Bestemmie

Gigi Anataloni

Appena arrivato in Kenya, i miei confratelli mi hanno raccontato una storia assai popolare tra loro. Era quella di un giovanotto che, avendo lavorato con operai italiani alla costruzione di una strada, si vantava di sapere la nostra lingua. Sfidato a provare il suo talento, aveva snocciolato una bella sfilza di colorite bestemmie. Buffo e penoso, pensai allora, benché, da bresciano quale sono, fossi abituato fin da bambino a sentirne, soprattutto dai muratori, bestemmiatori seriali, e, diventato poi prete, nelle confessioni di Natale o Pasqua, quando sentivo «mi è scappata qualche bestemmia», riuscissi a immaginare la sfilza di perle italiche sparate in automatico.

Non è certo di quelle bestemmie che voglio scrivere ora, anche se mi hanno sempre messo a disagio per la loro gratuita stupidità. Altre sono le bestemmie che oggi trovo davvero repellenti e inaccettabili, perché feriscono e degradano l’immagine di Dio che è l’uomo.

Una è quell’«Allah akbar» gridato con orgoglio dagli assassini dell’Isis e loro aggregati. Ma come si può urlare che «Dio è il più grande» quando si violenta l’immagine stessa di Dio uccidendo persone innocenti, colpendo di proposito i più deboli e indifesi, stuprando e vendendo donne come se fossero oggetti, o trasformando bambini innocenti in portatori di morte? Quale sarebbe la grandezza di questo dio? Un dio che terrorizza e distrugge l’opera stessa delle sue mani non è dio, non certo il Dio dell’Islam, ma il frutto del più ottuso e superbo, anche se inconsapevole, ateismo. È un idolo di morte fatto a immagine e somiglianza degli uomini che lo usano nel loro delirio di onnipotenza. Di fatto sostituendosi a Dio: non gli uomini strumento di Dio, ma Dio strumento degli uomini.

Il Dio di Gesù Cristo è ben altro. È il Dio della vita e dell’amore, un amore gratuito e totale. È il Dio che – citando Osea 11 – «attira con legami di bontà e con vincoli di amore», che, come un padre, solleva il suo «bimbo alla guancia» e, come una madre, «si china su di lui per dargli da mangiare», mentre il suo «cuore si commuove e l’intimo freme di compassione» (cfr. Lc 15). È il Dio che manda i suoi «angeli» (Lc 9,52) a «guarire gli infermi, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni», senza «oro né argento, né denaro, né sacca da viaggio, né vestiti di ricambio, né sandali di scorta e neppure il bastone» (forse anche per evitare di usarlo come arma), e a portare come dono la pace, senza imporre niente a nessuno, ma offrendo solo la gratuità dell’amore (cfr. Mt 10). Questo è stato Gesù, l’unico cha ha davvero visto Dio (il Padre) ed è stato capace di mostrarcelo attraverso la sua vita, le sue parole, le sue azioni di misericordia e il dono finale di sé (cfr. Gv 12,44; 14,5ss).

È il Dio amato da santa Maria Goretti che abbiamo ricordato il 6 luglio nella settimana in cui la liturgia ci ha offerto i brani di Matteo e di Osea sopra citati, mentre i media ci narravano degli orrori del mercato delle schiave yazide, in Sud Sudan riprendeva con rinnovata violenza la terribile guerra civile di cui parliamo nelle pagine intee, i corpi delle vittime di Dacca venivano restituiti alle loro famiglie, Emmanuel, giovane marito innamorato, veniva pestato a morte a Fermo, e a Dallas avveniva l’ennesima tragedia a sfondo razzista.

Che c’entra Maria Goretti, uccisa da chi diceva di amarla e voleva solo il suo corpo? C’entra, perché aveva capito che il Dio vero è quello delle vittime, non dei carnefici. E poi perché la sua figura smaschera un’altra bestemmia dei nostri tempi, sempre contro l’immagine di Dio che è l’uomo: il fare del corpo un oggetto di desiderio, che porta, tra l’altro, adolescenti in branco a violentare le loro stesse compagne, giovanissime a concedersi o a esibirsi per non essere escluse dal gruppo, adulti a far fiorire il traffico di bambini e donne per il ricchissimo mercato della prostituzione, pedofilia e turismo sessuale, gruppi mafiosi a controllare e promuovere la pornografia online.

E la lista delle bestemmie non finisce qui. È una violenza all’immagine di Dio, cioè all’uomo, anche il gioco d’azzardo che vende illusioni, rovina famiglie, crea povertà e confonde la scala dei valori nella vita delle persone. Non basta la legalizzazione e il controllo da parte dello stato, che ottiene così miliardi di euro imbrattati di lacrime e sangue, per renderlo accettabile o perfino un diritto. Su un livello più alto è violenza all’uomo anche il grande gioco d’azzardo dei mercati azionari, dove, come abbiamo visto in questo ultimo mese, si bruciano, a dispetto degli affannosi interventi delle istituzioni, miliardi su miliardi ipotecando il futuro di intere nazioni e aumentando a dismisura il peso del debito pubblico sulle spalle di ogni persona, il tutto nel nome della libertà di mercato, ma in realtà a solo vantaggio di pochissimi ricchi in delirio di onnipotenza che hanno perso il senso dell’umanità.

Gesù ha detto: «Che vedano le vostre opere di giustizia e rendano gloria al Padre» (Mt 5,16). Contro il moltiplicarsi delle bestemmie ci vogliono opere di bene, fatti di giustizia a opera di «martiri» e «angeli» che con la loro vita rivelino il vero volto di Dio, che è amore.

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Gigi Anataloni

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