Dal 10 dicembre a guidare l’Argentina c’è un nuovo presidente, il conservatore Mauricio Macri, figlio di un ricco imprenditore italiano. La sua carriera pubblica iniziò nel 1995 quando fu eletto alla presidenza del Boca Juniors, una delle più conosciute e titolate squadre di calcio al mondo. Adesso Macri è alla guida di una nazione dove i problemi – a cominciare da quelli economici – non mancano mai. E la sua coalizione, riunita sotto la slogan Cambiemos (Cambiamo), non ha la maggioranza al Congresso.
San Paolo (Brasile), 7 febbraio. L’hotel è pieno di argentini in attesa di un volo per l’Europa. L’occasione è propizia per fare qualche domanda. «Come si sta comportando il nuovo presidente?», chiediamo a un gruppo di loro. «L’uomo si sta dando da fare per chiudere con l’epoca di Cristina», è il coro unanime. Facciamo notare che la (ex) presidenta ha varato programmi sociali importanti e che ha combattuto a livello internazionale contro la speculazione finanziaria, un cappio al collo dell’Argentina. I cosiddetti «fondi avvoltornio» (fondos buitre) ne sono ancora oggi la manifestazione più vergognosa e intollerabile (sotto qualsivoglia punto di vista). Non riusciamo tuttavia a convincere i nostri interlocutori, i quali – con visibile disapprovazione – elencano gli ultimi casi di corruzione. Forse è una casualità o forse sono le normali contumelie – consuete in (quasi) tutto il mondo – nei riguardi dei rappresentanti politici. Di sicuro Mauricio Macri, l’inatteso vincitore delle elezioni presidenziali dello scorso dicembre, rappresenta un cambio in un certo qual modo «storico» perché si colloca al di fuori – almeno in teoria – delle due grandi coalizioni politiche argentine, quella giustizialista-peronista (di cui fa parte la corrente kirchnerista, una sorta di peronismo di sinistra) e quella radicale.
Il calcio è potere
Chi è, e da dove proviene il nuovo presidente? Figlio di un italiano che in Argentina ha costruito un impero economico1, Macri ha trovato la sua personale rampa di lancio non nel mondo dell’impresa, bensì in quello del calcio, che nel paese latinoamericano costituisce – senza timore di smentita – una vera e propria «religione». Soprattutto quando si parla del Boca (Juniors), la squadra dell’omonimo quartiere di Buenos Aires, fondata nel 1905 da un gruppo di ragazzi figli di immigrati italiani. Il Boca è uno dei club più famosi a livello mondiale, in cui hanno militato campioni celebrati, come Diego Armando Maradona e oggi Carlos Tévez.
Macri ne è stato lungamente (dal 1995 al 2008) presidente, e soprattutto un presidente vittorioso. Durante e dopo quell’esperienza di dirigente calcistico, si collocano anche le sue fortune politiche, prima come deputato nazionale e poi come governatore del distretto di Buenos Aires, cuore pulsante del paese.
Conservatore e liberista
Le prime mosse di Macri sono state quelle proprie di un politico conservatore e liberista.
Alcuni giorni dopo la sua entrata alla Casa Rosada, il neopresidente ha annunciato (14 dicembre) la sua prima misura di carattere economico: l’eliminazione delle tasse (retenciones) sull’esportazione per i produttori agricoli di frumento, mais e carne; la riduzione di quella per i produttori di soia (il prodotto principe delle esportazioni, una fonte d’oro e di disastri ambientali). Un regalo di enorme valore per i latifondisti argentini, che dal 2008 lottavano contro il regime fiscale imposto da Cristina Kirchner Feández. La seconda misura è stata varata pochi giorni dopo: la cancellazione del regime di controllo cambiario sul dollaro, che limitava gli acquisti della valuta statunitense per cittadini e imprese. La liberalizzazione ha prodotto una immediata svalutazione della moneta nazionale, il peso, rendendo i prodotti argentini più competitivi (ma facilitando anche la fuga di capitali e l’inflazione).
La politica economica del neopresidente piace ai ricchi. E probabilmente piacerà anche alle istituzioni inteazionali che contano, tra cui non rientra l’Assemblea generale della Nazioni Unite. Va ricordato che quest’ultima, il 10 settembre 2015, aveva votato una risoluzione – con 136 voti a favore, 41 astensioni e 6 contrari (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Giappone, Germania e Israele) – per limitare le azioni dei fondi speculativi nei confronti dei debiti sovrani (dell’Argentina e di molti altri paesi). Si era trattato di una bella vittoria per Cristina, ma una vittoria meramente morale, senza alcuna ricaduta pratica. L’inefficacia di quella risoluzione ha ribadito come nel mondo finanziario le decisioni siano prese da pochissimi a spese della stragrande maggioranza.
Tanto per intenderci, a pochi giorni dalle elezioni argentine il Financial Times aveva pubblicato un articolo con un titolo emblematico: Anything bests Feández (Qualsiasi cosa sarà meglio di Cristina)2.
Il de profundis del Clarín
Se è vero che al Congresso la coalizione di Macri (Cambiemos) non ha la maggioranza, è altrettanto vero che il neopresidente non si troverà a dover combattere con il Grupo Clarín, come invece è capitato ai governi di Néstor e Cristina Kirchner.
Il Gruppo Clarín è di gran lunga la principale industria editoriale dell’Argentina3. Ad esso fanno capo giornali (tra cui il quotidiano El Clarín), televisioni, radio, reti di comunicazione. Tra il Clarín e i Kirchner – rei di voler limitare per legge (Ley de Medios) il monopolio mediatico del gruppo – è sempre stata guerra. Una guerra senza esclusione di colpi.
Subito dopo la vittoria di Mauricio Macri, il gruppo editoriale non solo ha recitato il de profundis del kirchnerismo, ma ne ha scritto le memorie, non salvando praticamente nulla dei 12 anni di governo. Lo ha fatto, utilizzando le sue migliori risorse umane e tecnologiche, con il corposo dossier El legado K (L’eredità K)4 e con il film Ficción K, el documental del relato (Commedia K, il documentario del racconto)5.
Quello fatto dal Clarín è un dipinto a tinte fosche, quasi da far rimpiangere l’epoca di Carlos Menem (1989-1999) o addirittura i tempi della dittatura (1976-1983): un paese diviso, l’aumento della povertà (1 argentino su 4), la distruzione dell’agricoltura e dell’allevamento, la forte contrazione dell’industria. Anche la battaglia per i diritti umani – con la celebrazione dei processi a un migliaio di militari golpisti – alla fine viene interpretata come un’arma di seduzione e di acquisto di consensi nelle mani dei Kirchner6.
Adesso tutto cambierà, prevede il dossier del Clarín. «Il quinquennio 2016-2020 e il nuovo scenario politico – vi si legge – offrono una piattaforma di opportunità per avanzare»7.
Talentuosa, ma indisciplinata
Qualunque sia l’eredità lasciata dall’epoca dei Kirchner, la presidenza di Mauricio Macri non sarà comunque una passeggiata. Il quadro economico generale è problematico e imprevedibile, sia a livello nazionale che latinoamericano. Il paese rimane potenzialmente molto ricco, ma afflitto da patologie che paiono inguaribili (corruzione generalizzata, diseguaglianze sociali marcate).
Semplificando, si potrebbe forse dire che l’Argentina è un po’ come i suoi calciatori: talentuosa, ma indisciplinata.
Paolo Moiola
(seconda parte – fine)
Note
(1) Il fondatore è Francesco Macri, nato a Roma nel 1930.
(2) Articolo del 21 ottobre, reperibile sul sito del quotidiano britannico: www.ft.com
(3) Il sito: www.grupoclarin.com.ar
(4) Il dossier sui 12 anni di kirchnerismo si può leggere liberamente a questo link: http://especiales.clarin.com/el-legado-K/
(5) Il documentario si può vedere liberamente a questo link: http://www.clarin.com/politica/Ficcion-capitulos-peor-relato_0_1489651181.html
(6) Silvana Boschi, Las conquistas que terminaron siendo manipuladas por el relato, in dossier citato.
(7) Dante Sica, La industria, de la expansión a una fuerte contracción, in dossier citato.