Honduras Berta si è moltiplicata
Sono stati 185 gli attivisti per la giustizia ambientale uccisi nel 2015 nel mondo. Berta Cáceres, hondureña, sarà contata tra le vittime del 2016. Il suo paese è tra i più pericolosi per chi vuole difendere i territori e, con essi, la vita, la storia, la cultura delle comunità che li abitano. A rappresentare la minaccia è spesso l’industria estrattiva, mineraria ed energetica. Industria che, con cinismo, non manca di autodescriversi come sostenibile, green, attenta ai bisogni delle popolazioni locali.
Il rapporto di Global Witness uscito a giugno e riferito al 2015, intitolato in modo significativo «Su un terreno pericoloso » (On dangerous ground) registra un aumento del 59% rispetto all’anno prima degli omicidi ai danni di attivisti ambientali (185 in 16 paesi del mondo)1. L’accurato lavoro di ricerca con cui l’organizzazione non governativa denuncia l’elevato livello di violenza che si produce nei luoghi di estrazione di materie prime e di fonti energetiche in tutto il mondo, è dedicato quest’anno all’attivista Berta Cáceres2, uccisa nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016 in uno dei paesi che risultano essere tra i piú pericolosi negli ultimi anni per chi lotta per la giustizia ambientale: l’Honduras.
I Lenca sotto assedio
Berta Cáceres, cornordinatrice del Consejo de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras – Copinh -, viene brutalmente assassinata nella sua casa in La Esperanza, nella valle del rio Blanco-Gualcarque, da almeno due sicari. Ospite a casa sua quel giorno, sopravvissuto all’attacco ma ferito alle mani e a un orecchio, c’era Gustavo Soto, presidente di Otros Mundos Chiapas – Amici della Terra Messico, che partecipava a un workshop di formazione con il Copinh sul tema delle energie rinnovabili comunitarie. La comunità La Esperanza, dove Berta si era trasferita da poco, si trova nella regione delle comunità lenca, uno dei principali gruppi indigeni del paese, appartenente alla cultura maya. Quelle abitate dai Lenca sono terre fertili e ricche d’acqua. Per questo vengono considerate la nuova frontiera dell’economia estrattiva. Il Copinh denuncia da molti anni le modalità con cui vengono rilasciate le concessioni minerarie, quelle per lo sfruttamento del legname e per la costruzione di centrali idroelettriche con dighe sui principali fiumi del territorio.
Insicurezza, deportazioni, criminalizzazione della protesta
Non solo il Copinh si occupa delle terre lenca: anche la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (Cidu) nel suo ultimo rapporto sull’Honduras lancia un allarme per la grave insicurezza, l’uso eccessivo della forza, le deportazioni forzate, la criminalizzazione della protesta. Tutto ciò trova la strada spianata soprattutto a partire dal 2009, durante i governi creatisi dopo i golpe di Micheletti e poi di Porfilio Lobo Sosa. Il 24 agosto 2009 si approva la Ley General de Agua (la legge generale sull’acqua), che apre a nuove concessioni idriche, e il decreto 233 che deroga qualsiasi impedimento a concessioni idroelettriche in aree protette, in violazione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli indigeni, che l’Honduras ha firmato nel 2007. Organizzazioni della società civile hanno informato la Cidu di almeno 837 potenziali progetti minerari, che coinvolgerebbero il 35% del territorio nazionale, 76 progetti idroelettrici che già vantano uno studio di fattibilità e/o un contratto per operare già approvato, in un totale di 14 dei 18 dipartimenti del paese.
Progetto Agua Zarca
Tra il 2010 e il 2013 viene approvato uno dei progetti più controversi, conosciuto come Agua Zarca. Contro di esso il Copinh e Berta Cáceres non risparmiano critiche e denunce: la centrale è una infrastruttura di per sé piccola, con una potenza stimata di 21,3 Mw, ma che comporta un profondo impatto ambientale e culturale nel territorio. L’esistenza delle comunità lenca è infatti strettamente legata ai boschi e ai fiumi, fonte di vita e luogo in cui vivono gli spiriti delle niñas indigenas. La zona è considerata inoltre eredità del Cacique Lempira, eroe nazionale che ha lottato per la libertà di quei territori dall’invasione coloniale spagnola. L’arrivo senza preavviso dell’industria estrattiva con conseguenti zone disboscate, macchinari nel letto dei fiumi, strade bloccate, presenza di militari e forze di sicurezza armate, ha purtroppo diviso la popolazione. Alcuni Lenca hanno infatti creduto alla promessa di «sviluppo» fatta dall’impresa, una strategia corporativa piuttosto comune per rompere il fronte critico delle comunità locali, soprattutto se organizzate.
«Consultazioni zero»
«Sviluppo locale», «protezione dell’ambiente attraverso l’energia verde, rinnovabile», sono le parole d’ordine, gli slogan usati per presentare il progetto ai finanziatori e alla comunità internazionale. Nel 2012, la Banca Centroamericana di Integrazione Economica (Cabei) concede all’impresa hondureña Desarrollos Energéticos (Desa) un prestito di 24,4 milioni di dollari. Desa a sua volta stipula un contratto con il gigante cinese dell’idroelettrico Sinohydro, che viene presto accusato dalla popolazione lenca di non rispettare il diritto alla consultazione previa e informata della popolazione locale, così come sancito dall’Ilo (Oganizzazione internazionale del lavoro) nella Convenzione 169, firmata dall’Honduras nel 1995. Anche la tedesca Voith Hydro Holding GmbH & Co. KG è coinvolta nella foitura delle turbine, e accusata delle stesse violazioni. Di fronte alla protesta e alle denunce, Sinohydro si ritira dal progetto, così come la Corporazione Finanziaria Internazionale (Ifc) della Banca Mondiale.
I paradossi locali dell’economia estrattiva
Agua Zarca indica chiaramente che i conflitti non sorgono solo contro progetti di grandi dimensioni, ma da situazioni in cui diversi fattori d’ingiustizia si combinano insieme. In terra lenca, infatti, sono ben 17 le nuove dighe in previsione o già in costruzione, ma l’elettricità prodotta da questi impianti è principalmente destinata alle industrie e al settore minerario. Questo territorio non ha mai beneficiato di servizi statali, di salute, di educazione, se non in misura insufficiente. Tanto che l’Istituto Nazionale di Statistica registra, per esempio, un 30% di analfabetismo nel municipio di Intibuncá, 16 punti sopra la media nazionale. Ma il paradosso più grande sembra però essere il fatto che, appunto, alle comunità non è mai arrivato il collegamento all’energia elettrica. Un’analisi comparata delle realtà dove opera l’industria estrattiva rivela che questo è un fenomeno ricorrente che si verifica in maniera sistematica soprattutto in zone rurali dove la popolazione viene emarginata e i cui diritti di partecipazione e di espressione sono violati.
«Svegliati, umanità, vegliati!»
La morte di Berta Cáceres ha destato indignazione e rabbia in tutto il mondo. Espressioni di solidarietà sono arrivate da tutti i continenti perché il suo lavoro era conosciuto: il suo sguardo e le sue parole avevano suscitato forti emozioni, ad esempio, durante la consegna proprio a lei del premio ambientale Goldman nel 2015. Premio che Berta Cáceres aveva dedicato al popolo lenca e alla sua forza e dignità. In quell’occasione aveva invitato la comunità internazionale ad agire: «Svegliati, umanità, svegliati! Non c’è più tempo!». Parole che sono risuonate mille e mille volte nei social media dopo il suo assassinio, come un monito e un grido di dolore per le tante persone che subiscono repressione e violenza.
Una scia di sangue troppo lunga
Solo pochi giorni dopo la morte di Berta, viene ucciso nella sua dimora in Rio Lindo Nelson Garcia, per essersi opposto a deportazioni e sfollamenti forzati della sua comunità. Nel 2013, il giovane Tomas Garcia era stato ucciso durante una repressione della polizia. Entrambi i Garcia erano membri del Copinh assieme a Berta. Nel vicino Messico, Noé Vasquez della piattaforma anti dighe Mapder era stato vittima di un’imboscata mentre raccoglieva fiori e pietre per la cerimonia di apertura dell’incontro annuale del movimento nel 2013. Nello stesso anno due ragazzi erano stati assassinati da un sicario presso la diga Santa Rita in Guatemala, e un anno prima Andrés Francisco Miguel era morto durante le proteste per la diga Barillas Santa Cruz per mano delle guardie di sicurezza. Questi sono solo alcuni dei molti casi3 che dimostrano la grande violenza che accompagna l’industria estrattiva e i suoi progetti energetici e infrastrutturali, la connivenza fra imprese e autorità pubbliche e forze di «sicurezza» in Centroamerica.
L’eredità di Berta
Berta Cáceres però ha lasciato un’eredità speciale: «Il suo assassinio ha lasciato un segno profondo nei movimenti per la giustizia ambientale. Qualcosa è cambiato dalla sua morte», ci dice un attivista in Cile. C’è stata infatti una grande mobilitazione a molti livelli, dalle reti sociali al Parlamento europeo, che ha chiesto con forza al governo hondureño di intervenire per identificare i colpevoli materiali, per indagare sul ruolo delle imprese di Agua Zarca, e per rilasciare immediatamente Gustavo Soto, unico testimone diretto di quella tragica notte, che per settimane è stato trattenuto in Honduras nonostante avesse già riferito alle autorità tutto ciò che sapeva. Tra il 17 e il 21 marzo la Missione Internazionale Justícia per Berta Cáceres Flores ha partecipato a una visita nel paese, assieme a membri del Copinh e altre organizzazioni dell’Honduras. Anche dai paesi europei molte reti si sono attivate e hanno fatto pressione anche sui finanziatori del progetto, tra cui BankTrack, Both Ends, Inteational Rivers e la grande rete della campagna Stop Corporate Impunity. Fmo, la banca finanziatrice olandese, già coinvolta in altri progetti come Barro Blanco nello stesso Honduras e Santa Rita in Guatemala, e Finnfund, hanno deciso di sospendere il loro appoggio alla centrale pochi giorni dopo l’assassinio. La Cabei, che al principio aveva espresso fiducia sul fatto che per «il caso di Mrs. Cáceres ci sarà la dovuta accuratezza nelle indagini da parte delle autorità», il 4 aprile finalmente ha deciso di sospendere il finanziamento a Agua Zarca.
Resistenza all’imposizione
Nel mese di maggio è venuta in Europa una delegazione del Copinh, tra cui una delle figlie di Berta, che porta il suo stesso nome. Due lunghe settimane di incontri con dirigenti di banche, agenzie per lo «sviluppo», e imprese per raccontare, testimoniare ma anche per interrogare chi decide la destinazione di fondi e chi investe in nome di quello sviluppo e quell’energia che non si dimostrano né sostenibili né puliti. «Noi Lenca viviamo il nostro territorio con altre relazioni socio-ambientali », dice Bertita, che per la sua sicurezza ha dovuto vivere molti anni fuori dal paese e lontana dalla madre, durante un incontro a Barcellona. «Ora capiamo che tutto quello che facciamo, dalle iniziative per la salute comunitaria, alle piccole energie rinnovabili per le nostre case, all’educazione secondo i valori lenca, è una forma di resistenza alla cultura imposta da uno stato estrattivista e capitalista, oligarchico e patriarcale». E, concludendo, saluta con quanto gridato più volte dalla sua gente: «Mia madre no murío, se multiplicó ».
Daniela Del Bene
Co-editrice dell’Ejatlas
Note:
1- «Global Witness ha documentato in totale 185 omicidi in 16 paesi nel 2015, un aumento del 59% rispetto al 2014, e il numero totale più alto da quando abbiamo iniziato la raccolta di dati nel 2002. Difensori del territorio e dell’ambiente vengono uccisi a un ritmo impressionante di più di 3 a settimana. La maggior parte dei casi registrati sono avvenuti in paesi dell’America Latina e del Sud-Est asiatico, con il più alto pedaggio registrato ancora in Brasile (50) e nelle Filippine (33). I popoli indigeni difensori delle loro terre ancestrali sono stati i più colpiti, rappresentano infatti quasi il 40% delle vittime. Industrie minerarie e estrattive sono state collegate ad almeno 42 delitti. Ma anche industrie agroalimentari (20 omicidi), idroelettriche (15) e del legname (15). Abbiamo trovato un coinvolgimento sospetto di gruppi paramilitari in 16 casi, delle forze armate in 13, della polizia in 11, e di guardie di sicurezza private in altri 11». (da On dangerous ground, p. 5).
2- «Intoo alla mezzanotte del 2 marzo 2016, uomini armati hanno sfondato la porta della casa in cui Berta Cáceres si trovava a La Esperanza, Honduras, hanno sparato e l’hanno uccisa. Berta era un’attivista ambientale e per i diritti della terra indigena di alto profilo. L’anno scorso aveva ricevuto il premio ambientale Goldman, un prestigioso riconoscimento per l’attivismo ambientale di base in tutto il mondo. Nel suo discorso alla premiazione Berta aveva parlato delle minacce di morte e dei tentativi di rapimento subiti a causa della sua lotta contro la diga di Agua Zarca. Global Witness ha evidenziato il suo lavoro coraggioso in How many more? (quanti altri?), una ricerca in cui l’Honduras veniva descritto come il paese più pericoloso al mondo per i difensori della terra e dell’ambiente. Questo rapporto (On dangerous ground, ndr.) è dedicato a Berta Cáceres e ai molti attivisti coraggiosi che, come lei, resistono al potere, nonostante i pericoli per la loro vita». (da On dangerous ground, p. 2).
3- Circa l’assassinio sistematico degli indigeni in America Latina si veda MC 6/2016, p. 10-12.