San José Gabriel Brochero, il «cura gaucho», era profondamente convinto che avrebbe potuto essere un buon pastore solo con un’azione missionaria ispirata dall’affetto, dall’interesse e dalla compassione per tutte le persone colpite dalla sofferenza, dalla povertà e dalle ingiustizie.
Nel volto di Brochero incontriamo la misericordia di Dio. Il 22 gennaio 2016 papa Francesco ha firmato il decreto che riconosce il secondo miracolo ottenuto grazie all’intercessione del beato José Gabriel Brochero. Il miracolo riconosciuto è quello della guarigione di una bambina che è tornata a camminare dopo un infarto cerebrale. Si tratta di Camila Brusotti, che all’età di otto anni, brutalmente picchiata da sua madre e dal suo patrigno, era rimasta per più di due mesi incosciente in terapia intensiva.
Il cura gaucho (cura = prete, gaucho = equivalente al cowboy, mandriano a cavallo), come era conosciuto, sarà canonizzato da papa Francesco il 16 ottobre e diventerà il primo santo tutto «argentino» perché nato e morto in Argentina. Mentre san Héctor Valdivielso Sáez (1910-1934), considerato da molti il «primo santo argentino», nacque nel paese, ma visse in Spagna da quando aveva quattro anni, e là fu fucilato insieme ai suoi confratelli quando aveva solo 24 anni, durante la rivoluzione delle Asturie, prima dell’inizio della guerra civile spagnola.
Il cura Brochero, la cui causa di beatificazione era iniziata nel 1967, era stato dichiarato venerabile da Giovanni Paolo II nel 2004 e poi beatificato da Benedetto XVI alla fine del 2012.
Chi era il Cura Gaucho?
Nacque nelle vicinanze di Santa Rosa de Río Primero (Córdoba, Argentina) il 16 marzo 1840 da una famiglia di contadini, quarto di dieci figli, crebbe nel seno di una famiglia profondamente cristiana. Due sue sorelle si fecero suore Figlie di Maria Santissima dell’Orto, fondate da sant’Antonio Maria Gianelli. Entrò nel seminario Nostra Signora di Loreto il 5 marzo 1856 e fu ordinato sacerdote il 4 novembre 1866. Destinato come collaboratore pastorale presso la cattedrale di Córdoba, si prodigò durante l’epidemia di colera che colpì la città nel 1867 e mieté più di quattromila vite. In qualità di prefetto agli studi del seminario maggiore, ottenne il titolo di maestro in filosofia presso l’Università di Córdoba il 12 novembre 1869.
Verso la fine del 1869 fu nominato parroco di sant’Alberto, un paese a tre giorni a cavallo dalla città; situata sulle Sierras Grandes, alte più di 2 mila metri, la parrocchia contava più di 10 mila abitanti che vivevano in luoghi isolati e impervi senza strade, senza scuole e servizi sociali. La situazione morale e l’indigenza materiale degli abitanti avrebbe scoraggiato chiunque, ma non il cura gaucho che da quel momento dedicherà tutta la sua vita a portare non solo il Vangelo, ma anche a promuovere la vita delle sua gente attraverso la scuola e tante altre iniziative sociali.
Appena un anno dopo il suo arrivo convinse uomini a donne a recarsi a Córdoba per fare gli esercizi spirituali, percorrendo in tre giorni gli oltre 150 km di distanza a cavallo o a dorso di mulo, in carovane che spesso superavano le 500 persone. Più di una volta furono sorpresi da forti tormente di neve. Al ritorno, dopo nove giorni di silenzio, preghiera e penitenza, i suoi parrocchiani cambiavano poco a poco la loro vita, diventando cristiani più convinti, impegnati anche nello sviluppo umano della loro terra.
Nel 1875, con l’aiuto dei suoi parrocchiani, iniziò la costruzione della Casa degli Esercizi del paese allora chiamato Villa del Transito (località che oggi porta il suo nome di Villa Cura Brochero). Fu inaugurata nel 1877 e, durante il ministero del cura gaucho vi passarono più di 40 mila persone con tui di 700 persone alla volta. Come complemento costruì la casa per le suore, un collegio per le ragazze e la residenza per i sacerdoti.
Con i suoi parrocchiani costruì più di 200 km di strade e varie chiese, fondò paesi e si preoccupò per l’educazione di tutti.
Richiese alle autorità e ottenne uffici postali e telegrafici. Progettò il ramo ferroviario che avrebbe attraversato la Valle de Traslasierra unendo Villa Dolores e Soto per liberare i suoi cari montanari dalla povertà in cui giacevano, «abbandonati da tutti, ma non da Dio», come amava ripetere.
Predicò il Vangelo adattando il linguaggio a quello dei suoi fedeli per renderlo comprensibile. Celebrò la santa messa anche nei luoghi più remoti della sua parrocchia, portando sempre con sé il necessario sulla sua mula. Nessun infermo rimaneva senza sacramenti perché né la pioggia, né il freddo lo fermavano, «altrimenti il diavolo mi ruba un’anima», diceva. Tra questi c’erano numerosi lebbrosi, che visitava regolarmente e con cui beveva il mate, la tipica bevanda argentina che si condivide da uno stesso recipiente. Si donava a tutti, specialmente ai poveri e ai lontani, che cercava con sollecitudine per avvicinarli a Dio.
Pochi giorni dopo la sua morte, il giornale cattolico di Córdoba scrisse: «È risaputo che il cura Brochero ha contratto la malattia che lo ha portato alla tomba perché non solo visitava ma anche abbracciava un lebbroso abbandonato da quelle parti». Diventato lebbroso, nel 1908 rinunciò alla parrocchia, toò a Córdoba e andò a vivere con le sue sorelle a Santa Rosa de Río Primero, la sua città natale. Non vi restò per molto: sollecitato dai suoi vecchi parrocchiani, toò a Villa del Tránsito nel 1912, preoccupandosi dell’opera che aveva sospeso, ossia l’installazione di una linea ferroviaria. Infine, il 26 gennaio 1914, rese l’anima a Dio. Le sue ultime parole, pronunciate in dialetto, furono: «Ora ho gli attrezzi pronti per il viaggio» («Ahora tengo ya los aparejos listos pa’l viaje»).
«Sarete miei testimoni»
Il cura Brochero prese alla lettera queste parole di Gesù e le visse da vero missionario praticando la spiritualità delle «tre A: aquí, allí, allá». Sono le tre dimensioni che egli ha sempre conservato nella sua vita.
Aquí – qui dentro il proprio cuore: la missione inizia in noi stessi, ma è necessario entrare nel proprio cuore, in profondità e con sincerità; spesso è il viaggio più difficile e lungo da percorrere.
Allí – qui e ora, in questo posto: nella propria diocesi, nella propria parrocchia, nella propria realtà.
Allá – Là, oltre: fino ai confini della terra che ci è affidata. Il cura Sapeva aprire le porte e lasciare entrare e nello stesso tempo sapeva uscire al di là delle frontiere tradizionali. Iniziava con un orizzonte concreto e limitato per ampliarlo poco a poco. Nello stesso modo il cammino missionario che egli apriva a coloro che lo aiutavano era proposto seguendo uno schema simile, partendo dal «di dentro», continuando nel «qui e ora» per aprirsi allo sguardo della missione nel «là e oltre» i confini e le barriere.
Juan Carlos Greco*
*Juan Carlos Greco, missionario della Consolata argentino. Il testo è stato tradotto e adattato da Misiones Consolata n. 470, luglio-agosto 2016, pubblicata a Buenos Aires, Argentina.
Foto di questo articolo tratte da: www.curabrochero.org.ar
Le 3 «A»
Proviamo ad approfondire le tre dimensioni della spiritualità del cura con un po’ di allegria, qualche sua frase e brevi testimonianze.
1. Aquí – qui dentro
«Un certo padre Juan è appena morto. Il vescovo durante il funerale abbonda di elogi: “Il defunto era un buon sacerdote, un vero amico di tutti, un padre umile e povero, un missionario esemplare!”. La sacrestana guarda uno dei chierichetti e gli dice all’orecchio: “Vai a vedere nella cassa e guarda se chi sta dentro è proprio p. Juan”».
Non è necessario fare molti elogi di Brochero. Egli sapeva aiutare le persone a entrare dentro di sé, a prendere coscienza della propria situazione e iniziare un cammino di vera conversione.
Diceva: «Non siamo cristiani per un’idea o una decisione etica, ma per incontrarci con Gesù». E a proposito della sua ordinazione sacerdotale: «Ho avuto molta paura. Sono solo un povero peccatore, così pieno di limiti e miserie. E mi domandavo: “Saprò essere fedele alla vocazione? In che imbroglio mi sono messo?”. Ma subito una sensazione immensa di pace invase il mio essere. Perché se il Signore mi aveva chiamato, Egli sarebbe stato fedele e avrebbe sostenuto la mia fedeltà; inoltre, Gesù Buon Pastore, non nega mai i suoi doni a coloro che lo seguono e sono “altri Gesù”» «Solo convertendo noi stessi in un nuovo magnificat potremo diventare ciò che Dio vuole che siamo, umili servitori, sui quali si effonde la misericordia di Dio per poter offrire la propria vita per amore al mondo. Oggi, per intercessione della Madre della misericordia, dobbiamo essere artefici della pace, strumenti di riconciliazione, costruttori di unità e testimoni della misericordia, affinché Dio voglia servirsi di noi e ricordarsi della sua eterna misericordia, ossia della grande promessa di Dio fatta ai nostri padri a favore di Abramo, di noi e del suo popolo per i secoli dei secoli».
«L’ostia consacrata è un miracolo di amore, un prodigio di amore, una meraviglia dell’amore, un complemento di amore ed è la prova più chiara del suo infinito amore verso di me, verso voi e verso l’uomo».
«Egli non fu un cristiano triste, sapeva della gioia che dà Gesù e la voleva contagiare», scrivono i vescovi argentini, «per questo, visitando la gente nelle case, diceva: “Vengo a portarvi la musica”. La musica di sapersi amati da Dio».
Per questo se non si è capaci di ascoltare la musica «che è dentro» (di noi) non si può cantare né in «questo posto» né «oltre», fino ai confini del mondo.
2. Allí – qui e ora
Nel confessionale:
– Cosa posso fare con i miei peccati, padre?
– Ora (prega).
– (Hora?) Sono le quattro e un quarto. Però, che posso fare con i miei peccati?
Seduto… Camminare verso il «qui e ora», ma seduto, confessando lunghe ore. «Il sacerdote che non prova molta pena per i peccatori è mezzo sacerdote. Questi paramenti benedetti che indosso non mi fanno sacerdote; se non alberga dentro di me la carità non sono nemmeno cristiano».
E ai suoi sacerdoti che lo aiutavano raccomandò per iscritto «che quanto più i fedeli sono peccatori o rudi o incivili, tanto più li dovete trattare con dolcezza e amabilità nel confessionale, dal pulpito e nella relazione personale».
Camminando… verso i poveri. «Brochero si caratterizzava per l’andare incontro ai bisognosi. Non gli mancavano mai aiuti da donare ai poveri della zona. Il suo vestito era sempre umile e povero. Molte volte, la signora Zoraida Viera de Recalde che gli lavava i vestiti gli domandava: “Signor Brochero, e quella camicia nuova che aveva?!”. Il prete rispondeva: “L’ho data a un altro che ne aveva più bisogno di me”». Diceva sempre: «Dio è come i pidocchi, c’è dappertutto, ma preferisce i poveri».
Con la predicazione itinerante e gli esercizi spirituali. Un sacerdote che lo conobbe ha testimoniato: «Dato che nella sua parrocchia regnavano l’ignoranza, l’indifferenza, l’alcolismo e il latrocinio, iniziò l’opera di evangelizzazione per mezzo degli Esercizi Spirituali e si propose di portare alla città di Córdoba i suoi fedeli perché potessero farli. Ma come trascinare quella gente che non aveva idea di che cosa fossero? Come condurre un numero considerevole di uomini e donne per sentirneri molto difficili lungo gli oltre 150 km attraverso le montagne?
Brochero commentava: “Chiedevo in giro chi era la persona più ‘condannata’, più ubriacona e ladrona della zona. Le scrivevo allora un bigliettino dicendole che desideravo trascorrere due giorni nella sua casa, celebrare messa, predicare e confessare, e che quindi avvisasse i suoi amici. In questo modo sapevo che quella gente veniva ad ascoltarmi perché se fossi andato da una buona famiglia quei furbacchioni non si sarebbero avvicinati. E là dicevo solo che volevo fare il loro bene a mie spese e che volevo insegnar loro il modo di salvarsi e qui tiravo fuori il Santo Cristo invitandoli agli Esercizi Spirituali”. In questo modo, invitando la gente non solo della sua parrocchia, ma anche quella della Rioja e di San Luis riuscì a portare circa 700 persone agli esercizi, procurando loro i cavalli e il denaro necessari e rispondendo personalmente per tutte le necessità dei più poveri. Tutte quelle persone tornavano da Córdoba piene di gioia e completamente trasformate».
3. Allá – Là, oltre
Un prete durante la predica disse: «In questo paese si è persa la fede». Al che un ubriaco rispose ad alta voce: «E allora da qui non esce nessuno finché non venga ritrovata!».
Ma se si è persa la fede, Brochero sapeva che bisognava andare a «riscattarla» e nello stesso tempo a seminarla nei cuori che non l’avevano mai avuta. E dove si diresse? È nelle periferie – come ha spiegato in molte occasioni Papa Francesco – che il cura Brochero si impegnò a restare. «Andare verso coloro che non conoscono l’amore di Dio perché non è stato loro annunciato o perché la triste realtà in cui vivono dice loro che Dio è assente dalle loro vite». E faceva questo non solo con le parole, ma anche con le opere in ambienti che non erano certo normali per gli ecclesiastici di quel tempo.
«Come la Madonna alle nozze di Cana, anch’egli ha saputo dire a Gesù: “Non hanno acqua”, “non hanno educazione”, “non hanno strade”, “non hanno mezzi adatti per incontrarsi come fratelli e commercializzare i loro prodotti…”».
«Il cura Brochero come uomo di fede, povero e generoso, era già presente nel cuore della gente a Cordoba nel 1857 quando ci fu l’epidemia del colera. Allo scoppio di quella terribile epidemia egli era già prete. Piuttosto che fuggire dal flagello quel giovane sacerdote, rischiando di contagiarsi per servire gli infermi, andò di casa in casa consolando e assistendo nelle loro necessità materiali e spirituali gli ammalati. Consolò le famiglie e diede sepoltura cristiana alle vittime dell’epidemia. È proprio a partire da questo fatto che la gente iniziò a scoprire che in mezzo ad essa c’era un uomo di Dio».
«Visitando i lebbrosi della zona contrasse la malattia che sopportò durante i suoi ultimi anni, la lebbra. Si può ben dire che fu un martire della carità. Una persona che lo conobbe, ricorda che nella parrocchia c’era un lebbroso che aveva un brutto carattere, bestemmiava e nessuno voleva avvicinarsi a lui. Brochero gli si avvicinò, gli portava da mangiare, lo puliva, beveva il mate con lui. La sua stessa nipote gli diceva di non andare da lui ed egli le rispondeva: “Forse l’anima di questo pover’uomo non vale niente?!”, e continuò a servirlo; lo trasformò in un mite agnello. Il lebbroso si confessò da lui e morì santamente avendo ricevuto tutti i sacramenti».
Juan Carlos Greco