Il peso della storia


All’inizio del IV secolo fu la prima nazione a convertirsi al cristianesimo. Nel 1915 un milione e mezzo di suoi cittadini persero la vita nel primo genocidio del Novecento. Finita l’era sovietica, dal 1991 l’Armenia è uno stato indipendente. Con molti problemi: la guerra con l’Azerbaijan, la mancanza di relazioni con la vicina Turchia, la povertà diffusa che spinge giovani e intellettuali a emigrare.

Armenia, un nome che a molti di noi richiama alla mente quella che papa Francesco lo scorso giugno, durante la sua visita apostolica nel paese, ha chiamato la «prima delle immani catastrofi del secolo scorso». Ci riferiamo al genocidio armeno, che si compì nel 1915, quando persero la vita un milione e mezzo di persone a causa di uno sterminio pianificato e portato avanti con sistematica lucidità dal movimento politico dei «Giovani Turchi». Un crimine a lungo dimenticato, e ancora oggi negato da diversi paesi, e in primo luogo dalla Turchia, nata sulle ceneri di quell’Impero Ottomano in cui quella tragedia avvenne. Eppure, ieri come oggi, l’Armenia è molto di più.

armenia-popoliL’identità armena: la religione e la lingua

Prima nazione a convertirsi al cristianesimo all’alba del IV secolo grazie all’opera di San Gregorio l’Illuminatore, l’Armenia ha alle spalle una lunga storia che si è tradotta e sviluppata in entità territoriali, anche molto diverse fra loro, susseguitesi nel tempo, ma sempre contraddistinte da un’identità molto marcata. Una cultura ricca e pluriforme, capace di raccogliere e rielaborare – essendo questa terra un ponte naturale fra Oriente e Occidente – il meglio della produzione artistica e intellettuale dei due mondi nelle diverse epoche. Al centro di tutto, come detto, la religione, ma anche la lingua, sopravvissuta a dominazioni straniere e diaspora, tramandata di generazione in generazione grazie all’alfabeto appositamente inventato all’inizio del V secolo dal monaco Mesrop Mashtots, desideroso di tradurre la Bibbia e farla conoscere al popolo armeno. Stretta fra tre vicini assai ingombranti quali l’Iran, la Turchia e la Russia, questa piccola nazione dal grande cuore – tre milioni di abitanti su un territorio esteso come il Belgio – è riuscita a sopravvivere nei secoli alle innumerevoli invasioni e tragedie della sua storia.

Più di recente, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica di cui è stata parte, l’Armenia è tornata a essere un paese indipendente. Uno stato giovane, che compie quest’anno venticinque anni di vita, come ha ricordato anche il papa durante la sua visita a giugno, congratulandosi con il presidente armeno Serzh Sargsyan. Certo, quella di oggi è una repubblica la cui estensione territoriale è assai più ridotta di quella che è stata (e in parte ancora è) la presenza armena nei paesi limitrofi. Ma non per questo la sua esistenza è un segno meno importante e significativo: il paese è l’emblema di una sopravvivenza, ma anche un riferimento umano e spirituale per i milioni di armeni sparsi in lungo e in largo per il mondo dopo la tragedia del genocidio.

Le relazioni impossibili con Azerbaijan e Turchia

Oggi il paese, i cui confini ripercorrono fedelmente quelli dell’ex repubblica sovietica d’Armenia, si presenta segnato ancora da conflitti e forti contraddizioni. In primo luogo, pesa la guerra mai conclusa con il suo vicino, l’Azerbaijan, per il controllo della regione contesa del Nagoo-Karabakh (MC agosto-settembre, ndr), oggi in mano agli armeni. Pesa anche l’assenza di rapporti diplomatici con la Turchia, un altro vicino, con la quale i confini sono chiusi da moltissimi anni, anche a causa della questione irrisolta del riconoscimento del genocidio. Pesano infine – in parte come conseguenza dei conflitti appena ricordati – anche la povertà e le disuguaglianze economiche, che determinano una continua fuga di forza lavoro, anche intellettuale, dal paese, una vera e propria emorragia verso la Russia e l’Europa, con la conseguente, costante caduta demografica che affligge l’Armenia. Eppure, per chi lo conosce e ci ha vissuto, il paese non è privo di fascino e dolcezze, e anche di notevoli sorprese.

Una cosa che va sottolineata subito – aspetto tipico di molti paesi dell’Asia, ma non sempre facile da comprendere da una prospettiva europea – è la grande disparità esistente fra la capitale, Yerevan, e il resto del paese. Una città, questa, che da sola assomma circa la metà della popolazione totale armena. Ma anche e soprattutto un luogo che fa da catalizzatore delle migliori energie del paese. Così, negli ultimi anni, Yerevan è diventata una capitale modea con una scena culturale assai vivace, con una gioventù aperta e cosmopolita che guarda sempre di più all’Europa come fonte di ispirazione.

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Povertà e monasteri Unesco

Assai diversa è la situazione appena ci si avventura fuori della capitale. Paesaggi dolci e incontaminati, dove la natura regna incontrastata sulla sparuta presenza dell’uomo, visibile a volte solo dopo molti chilometri di viaggio. Nei villaggi e nelle cittadine l’esistenza è dura. Qui la povertà e il disagio sembrano regnare su tutto. Emblematico il caso di Gyumri, seconda città dell’Armenia, visitata anche da papa Francesco. Un centro urbano che ha subito un drastico tracollo demografico, seguito al terremoto del 1988, quando tra la città e i territori circostanti morirono circa 25.000 persone. Dei 222.000 abitanti registrati nel censimento sovietico del 1984, oggi ne restano poco più di 120.000. Una perdita costante che non ha avuto fine neanche in anni più recenti. Un tempo centro industriale dell’Urss, oggi vive in larga parte dei soldi mandati dai parenti emigrati ai suoi abitanti e sui proventi – derivanti perlopiù da piccolo commercio – connessi alla base militare russa che vi si trova.

Oltre ai paesaggi suggestivi e sempre diversi, ciò che colpisce di più la fantasia del viaggiatore sono senza dubbio i monasteri medievali di cui questa terra è disseminata. Fra i tanti, ricordiamo almeno il monastero di Geghard, che prende il suo nome dalla reliquia della lancia («geghard», appunto, in lingua armena) che trafisse il Cristo al costato. Secondo la tradizione, a farla arrivare in Armenia sarebbe stato l’apostolo Taddeo, il primo a portare la lieta novella del Vangelo fra gli armeni. Scavato nella roccia, il monastero è situato nella valle del fiume Azat, che scorre subito accanto al monumento. Inclusi nella lista Unesco dei patrimoni dell’umanità – al pari di Geghard – sono altri due giornielli dell’architettura armena, ubicati nel Nord del paese. Ci riferiamo ai monasteri di Haghpat e Sanahin, sommi esempi di un connubio perfettamente compiuto fra arte e natura, ma anche di che cosa rappresenti la spiritualità armena. Ciò che stupisce di più, infatti, di questi edifici religiosi, è l’estrema sobrietà degli interni e degli arredi. Niente di più diverso, per intenderci, da una chiesa barocca veneziana. Pareti spesse e solide, concepite per resistere ai terremoti che da secoli colpiscono questa terra, giochi minimali di luci ed ombre, dipinti quasi assenti, spazi ridotti e sobri, privi di qualsivoglia forma di ricchezza e ostentazione. Al centro di tutto, il simbolo della croce, ripetuto in maniera quasi ossessiva in mille varianti sulle pareti e sulle pietre disseminate in questa antica terra.

L’ultimo dei siti Unesco del paese, la Cattedrale di Echmiadzin, inclusa nel registro insieme al sito archeologico di Zvartnots. Si tratta del centro religioso e spirituale del paese, una sorta di Vaticano armeno, situato a pochi chilometri da Yerevan e visitato fra l’altro da papa Francesco a giugno e da Giovanni Paolo II nel 2001. Qui a Echmiadzin risiede anche la massima autorità della Chiesa apostolica armena, il catholicos Karekin II. Nella sua «Storia degli armeni» scritta nel V secolo, lo storico Agatangelo racconta che fu una visione a mostrare al già ricordato San Gregorio il luogo in cui sarebbe dovuta sorgere la cattedrale. Echmiadzin significa infatti «discese l’unigenito», proprio in riferimento all’apparizione del Cristo.

Ma non è solo l’antichità di siti come questo a contraddistinguere l’Armenia di oggi.

Tra innovazione e oligarchi

Un altro paese, moderno e all’avanguardia, vive e si sviluppa all’ombra dell’Ararat, il monte biblico oggi appartenente alla Turchia, ma con i suoi 5.137 metri d’altezza ben visibile dall’Armenia. Uno dei settori più in crescita dell’economia nazionale è oggi quello della tecnologia dell’informazione. Un successo notevole per un’economia fortemente limitata dai confini chiusi, dalla guerra in corso e dalla mancanze di infrastrutture. Con una crescita media annuale di oltre il 20% nell’ultimo decennio, il settore It (acronimo inglese di «information technology») si è affermato come un simbolo per molti armeni: l’orgoglio di una nazione antica che, nonostante la povertà e le difficoltà del presente, riesce a produrre innovazione a livello internazionale. La riscossa di un popolo che ha fatto nel passato – così simile, in questo, al destino degli ebrei – dell’intraprendenza economica e della sua cultura cosmopolita due pilastri della propria identità. Non è mancato così chi ha parlato, in patria e altrove, di una «Silicon Valley» caucasica: software, applicazioni e videogame, tablet, smartphone e tecnologia militare (droni inclusi), tutti made in Armenia, sono gli ingredienti del successo.

Passando alla politica e alle istituzioni, a conclusione di questo rapido affresco del paese, l’Armenia può essere definita come uno degli esperimenti democratici più riusciti fra i paesi dell’ex Unione Sovietica. Nonostante tutti i limiti di uno stato non privo di alcuni tratti autoritari e piegato dalla corruzione, vi si tengono libere elezioni e nel quarto di secolo della sua giovane storia si sono succeduti al governo diversi partiti e uomini politici, con un’alternanza che ha permesso di sviluppare una certa libertà nei mass media e spazi di espressione e dissenso per la società civile. Forse la piaga più grande, a tal proposito, è rappresentata dal potere economico degli oligarchi, che rischia di strozzare, a suon di monopoli, le buone conquiste fatte negli ultimi anni in campo democratico.

Il 24 aprile, data simbolo della storia armena

Concludendo, non possiamo non tornare sulla questione del genocidio, con cui abbiamo aperto. Una questione su cui papa Francesco si è speso personalmente, nonostante notevoli pressioni contrarie anche all’interno dello stesso Vaticano. Una pagina di storia importante, per gli armeni, ma anche qualcosa in più. Per comprenderlo, basta visitare il paese il 24 di aprile, data simbolo in cui si ricorda il primo genocidio del XX secolo. Decine di migliaia di armeni, provenienti da ogni parte del paese, ma anche dall’estero, marciano fianco a fianco ogni anno per la durata di un giorno e una notte per prestare omaggio alle vittime di quella tragedia. Proprio fuori dal centro della capitale, su un colle chiamato Tsitseakaberd («il forte delle rondini») si trova il memoriale del genocidio, fatto costruire in epoca sovietica. Visitarlo significa comprendere come la storia per gli armeni non si limiti ai libri, alle targhe commemorative o a un calendario, ma sia parte della vita di ogni giorno, cibo quotidiano di questa gente. Qui, ai piedi dell’Ararat, dove per la Bibbia la vita toò dopo il diluvio, passato e presente, tradizione e futuro si compenetrano, facendo dell’Armenia un luogo unico.

Simone Zoppellaro

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Cronologia essenziale: dal 301 al 2016

La prima nazione cristiana

301 – Grazie all’opera di San Gregorio l’Illuminatore, il re armeno Tiridate si converte e l’Armenia diventa così – cuius regio, eius religio – la prima nazione al mondo ad abbracciare il cristianesimo.
406 – Il monaco Mesrop Mashtots inventa l’alfabeto armeno e inizia l’opera di traduzione delle Sacre Scritture in lingua armena.
1512 – Viene stampato a Venezia il primo libro in armeno.
1828 – Con il trattato di Turkmenchai l’Armenia orientale viene ceduta dalla Persia alla Russia.
1915 – Nell’Impero ottomano – in Anatolia, a Istanbul e in altre città – viene messo in atto lo sterminio della minoranza armena: è il genocidio («Medz Yeghe», in lingua armena) che porterà alla morte di un milione e mezzo di persone (vedi MC maggio 2015).
1920 – Viene proclamata la Repubblica Socialista Sovietica d’Armenia, una delle repubbliche facenti parte dell’Urss.
1988 – Un terremoto si abbatte su Leninakan (oggi Gyumri) e altri villaggi nel Nord Ovest del paese. Perdono la vita 25.000 persone.
1991 – L’Armenia dichiara la sua indipendenza dall’Unione Sovietica. Lo stesso anno Levon Ter-Petrosyan viene eletto primo presidente del paese.
1991 – La popolazione armena del Karabakh vota con un referendum per l’indipendenza della regione dall’Azerbaijan. Inizia una guerra che vedrà la vittoria militare degli armeni con la conquista del territorio.
1994 – A maggio viene firmato a Bishkek un protocollo che getta le basi per il cessate il fuoco fra azeri e armeni. Un accordo di pace non sarà mai raggiunto.
2001 – Visita di papa Giovanni Paolo II.
2008 – Dopo aver vinto le elezioni del 19 febbraio, Serj Sargsyan diventa il terzo presidente dell’Armenia. È tuttora in carica.
2016 – Il 2 giugno il parlamento tedesco, il Bundestag, riconosce con una risoluzione il genocidio armeno.
2016 – A giugno papa Francesco vista il paese. La Turchia polemizza con lui perché pronuncia la parola genocidio.

Si.Zo.

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La situazione religiosa

Armeni, un popolo di credenti

La quasi totalità della popolazione aderisce alla Chiesa apostolica armena, oggi guidata dal patriarca Karekin II.

«Visita al primo paese cristiano»: questo il motto scelto dalla Santa Sede per il viaggio di papa Francesco in Armenia (24-26 giugno 2016). Un primato, quello della nazione armena, conquistato grazie alla conversione, avvenuta nel IV secolo, del re Tiridate, portato alla fede in Cristo dall’opera di San Gregorio l’Illuminatore. Da allora, il cristianesimo accompagnerà tutte le tappe della storia armena, divenendo parte fondante della sua identità.

Ma non si tratta solo di storia. Una ricerca del 2015 condotta da Win/Gallup Inteational mostra come l’Armenia risulti essere il secondo paese più religioso al mondo, al pari della vicina Georgia. Il 93% della popolazione si dice infatti religiosa, a un solo punto percentuale dal primato mondiale, che spetta alla Thailandia.

Secondo il censimento del 2011, il 94,8% della popolazione armena (che conta 3,2 milioni di persone) è cristiana. In larga parte, questi si riconoscono nella Chiesa apostolica nata con San Gregorio e oggi guidata dal catholicos (patriarca) Karekin II. Secondo i numeri foiti dall’ufficio centrale di statistica della chiesa cattolica, in Armenia si troverebbero inoltre 280.000 cattolici, pari al 9,6% della popolazione. Ma si tratta di cifre dibattute, e il censimento citato fornisce cifre inferiori. Fra le altre religioni, ricordiamo lo 0.8% di yazidi, minoranza oggi perseguitata in Medio Oriente che ha trovato rifugio in Armenia, dove è in costruzione un loro tempio. Non mancano infine i musulmani: 812, secondo il censimento. Per loro a Yerevan è in funzione la Moschea Blu, splendido esempio di architettura persiana.

Si.Zo.