecondare il profondo desiderio di armonia e dialogo ha spinto Missionari e Missionarie a rivolgere verso Kharkhorin il loro sguardo, muovendo i primi passi verso la costituzione di un centro di dialogo interreligioso e di ricerca storico-culturale.
La Firma del Patto di Collaborazione è frutto dei contatti capillari che Padre Giorgio Marengo, Missionario della Consolata torinese, ha mantenuto vivi su entrambi i fronti, mongolo e piemontese. L’incontro del 9 novembre, infatti, porta a compimento i propositi messi sul tavolo soltanto l’anno scorso, durante una visita a Torino del Sindaco della Città di Kharkhorin, accompagnato dall’allora Vice Goveatore della provincia di Uvurkhangai, in occasione del Forum mondiale dello sviluppo economico locale.
Se l’aspetto turistico e commerciale di questo accordo è certamente molto importante, occorre sottolineare la forte componente culturale che sottostà a questa firma, come la stessa Sindaca di Torino ha sottolineato nel suo discorso di benvenuto. Non è un caso che, oltre al Sindaco di Kharkhorin, per la delegazione mongola erano presenti l’Ambasciatore della Repubblica di Mongolia a Roma, dott. Tserendorj Jambaldorj, il direttore del Museo di Erdene Zuu, Naigal Tumurbaatar e la direttrice del Museo di Kharkhorin, Narangerel Giina.
I due studiosi hanno avuto modo di parlare del patrimonio culturale che gestiscono durante l’inaugurazione della mostra fotografica “Un tesoro nella steppa. Il monastero di Erdene Zuu in Mongolia”, in esibizione al MAO, il Museo di Arte Orientale di Torino, fino a domenica 11 dicembre 2016. La splendida coice del MAO ha esaltato i colori delle immagini che raccontano la storia centenaria del più importante ed antico centro di spiritualità buddhista del paese.
La mostra, realizzata grazie alle fotografie messe a disposizione dall’archivio della Regione di Uvurkhangai, presenta l’importante monastero buddhista costruito nel 1586 da Avtai Khan, principe dei Khalkha, l’odiea Repubblica di Mongolia. Delimitata da una cinta muraria di 400 metri per lato, scandita da 108 stupa, l’area sacra di Erdene Zuu era caratterizzata da numerosi edifici religiosi, costruiti nell’arco di tre secoli con differenti stili architettonici. Oggi, grazie anche ai Missionari della Consolata, questo tesoro viene condiviso in Occidente.