Due anni fa, come missionari e missionarie della Consolata abbiamo promosso in tutte le nostre comunità sparse per il mondo un anno speciale dedicato al beato Giuseppe Allamano. Lo scopo di quell’iniziativa era di riscoprire e rinnovare il legame affettivo con la persona del nostro fondatore, per scongiurare il rischio di lasciare arrugginire il rapporto vitale con la nostra storia.
Quando uno entra a far parte dei missionari della Consolata, è chiamato a vivere una relazione speciale con l’Istituto, che l’Allamano ha sempre considerato come una famiglia. In questa maniera non banalizza né narcotizza nella routine quotidiana uno stile di vita per la missione che invece va continuamente rivitalizzato e rinnovato. La missione non si vive per abitudine, ma richiede di essere riscoperta, rivissuta e ripresentata con forza in modo appassionato e coinvolgente.
Se questa riflessione è valida per tutti i missionari sparsi nei vari continenti, in Europa è ancora più urgente, a causa della profonda trasformazione che il continente sta vivendo. Una situazione che offre spunti di enorme interesse alla riflessione sulla missione. Per anni l’Europa è stato lo scrigno della nostra tradizione. Ma ora rischia di essere la nostra tomba. Senza voler essere irriverenti, dobbiamo oggi estrarre il «tesoro» del beato Allamano che abbiamo chiuso nel sepolcro in cui egli è venerato, allo scopo di proiettarlo, senza bisogno di troppe parole ma attraverso la nostra vita e le nostre scelte, nelle periferie geografiche ed esistenziali dell’Italia, del Portogallo, della Spagna e della Polonia, i paesi europei in cui lavoriamo.
Siamo quindi chiamati oggi a coltivare una duplice spiritualità: della memoria e dell’azione. Innanzitutto della memoria: qui siamo nati, qui l’Istituto ha mosso i primi passi, qui si è sviluppato e da qui ha vissuto la propria missione, dedicandosi all’animazione missionaria della Chiesa locale, alla ricerca di aiuti e vocazioni per le missioni. Qui alcuni grandi confratelli e consorelle hanno dedicato con zelo e passione la loro vita per mantenere e far crescere la dimensione missionaria della Chiesa in Europa. Riscoprire la figura dell’Allamano sacerdote in Europa, e quella dei confratelli che ne hanno continuato lo spirito, è il primo compito che ci proponiamo. Saremo forse nani sulle spalle di giganti, come diceva Wittgenstein dei grandi filosofi dell’antichità, ma dall’alto di quelle robuste spalle che ci sostengono, vogliamo guardare lontano.
La memoria da sola non basta, va perciò coniugata con una spiritualità dell’azione per capire come tradurre in atteggiamenti concreti lo spirito del missionario della Consolata in un contesto come quello europeo. Senza abbandonare quella che era «l’animazione missionaria», oggi abbiamo in atto tante nuove esperienze di consolazione e annuncio all’interno delle chiese europee. L’apertura di nuove presenze in quartieri marginali, l’accoglienza di profughi e migranti in alcune delle nostre case, il servizio alle comunità etniche o alle donne sfruttate, le molteplici attività di consolazione dirette a curare l’uomo di oggi ferito dalla solitudine e dal sentirsi uno scarto della società, la vicinanza ai giovani ormai lontani dalla vita ecclesiale, eppure così desiderosi di qualcuno che parli loro di Dio …
Possiamo riscoprire la nostra vocazione di annunciatori della Buona Notizia nei «nostri» paesi diventati un terreno fertile per vivere la nostra vocazione delle origini: il primo annuncio del Vangelo.
Ugo Pozzoli